Monolocale minimal: respinta la richiesta di restituzione dei canoni già versati

Vittoria definitiva per la proprietaria dell’appartamento, che vede risolto, come da lei auspicato, il contratto con l’inquilina. Respinta la tesi avanzata da quest’ultima, secondo cui ella avrebbe sospeso il pagamento dei canoni di locazione alla luce della condizione di precarietà dell’immobile.

Canoni di locazione non pagati per ben otto mesi. Inevitabile la risoluzione del contratto, per la gioia della proprietaria dell’immobile – un monolocale di 24 metri quadrati –. Inutili le obiezioni proposte dalla oramai ex inquilina, e centrate sulla presunta mancanza di abitabilità e di vivibilità del piccolo appartamento, condiviso peraltro col figlio disabile Cassazione, ordinanza n. 3971/19, sez. III Civile, depositata oggi . Contratto. Scontro frontale tra proprietaria e inquilina a minare il rapporto – anche contrattuale – il mancato pagamento per alcuni mesi del canone di locazione, fissato in 420 euro. Inevitabile la causa civile, che vede vittoriosa sia in Tribunale che in Appello la locataria. I giudici, difatti, dichiarano risolto per inadempimento il contratto e ritengono priva di appigli la richiesta avanzata dalla inquilina e finalizzata a vedere sancita la nullità del contratto e a vedere riconosciuto il suo diritto alla restituzione dei canoni pagati . Respinta la linea difensiva proposta dal legale dell’inquilina e centrata su una serie di problemi di carattere strutturale e manutentivo all’interno dell’appartamento . Secondo la donna, la casa non era a norma di legge, considerata la carenza dei requisiti minimi di abitabilità e di vivibilità , e per questo ella, vista la situazione di precarietà dell’immobile, non aveva più sentito il dovere di adempiere ad un rapporto in assenza di controprestazione , anche tenendo presente che il canone di locazione era troppo alto rispetto alla media . Ma queste giustificazioni non convincono i giudici, neanche in Cassazione. Immobile. Per i Magistrati del Palazzaccio, difatti, se anche la proprietaria dell’immobile avesse volutamente ignorato le obbligazioni principali del locatore”, l’inquilina avrebbe potuto chiedere la risoluzione del contratto ovvero avrebbe potuto chiedere la diminuzione del canone pattuito, ma giammai avrebbe potuto chiedere la restituzione dei canoni già versati . Allargando l’orizzonte, però, vengono evidenziati alcuni dettagli che rendono prive di fondamento le richieste avanzate dall’inquilina. Più precisamente, sul tavolo finiscono l’attestazione di idoneità abitativa del monolocale e l’attestazione di accertamento dei requisiti igienico-sanitari , e allo stesso tempo viene sottolineato che dalla documentazione in atti e in particolare dalla licenza per costruzione e relativa variante, nonché dalla licenza di abitabilità-occupazione è risultato confermato che l’immobile era stato costruito negli anni ’50 ed era conforme alla normativa igienico-sanitaria vigente all’epoca .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 10 ottobre 2018 – 12 febbraio 2019, n. 3971 Presidente Armano – Relatore Gianniti Rilevato in fatto 1. La Corte di appello di Milano con sentenza n. 1830/2016, rigettando l'appello proposto dalla sig.ra Mu. Me. Ka. nei confronti della sig.ra St. Gi., ha integralmente confermato la sentenza n. 1606/2015 con la quale il Tribunale di Milano aveva dichiarato risolto per inadempimento il contratto di locazione Inter partes nonché aveva rigettato la domanda riconvenzionale di nullità del contratto e di restituzione dei canoni pagati proposta dalla Mu. e quella ai sensi dell'art. 96 c.p.c. proposta dalla St., condannando la Mu. alla rifusione delle spese relative al giudizio. 