A chi spetta provare l’affidamento in conto corrente?

Con le sentenze n. 27704 e 27705 del 30 ottobre 2018, la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione affronta lo spinoso tema della ripartizione dell’onere probatorio circa l’esistenza dell’affidamento in conto corrente nel giudizio avviato dal cliente nei confronti della banca.

Stabilisce la Corte di Cassazione che, qualora la banca abbia eccepito la prescrizione del diritto alla ripetizione dell'indebito per decorso del termine decennale dal pagamento, è onere del cliente provare l'esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quel pagamento come mero ripristino della disponibilità accordata. In mancanza di prova circa l’apertura di credito, le rimesse sul conto devono ritenersi di natura solutoria. Il caso. Le fattispecie descritte nelle decisioni in commento sono analoghe e posso essere così sintetizzate. Un cliente avvia un’azione di ripetizione nei confronti dell’istituto di credito per l’illegittimo addebito in conto corrente di interessi ultra legali e anatocistici. La Corte di Appello respinge le domande del correntista accogliendo l’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca ciò sul presupposto che in assenza di prova dell’esistenza di un’apertura di credito o di affidamenti sul conto corrente in questione, tutte le rimesse debbono intendersi di natura solutoria. Il cliente ricorre dunque per cassazione lamentando la violazione e falsa applicazione del principio dell’onere della prova di cui all’art. 2967 c.c. ritenendo che il giudice di merito avrebbe dovuto a presumere la natura ripristinatoria dei versamenti in conto corrente in assenza di prova contraria fornita dalla banca b accertare l’esistenza di un fido di fatto in essere sul conto medesimo. La decisione della Cassazione questioni di merito e questioni di diritto. La Suprema Corte di Cassazione ritiene, in primo luogo, che il ricorso sia inammissibile nella parte in cui il ricorrente insiste nell’esistenza di un affidamento di fatto in conto corrente. Circostanza questa per la quale la Corte di merito ha escluso fosse stata fornita prova giudiziale e che dunque non può essere sottoposta al vaglio di legittimità. La decorrenza del termine di prescrizione delle rimesse in conto corrente. I Giudici di legittimità reputano poi infondato il ricorso condividendo la sentenza impugnata laddove ha ritenuto decorrente la prescrizione non dalla chiusura finale del conto, ma dai singoli versamenti, in assenza di un’apertura di credito. La Corte territoriale, al riguardo, si è allineata al costante orientamento di legittimità secondo cui le rimesse sul conto corrente sono da considerare ripristinatorie quando il conto stesso, all'atto della rimessa, risulti scoperto sicché per accertare se una rimessa del correntista sia destinata al pagamento di un proprio debito verso la banca ed abbia quindi funzione solutoria, ovvero valga solo a ripristinare la provvista sul conto corrente, occorre fare riferimento al criterio del saldo disponibile del conto Cass. S.U. n. 24418/10 . In questa prospettiva, sul punto va ribadito come, qualora si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo o scoperto , cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell'accreditamento, allora dovrà dirsi che quei versamenti integrino la nozione di pagamento il contrario, quando i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell'affidamento concesso al cliente, consistano in meri atti ripristinatori della provvista, pur sempre nella disponibilità del cliente. La ripartizione dell’onere della prova. Chiarisce la Corte di legittimità la ripartizione dell’onere della prova fra i litiganti. 1. Il cliente, il quale agisce ex art. 2033 c.c. per la ripetizione dell'indebito corrisposto alla banca nel corso del rapporto di conto corrente, ha l'onere di provare i fatti costitutivi del diritto vantato vale a dire, a fronte dell'annotazione di poste passive sul suo conto corrente nell'assunto costituenti dazione indebita, la causa petendi dell'azione, in ragione della natura non dovuta di quegli addebiti cfr. Cass. n. 1734/11 n. 5896/06 17146/03 . 2. La banca che eccepisce la prescrizione del diritto alla ripetizione dell'indebito per decorso del termine decennale dalle annotazioni passive in conto, quale fatto estintivo, ha l'onere di allegare l'inerzia i.e. il fatto costitutivo , il tempo del pagamento ed il tipo di prescrizione invocata cfr. Cass. n. 4372/18 Cass. n. 18581/17 Cass. n. 15790/16 Cass. n. 1064/14 . 