Gli sposini cambiano idea sulla villa per il ricevimento: condannati a “risarcire” il titolare

Confermato il diritto del proprietario di una villa utilizzata come location per ricevimenti di nozze a ottenere il pagamento dai promessi sposi. Legittima, e non vessatoria, la clausola che nel contratto di banqueting vincolava il diritto di recesso dei clienti al versamento di un corrispettivo in denaro.

Costa cara ai promessi sposi la decisione di non effettuare più il banchetto di nozze nella villa scelta in prima battuta. Legittimo, sia chiaro, il recesso da loro esercitato, ma sacrosanto anche il loro obbligo di risarcire” il titolare della struttura, così come previsto nel contratto di banqueting. Impossibile, spiegano i giudici, parlare di clausola vessatoria Cassazione, ordinanza n. 9937/19, sez. VI Civile, depositata oggi . Recesso. A dar ragione al titolare della villa, posizionata in Abruzzo e utilizzata come location per matrimoni, sono sia i giudici del Tribunale che quelli della Corte d’Appello. Preso atto del recesso esercitato dai promessi sposi, è legittima la richiesta dell’imprenditore di ottenere il pagamento di una penale, come da regolare contratto di banqueting . Per i Giudici, in sostanza, non si può parlare di clausola vessatoria , né si può ipotizzare che la cifra da pagare in caso di recesso, prevista nell’accordo tra sposi e ristoratore, possa essere letta come espressione di un significativo squilibrio contrattuale , anche perché si tratta, in ogni caso, di una condizione regolata ad esito di una trattativa individuale . Clausola. Identica linea di pensiero adotta anche la Cassazione, respingendo il ricorso proposto dai due promessi sposi e sancendo in via definitiva il diritto del titolare della villa ad essere tenuto indenne a fronte del recesso esercitato dai clienti. Nessun dubbio, in sostanza, sul valore della clausola messa nero su bianco nel contratto di banqueting. Essa è assolutamente legittima, poiché costituisce una consensuale previsione ad esito di una puntuale trattativa condotta dalle parti di una specifica facoltà assicurata al cliente quella di recedere dal contratto già concluso dietro pagamento di un corrispettivo, variamente determinato in funzione dell’epoca dell’eventuale recesso , osservano i Giudici. Impossibile, invece, parlare di clausola penale o di forma di coazione unilaterale all’adempimento, eventualmente foriera di possibili squilibri nei diritti e negli obblighi delle parti .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 10 gennaio – 9 aprile 2019, n. 9937 Presidente Frasca – Relatore Dell’Utri In fatto e in diritto Rilevato che, con sentenza resa in data 23/5/2017, la Corte d'appello dell'Aquila ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado, in accoglimento della domanda proposta dal Ristorante New Gilda di D’Ar. Do. & amp C. s.n.c, ha condannato Si. Di Pi. e To. Va. al pagamento, in favore della società attrice, di somme a titolo di corrispettivo per il recesso dal contratto di banqueting concluso tra le parti che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come la clausola contrattuale con cui le parti avevano regolato la facoltà di recesso degli originari convenuti, non rientrasse in alcuna delle ipotesi previste dall'art. 33 del D.Lgs. n. 206/2005 cd. codice del consumo , né apparisse in qualunque modo espressione di un significativo squilibrio contrattuale tra le parti, trattandosi, in ogni caso, di una condizione regolata ad esito di una trattativa individuale effettivamente intercorsa che, avverso la sentenza d'appello, Si. Di Pi. e To. Va. propongono ricorso per cassazione sulla base di tre motivi d'impugnazione che il Ristorante New Gilda di D’Ar. Do. & amp C. s.n.c. resiste con controricorso che, a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell'art. 380-bis le parti non hanno presentato memoria considerato che, con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell'art. 33, co. 1, del D.Lgs. n. 206/2005, nonché per omesso esame di un fatto decisivo controverso in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. , per avere la corte territoriale erroneamente escluso la natura vessatoria della clausola mediante le quali le parti avevano regolato la facoltà di recesso degli odierni ricorrenti dietro pagamento di un corrispettivo, trattandosi di un'indebita forma di coazione all'adempimento mediante il pagamento di una penale, viceversa non prevista a carico della controparte, con palese squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti che il motivo è manifestamente infondato che, al riguardo, osserva il Collegio come la corte territoriale abbia correttamente escluso la riconducibilità della clausola oggetto d'esame a nessuna delle ipotesi tipicamente regolate dall'art. 33 cit, trattandosi, nel caso di specie, della consensuale previsione ad esito di una puntuale trattativa individuale condotta dalle parti di una specifica facoltà assicurata al consumatore quella di recedere dal contratto già concluso dietro pagamento di un corrispettivo variamente determinato in funzione dell'epoca dell'eventuale recesso, e non già, pertanto, di una clausola penale