2. Era accaduto che, nell'aprile 2014, la St. aveva notificato alla Mu. atto di intimazione di sfratto per morosità e contestuale citazione per la convalida, deducendo che in data 2/12/2011 aveva concesso in locazione alla Mu. un'unità immobiliare ad uso abitativo, composta da un locale e servizi, balcone e cantina, arredato, al piano 40 dello stabile di Via Padova n. 60 Milano il contratto aveva durata di 4 anni dal 1/12/2011 al 30/11/2015, con canone annuo di Euro 5.040,00, oltre spese condominiali di Euro 1.200,00, salvo conguaglio da pagarsi in 12 rate mensili anticipate di Euro 520,00 al primo giorno di ciascun mese la conduttrice aveva omesso di pagare i canone e le spese afferenti al periodo agosto 2013-marzo 2014, per un importo complessivo di Euro 3.690,00. Tanto premesso, la St. aveva intimato alla Mu. l'immediata riconsegna dell'immobile e aveva convenuto quest'ultima in giudizio per sentir in via principale, convalidare lo sfratto per morosità e fissare il termine per il rilascio e, in via subordinata, in caso di opposizione, emettere ordinanza provvisoria esecutiva di rilascio ex art. 665 c.p.c. Si era costituita la Mu., opponendosi alla convalida di sfratto in ragione delle comprovate gravi condizioni di salute del figlio convivente Ga. Ro. Pr., deducendo in fatto che sin dall'inizio del rapporto contrattuale aveva riscontrato una serie di problemi di carattere strutturale e manutentivo all'interno dell'appartamento locatole, non a norma di legge, considerata la carenza dei requisiti minimi di abitabilità e vivibilità, come da una relazione tecnica allegata da maggio 2013 si era trovata in una situazione di difficoltà economica, che si era aggiunga alla difficile condizione di salute del figlio convivente cui era stata riconosciuta una situazione di handicap dell'80% aveva in un primo momento confidato nel fatto che la situazione di precarietà dell'immobile potesse essere risolta dalla St., ma, quando aveva constatato che ciò non era avvenuto, non aveva più sentito il dovere di adempiere ad un rapporto in assenza di controprestazione, tanto più che il canone di locazione - per un monolocale con le caratteristiche, che descriveva - era troppo alto rispetto alla media. In via riconvenzionale, l'opposta aveva sostenuto che l'unità immobiliare, presa in locazione, aveva una superficie, un volume complessivo ed un servizio igienico di misure inferiori a quelle prescritti dal Regolamento Locale di Igiene, nonché un angolo cottura insufficiente per essere definito tale e anche privo di una canna di esalazione del diametro minimo previsto aveva affermato che, essendo i requisiti minimi di abitabilità e vivibilità già viziati sin dalla sottoscrizione del contratto, quest'ultimo doveva considerarsi nullo ab origine, con la conseguenza che tutti i canoni pagati dall'inizio non erano dovuti ed avrebbero dovuto esserle restituiti unitamente al deposito cauzionale per complessivi Euro 11.200, oltre interessi . E, in via subordinata, per il caso in cui il contratto fosse ritenuto valido, aveva dedotto che la St. non le aveva consegnato la dichiarazione di conformità degli impianti dell'appartamento locato e che pertanto, anche nel caso che il contratto di locazione fosse considerato valido, la condotta della St. avrebbe comunque integrato la violazione degli obblighi previsti dall'articolo 1575 c.c Il giudice di primo grado dapprima, aveva ordinato il rilascio con riserva delle eccezioni ed aveva disposto il mutamento del rito quindi, dopo il deposito delle memorie integrative, con sentenza n. 1606/2015, aveva dichiarato risolto per inadempimento della parte resistente il contratto di locazione, confermando l'ordinanza di rilascio emessa in data 2/7/2014 nonché aveva rigettato la domanda riconvenzionale, così come la domanda ai sensi dell'articolo 96 c.p.c. proposta dalla ricorrente, condannando l'intimata a rifondere le spese di giudizio. La sentenza del giudice di primo grado era stata impugnata dalla Mu. con atto di appello al quale aveva resistito la St E la Corte di appello di Milano con la impugnata sentenza ha per l'appunto rigettato l'appello, confermando integralmente la sentenza del giudice di primo grado e condannando l'appellante alla rifusione delle spese relative al secondo grado del giudizio di merito. 