3. È altresì onere del cliente, in questo contesto, provare il fatto modificativo, consistente nell'esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quei versamenti come mero ripristino della disponibilità accordata e, dunque, possa spostare l'inizio del decorso della prescrizione alla chiusura del conto. In questa prospettiva, occorre dunque distinguere a seconda che il contratto risulti affidato o meno in caso di conto non affidato, tutte le rimesse devono automaticamente reputarsi solutorie, con conseguente inesistenza di alcun onere in capo alla banca di individuarle specificamente Cass. n. 12977/18 Cass. n. 4372/18 . L’onere di provare l’affidamento spetta al correntista. In conclusione, osserva la Corte di Legittimità, il carattere solutorio dei versamenti sussiste sempre in mancanza di un’apertura di credito onde, eccepita dalla banca la prescrizione del diritto alla ripetizione dell'indebito per decorso del termine decennale dal pagamento, è onere del cliente provare l'esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quel pagamento come mero ripristino della disponibilità accordata.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 23 luglio– 30 ottobre 2018, n. 27704 Presidente De Chiara – Relatore Nazzicone Fatti di causa Con sentenza del 25 settembre 2014, la Corte d’appello di Lecce, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha ridotto ad Euro 155.727,55 la somma dovuta dalla Unicredit s.p.a., quale importo indebitamente percepito con riguardo al contratto di conto corrente bancario intercorso fra le parti, cui era stato applicato un tasso ultralegale e la capitalizzazione trimestrale. La Corte, per quanto ancora rileva, ha ritenuto, con l’ausilio di c.t.u., la natura solutoria delle rimesse effettuate, in quanto non è stata provata l’esistenza di un’apertura di credito o di affidamenti nel periodo considerato, con conseguente operatività della prescrizione decennale dai singoli versamenti. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il fallimento della società, sulla base di un motivo. Resiste la banca con controricorso. Ragioni della decisione 1. - Con l’unico motivo, la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2697 c.c.e 115 c.p.c., nonché il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione, oltre all’illegittima applicazione dell’art. 2, comma 61, d.l. n. 225 del 2010, convertito dalla legge n. 101 del 2011, per avere la corte d’appello disposto la rinnovazione della c.t.u., e, poi, in accordo con le risultanze della medesima, considerato le rimesse come solutorie, mentre esse hanno normalmente funzione ripristinatoria della provvista, in via presuntiva, ed il conto risultava affidato in via di fatto. 2. - Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato. Come palesa lo svolgimento del medesimo, ove ripetutamente assume la natura solutoria delle rimesse, il ricorso mira a sottoporre alla Corte un nuovo giudizio sul fatto, precluso in sede di legittimità. Anche la censura di vizio di motivazione è inammissibile, perché esula dalla fattispecie dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. nel testo applicabile ratione temporis risultante dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in l. 7 agosto 2012, n. 134 . In sostanza, il ricorrente insiste nella ritenuta disponibilità relativa ad un preteso affidamento di fatto ma la Corte del merito ne ha risolutivamente escluso la prova né essa ha fondato la decisione sulla normativa dichiarata incostituzionale da Corte cost. n. 78/2012 . Neppure merita censura la sentenza impugnata, laddove ha ritenuto decorrente la prescrizione non dalla chiusura finale del conto, ma dai singoli versamenti, in assenza di un’apertura di credito essendosi essa pienamente conformata alla costante giurisprudenza di legittimità, secondo cui le rimesse sul conto corrente dell’imprenditore sono da considerare ripristinatorie quando il conto stesso, all’atto della rimessa, risulti scoperto , onde per accertare se una rimessa del correntista sia destinata al pagamento di un proprio debito verso la banca ed abbia quindi funzione solutoria, ovvero valga solo a ripristinare la provvista sul conto corrente, occorre fare riferimento al criterio del saldo disponibile del conto per tutte, Cass., sez. un., 2 dicembre 2010, n. 24418 . Presupponendo infatti il decorso del termine di prescrizione del diritto alla ripetizione che sia intervenuto un atto giuridico definibile come pagamento , che l’attore pretende essere indebito, la sola annotazione di ogni singola posta di interessi che si assumono illegittimamente addebitati dalla banca al correntista è, di per sé, scarsamente significativa, ai fini della decorrenza del termine di prescrizione dell’azione di ripetizione occorre, invece, verificare se, pendente il contratto di apertura di credito e prima della chiusura del conto, il correntista abbia effettuato quei versamenti. Poiché la decorrenza della prescrizione dalla data del pagamento è condizionata al carattere solutorio, e