Condizioni generali di abbonamento non sottoscritte: Telecom condannata al rimborso

Terreno di scontro è la cifra, di pochi centesimi superiore ai 13 euro, riguardante le spedizioni al cliente di alcune fatture telefoniche. La mancata prova sulla conoscenza di quella clausola rende obbligatorio il rimborso da parte dell’azienda.

A carico del cliente le spese per la spedizione delle fatture clausola contrattuale legittima. A patto, però, essa sia da lui conosciuta. Altrimenti l’azienda va condannata a restituire la somma caricata sul cliente Cassazione, ordinanza n. 2997/19, sez. VI Civile, depositata il 31 gennaio . Spedizione. Terreno di scontro è un contratto telefonico. Mal digerito dal cliente è il costo – seppur minimo, pari ad appena 13 euro e 41 centesimi – sopportato a titolo di spese di spedizione di alcune fatture . Consequenziale è la richiesta di rimborso nei confronti dell’azienda fornitrice, la Telecom Italia. La somma diventa oggetto di una battaglia legale. E a sorpresa prima il GdP e poi i Giudici del Tribunale condannano l’azienda a ridare al cliente la somma riguardante i costi a lui addebitati per la spedizione delle fatture . Decisivo per i Giudici è un piccolo grande dettaglio non risulta agli atti la sottoscrizione, da parte del cliente, delle condizioni generali di abbonamento e, pertanto, della clausola che prevedeva l’addebito relativo alle spese di spedizione della fattura . Ciò comporta, in sostanza, che si deve ritenere che il cliente non fosse a conoscenza delle condizioni generali di abbonamento , anche perché non allegate al contratto . Clausola. La valutazione compiuta in Tribunale è ritenuta corretta dai giudici della Cassazione, i quali, difatti, confermano l’obbligo della ‘Telecom’ a restituire al cliente la somma di 13 euro e 41 centesimi. I magistrati del Palazzaccio tengono a precisare che non è stata considerata vessa la clausola con cui le spese di spedizione venivano poste a carico del cliente , né tantomeno si è preteso che tale clausola venisse approvata per iscritto . A emergere, invece, è che manca la ‘prova provata’ del fatto che la citata clausola, inserita nelle condizioni generali di contratto, fosse conosciuta dal cliente . A questo proposito, è colpevole l’azienda per non avere fatto chiarezza. Peraltro, non potevano considerarsi opponibili al cliente le condizioni generali inserite in un documento trasmessogli dall’azienda solo dopo la conclusione del contratto .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, ordinanza 20 dicembre 2018 – 31 gennaio 2019, n. 2997 Presidente Frasca – Relatore Cirillo Fatti di causa 1. Gi. Fa. convenne in giudizio, davanti al Giudice di pace di Barletta, la Telecom Italia s.p.a., chiedendo che fosse condannata a rimborsargli la somma complessiva di Euro 13,41 a titolo di spese di spedizione di alcune Iatture telefoniche. Si costituì in giudizio la società convenuta, chiedendo il rigetto della domanda. Il Giudice di pace accolse la domanda e condannò la società telefonica al pagamento della somma suindicata, oltre interessi e con il carico delle spese di giudizio. 2. La pronuncia è stata impugnata dalla società telefonica e il Tribunale di Trani, con sentenza del 23 marzo 2016, ha rigettato l'appello ed ha condannato l'appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado. Ha osservato il Tribunale, tra l'altro, che non risultava agli atti la sottoscrizione, da parte del cliente, delle condizioni generali di abbonamento e, pertanto, della clausola che prevedeva l'addebito delle spese telefoniche. Pertanto, come già aveva affermato il Giudice di pace, era da ritenere che il Fa. non fosse a conoscenza delle suindicate condizioni generali, mentre doveva essere la società Telecom a dimostrare che tale conoscenza vi fosse. Nella specie, però, non risultava che detto onere di prova tosse stato assolto, così come non vi era dimostrazione né che le condizioni generali fossero state allegate al contratto né che l'elenco telefonico fosse stato consegnato all'utente per cui il Tribunale ha ritenuto che l'addebito delle spese di fattura non avesse formato oggetto di apposita pattuizione. In ordine, poi, al quantum della pretesa, il Tribunale ha ritenuto che l'appellato avesse dimostrato l'effettivo esborso della somma richiesta. 3. Contro la sentenza del Tribunale di Tram propone ricorso la Telecom Italia s.p.a. con atto affidato a due motivi. Resiste Gi. Fa. con controricorso. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ., e la società ricorrente ha depositato memoria. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 , cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1341 e F342 cod. civ., degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonché omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti. Osserva la ricorrente che il Tribunale avrebbe confuso le due diverse ipotesi dell'art. 1341, primo e secondo comma, cit., richiedendo l'espressa approvazione per iscritto anche della clausola che prevede l'addebito delle spese di fattura senza considerare che essa non potrebbe in alcun modo considerarsi vessatoria, dato il carattere tassativo di tale previsione. D'altra parte, il contratto è stato posto a fondamento della pretesa del cliente, la quale ha chiesto dichiararsi la nullità della relativa clausola con ciò stesso ammettendone la conoscenza circostanza che, tra l'altro, avrebbe dovuto essere ritenuta notoria. 1.1. Il motivo è inammissibile, perché non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata. Risulta dalla motivazione della stessa che il Tribunale non ha considerato vessatoria la clausola con la quale le spese di spedizione venivano poste a carico del cliente e non ha preteso che la stessa venisse approvata per iscritto ai sensi dell'art. 1341 cod. civ., ma ha fatto applicazione, invece, del primo comma dell'art. 1341 cit., in base al quale le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti sono efficaci nei confronti dell'altro, se al momento della conclusione del contratto questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l'ordinaria diligenza . Sulla base di tale inquadramento normativo il Tribunale ha ritenuto, con un accertamento di merito non sindacabile in questa sede, che non vi fosse la prova che la citata clausola, inserita nelle condizioni generali di contratto, fosse conosciuta dal cliente, non avendo la società telefonica fornito la relativa prova, gravante a suo carico ed ha aggiunto che non potevano considerarsi opponibili al cliente le condizioni generali inserite in un documento trasmessogli dopo la conclusione del contratto. E' appena il caso di aggiungere che non può ritenersi che il fatto stesso di invocare la nullità di una clausola equivalga alla prova della sua conoscenza. Né a favore della ricorrente può richiamarsi la sentenza di questa Corte 13 febbraio 2009, n. 3532, nella quale si è affermato che le spese di spedizione della fattura telefonica trovano disciplina nell'ambito del diritto civile e della volontà negoziale delle parti. 2. Con il secondo motivo si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 , cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ. e 115 cod. proc. civ., nonché omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti. Osserva la ricorrente che il l'arma non avrebbe fornito la prova dell'effettivo pagamento delle somme delle quali aveva chiesto la restituzione, non potendo tale prova derivare dalla semplice allegazione delle fatture. 2.1. Il motivo è inammissibile, posto che il Tribunale, con un accertamento di fatto non sindacabile in questa sede, ha ritenuto che vi fosse la prova dell'effettivo esborso, da parte del cliente, di una somma corrispondente alle spese di spedizione della fattura. 3. Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile. A tale esito segue la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55. Sussistono inoltre le condizioni di cui all'art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte della società ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 600, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge. Al sensi dell'art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 1 15, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della società ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.