3. Avverso la sentenza della Corte territoriale ricorre la Mu Resiste con controricorso la St In vista dell'odierna adunanza la Mu. deposita memoria a sostegno del ricorso. Ritenuto in diritto 1. L'eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività non è fondata. Invero, le Sezioni Unite di questa Corte, ormai da oltre un decennio, hanno precisato che, qualora il ricorso per cassazione sia stato notificato ai sensi dell'art. 140 cod. proc. civ., come per l'appunto si è verificato nel caso di specie, al fine del rispetto del termine di impugnazione, è sufficiente che il ricorso stesso sia stato consegnato all'ufficiale giudiziario entro il predetto termine, fermo restando che il consolidamento di tale effetto anticipato per il notificante dipende dal perfezionamento del procedimento notificatorio nei confronti del destinatario. Tanto si verifica nel caso di specie, nel quale - essendo stato iniziato il giudizio in primo grado dopo il 3 luglio 2009, il termine per impugnare era pari a 6 sei mesi, ed, essendo stata pubblicata la sentenza impugnata in data 15 giugno 2016 e, quindi successivamente, al primo gennaio 2015, data di entrata in vigore del D.L. 132/2014 , la durata della sospensione feriale era pari a giorni 31 - il ricorso è stato consegnato all'ufficiale giudiziario per la notifica lunedì 16 gennaio 2017, e, quindi, allo spirare del termine di legge pari per l'appunto a mesi sei, oltre al periodo di sospensione . Occorre pertanto passare ad esaminare il cd. merito cassatorio. 2. Orbene, il ricorso è affidato a tre motivi, tutti articolati in relazione all'art. 360 1. comma n. 3 c.p.c. Precisamente, la ricorrente denuncia -con il primo motivo violazione e falsa applicazione dell'art. 3 del D.M. 5 luglio 1975, lamentandosi che entrambi i giudici di merito non avevano accertato che l'immobile locato di soli 24,04 mq non rispettava i requisiti minimi di vivibilità ed agibilità indicati da detto decreto ministeriale che, all'art. 3 prevede che l'alloggio monostanza deve avere, se per una persona, una superficie minima comprensiva dei servizi non inferiore a mq. 28 e, se per due persone, una superficie non inferiore a mq. 38 , recante disposizioni in relazione alle dimensioni minime ed ai requisiti igienico-sanitari principali dei locali d'abitazione -con il secondo motivo violazione e falsa applicazione dell'art. 41 Cost, dell'art. 1418 c.c. del regolamento locale di igiene del Comune di Milano e della deliberazione del Consiglio comunale n. 172 del 9/5/1994, con successive modifiche ed integrazioni, lamentandosi che entrambi i giudici di merito non avevano considerato che il contratto di locazione in oggetto, proprio perché violava i valori previsti dall'art. 41 Cost ed il regolamento comunale in punto di requisiti minimi di abitabilità e di vivibilità, nonché in punto di requisiti igienico sanitari, avrebbe dovuto essere dichiarato nullo, perché contrario a norme imperative - con il terzo motivo violazione dell'art. 112 c.p.c. lamentandosi che la Corte territoriale, proprio perché erroneamente non aveva dichiarato la nullità del contratto, sempre erroneamente non aveva provveduto sulla sua domanda di ripetizione dei canoni che, in esecuzione del contratto nullo, erano stati da lei sin dall'inizio pagati, violando così il principio generale di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato. 3.1 motivi - che si trattano congiuntamente in quanto tra loro strettamente connessi - sono tutti inammissibili. E' jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte peraltro puntualmente richiamata nella sentenza impugnata il principio per cui, qualora un contratto di locazione sia dichiarato nullo, pur conseguendo in linea di principio a detta