o di alcun altra forma di coazione unilaterale all'adempimento eventualmente foriera di possibili squilibri nei diritti e negli obblighi delle parti che, con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell'art. 33, co. 2, lett. f , del D.Lgs. n. 206/2005 in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c , per avere la corte territoriale erroneamente escluso la manifesta eccessività degli importi previsti della clausola oggetto d'esame per il recesso degli odierni ricorrenti che, con il terzo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per travisamento di prova e violazione dell'art. 34, co. 4, del D.Lgs. n. 206/2005 in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c , per avere la corte territoriale erroneamente affermato che la clausola oggetto di esame fosse stata frutto di una trattativa individuale delle parti, in contrasto con le risultanze istruttorie complessivamente acquisite al giudizio che entrambi i motivi - congiuntamente esaminabili in ragione dell'intima connessione delle questioni dedotte - sono inammissibili che, al riguardo, è appena il caso di evidenziare come, attraverso le censure indicate sotto entrambi i profili di cui all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c , i ricorrenti si siano sostanzialmente spinti a sollecitare la corte di legittimità a procedere a una rilettura nel merito degli elementi di prova acquisiti nel corso del processo, in contrasto con i limiti del giudizio di cassazione e con gli stessi limiti previsti dall'art. 360 n. 5 c.p.c. nuovo testo sul piano dei vizi rilevanti della motivazione che, in particolare, sotto il profilo della violazione di legge, i ricorrenti risultano aver prospettato le proprie doglianze attraverso la denuncia di un'errata ricognizione della fattispecie concreta, e non già della fattispecie astratta prevista dalle norme di legge richiamate operazione come tale estranea al paradigma del vizio di cui all'art. 360, n. 3, c.p.c , neppure coinvolgendo, la prospettazione critica dei ricorrenti, l'eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell'erronea sussunzione giuridica di fatti in sé incontroversi, insistendo propriamente gli stessi nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo che, infatti, osserva il Collegio come la combinata valutazione delle circostanze di fatto indicate dalla corte territoriale a fondamento del ragionamento probatorio in concreto eseguito non può in alcun modo considerarsi fondata su indici privi, ictu oculi, di quella minima capacità rappresentativa suscettibile di giustificare l'apprezzamento ricostruttivo che il giudice del merito ha ritenuto di porre a fondamento del ragionamento probatorio argomentato in sentenza che, nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell'epigrafe dei motivi d'impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dagli odierni ricorrenti deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell'interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti ritenuti rilevanti tra le parti che si tratta, come appare manifesto, di un'argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una tipica erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato che, ciò posto, i motivi d'impugnazione così formulati devono ritenersi inammissibili, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi Sez. 3, Sentenza n. 10385 del 18/05/2005, Rv. 581564 Sez. 5, Sentenza n. 9185 del 21/04/2011, Rv. 616892 , non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall'art. 360 n. 5 c.p.c. ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell'omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti che, infatti, con riguardo al preteso vizio di cui all'art. 360, n. 5, c.p.c. è appena il caso di sottolineare come lo stesso possa ritenersi denunciabile per cassazione, unicamente là dove attenga all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia che, sul punto, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, co. 1, n. 6, e 369, co. 2, n. 4, c.p.c. il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie cfr. per tutte, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831 che, pertanto, dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, le odierne doglianza dei ricorrenti devono ritenersi inammissibili, siccome dirette a censurare, non già l'omissione rilevante ai fini dell'art. 360 n. 5 cit, bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all'intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d'indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede che, pertanto, sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva manifesta infondatezza dei motivi d'impugnazione, dev'essere pronunciato il rigetto del ricorso, cui segue la condanna dei ricorrenti al rimborso, in favore della società controricorrente, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l'attestazione della sussistenza dei presupposti per il pagamento del doppio contributo, ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002 P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.500,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'art. 1-bis, dello stesso articolo 13.