dichiarazione il diritto per ciascuna delle parti di ripetere la prestazione effettuata, tuttavia la parte che abbia usufruito del godimento dell'immobile non può pretendere la restituzione di quanto versato a titolo di corrispettivo per tale godimento, in quanto ciò importerebbe un inammissibile arricchimento senza causa in danno del locatore. Sez. 3, Sentenza n. 4849 del 03/05/1991, Rv. 471957 - 01 Di tale principio ha fatto buon governo nella specie la Corte territoriale che - dopo aver premesso p.7 che l'appellante aveva chiesto di accertare la nullità del contratto di locazione di dichiarare non dovuta la somma da lei versata alla locatrice, e quindi di condannare quest'ultima alla restituzione di quanto indebitamente ricevuto - ha rigettato l'appello , argomentando sul fatto che a il petitum, che contraddistingue l'azione di nullità promossa in primo grado in via riconvenzionale dall'allora appellante, non poteva trovare accoglimento in ragione della già avvenuta esecuzione delle contrapposte e reciproche prestazioni delle parti e al riguardo richiama il principio affermato nella sentenza n. 4849/1991 b anche ammesso che vi fosse stata l'asserita violazione da parte della locatrice degli obblighi previsti dall'art. 1575 c.c., la conduttrice avrebbe potuto chiedere la risoluzione del contratto ovvero avrebbe potuto chiedere la diminuzione del canone pattuito ma giammai avrebbe potuto chiedere la restituzione dei canoni già versati, come invece aveva fatto, così modificando la causa petendi . Dopo tali considerazioni dirimenti ed assorbenti la Corte territoriale ha osservato quanto segue pp. 8-11 -l'attestazione di idoneità abitativa, prodotta in corso di causa, era stata rilasciata dopo il sopralluogo effettuato il 24/5/2013 ed era irrilevante il fine per il quale detta attestazione era stata rilasciata -era stata prodotta nel corso di causa anche l'attestazione di accertamento dei requisiti igienico sanitari e di idoneità abitativa mediante la scheda di rilevazione per unità immobiliare secondo i parametri tecnici richiesti dal D.M. Sanità del 5 luglio 1975 -l'appellante non aveva prodotto il regolamento locale di igiene e non aveva spiegato se la superficie calpestarle fosse equivalente alla superficie abitabile indicata nel D.M. 5 luglio 1975 -le doglianze relative all'asserita mancanza di numerosi requisiti richiesti dal citato D.M. erano smentite dalla menzionata scheda di rilevazione per unità immobiliare -dalla documentazione in atti e, in particolare, dalla licenza per costruzione e relativa variante, nonché dalla licenza di abitabilità/occupazione era risultato confermato che l'immobile era stato costruito a metà degli anni 50 del secolo scorso ed era conforme alla normativa igienico-sanitaria vigente all'epoca -erano stati acquisiti agli atti, oltre alla menzionata attestazione 27/5/2013 effettuata da pubblico ufficiale , la dichiarazione di conformità delle tubazioni del gas e la dichiarazione di conformità dell'impianto elettrico. A fronte dell'articolato iter motivazionale, sopra ripercorso, manifestamente infondata si appalesa la censura di omessa pronuncia, articolata nel terzo motivo. In definitiva, la ricorrente, richiamando erroneamente l'art. 360 1. comma n. 3 c.p.c. sollecita in realtà a questa Corte una nuova valutazione di merito, che, come è noto, è preclusa in sede di legittimità. 4. Avuto riguardo al rigetto dell'eccezione di tardività del ricorso, le spese processuali relative al presente giudizio di legittimità vanno dichiarate compensate tra le parti. Parte ricorrente deve comunque essere condannata al pagamento dell'importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo. P.Q.M. La Corte - dichiara inammissibile il ricorso - dichiara compensate le spese processuali relative al giudizio di legittimità. Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1 comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.