non meramente ripristinatorio, dei versamenti, in mancanza di un’apertura di credito non può che concludersi per detto dies a quo. In definitiva, sul punto va ribadito come, qualora si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo o scoperto , cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento, allora dovrà dirsi che quei versamenti integrino la nozione di pagamento il contrario, quando i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell’affidamento concesso al cliente, consistano in meri atti ripristinatori della provvista, pur sempre nella disponibilità del cliente. In ordine all’onere della prova, è opportuno chiarire come esso si atteggi nei giudizi in questione. a Il cliente, il quale agisce ex art. 2033 c.c. per la ripetizione dell’indebito corrisposto alla banca nel corso del rapporto di conto corrente, ha l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto vantato vale a dire, a fronte dell’annotazione di poste passive sul suo conto corrente nell’assunto costituenti dazione indebita, la causa petendi dell’azione, in ragione della natura non dovuta di quegli addebiti per l’esistenza di un’indebita capitalizzazione, interessi non consentiti, costi non concordati, e così via . In tal senso sono plurime decisioni di questa Corte in materia di domanda di ripetizione di indebito oggettivo, secondo le quali il creditore istante è tenuto a provare i fatti costitutivi della sua pretesa quindi, la dazione e la mancanza di una causa che lo giustifichi, ovvero il venir meno di questa cfr. Cass. 25 gennaio 2011, n. 1734 17 marzo 2006, n. 5896 13 novembre 2003, n. 17146 . b A sua volta, eccepita dalla banca la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito per decorso del termine decennale dalle annotazioni passive in conto, quale fatto estintivo, essa ha l’onere di allegare l’inerzia, il tempo del pagamento ed il tipo di prescrizione invocata. Deve considerarsi, in proposito, che l’eccezione di prescrizione è validamente proposta quando la parte ne abbia allegato il fatto costitutivo, e cioè l’inerzia del titolare, e manifestato la volontà di avvalersene da ultimo, Cass. 22 febbraio 2018, n. 4372 e Cass. 26 luglio 2017, n. 18581, che richiamano precedenti ulteriori, fra cui Cass. 29 luglio 2016, n. 15790 Cass. 20 gennaio 2014, n. 1064 . c Se, a questo punto, il tempo decorso dalle annotazioni passive integri il periodo necessario per il decorso della prescrizione, diviene onere del cliente provare il fatto modificativo, consistente nell’esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quei versamenti come mero ripristino della disponibilità accordata e, dunque, possa spostare l’inizio del decorso della prescrizione alla chiusura del conto. Apertura di credito che non è di per sé, come è noto, un contratto necessariamente riconnesso a quello di conto corrente. Giova al riguardo osservare come la decisione citata dal ricorrente Cass. 26 febbraio 2014, n. 4518, non massimata , laddove in motivazione ha statuito che i versamenti eseguiti su conto corrente, in corso di rapporto hanno normalmente funzione ripristinatoria della provvista e non determinano uno spostamento patrimoniale dal solvens all’accipiens e che Tale funzione corrisponde allo schema causale tipico del contratto , ha quale presupposto, appunto, l’esistenza di un contratto di apertura di credito onde il principio va ricondotto all’ambito di specie suo proprio. Come si è in molte altre pronunce precisato, occorre dunque distinguere a seconda che il contratto risulti affidato o meno in caso di conto non affidato , tutte le rimesse devono automaticamente reputarsi solutorie, con conseguente inesistenza di alcun onere in capo alla banca di individuarle specificamente Cass. 24 maggio 2018, n. 12977 Cass. civ. ord. , 22-02-2018, n. 4372 . Ne deriva che grava sull’attore in ripetizione, al fine di poter considerare detti versamenti alla stregua di meri atti di ripristino della disponibilità - come tali, non aventi lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca e, dunque, inidonei al decorso della prescrizione - l’onere di provare l’esistenza di un affidamento. In definitiva, poiché la decorrenza della prescrizione dalla data del pagamento è condizionata al carattere solutorio, e non meramente ripristinatorio, dei versamenti, essa sussiste sempre in mancanza di un’apertura di credito onde, eccepita dalla banca la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito per decorso del termine decennale dal pagamento, è onere del cliente provare l’esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quel pagamento come mero ripristino della disponibilità accordata. Essendosi la corte del merito conformata al principio esposto, anche la censura proposta in diritto si palesa infondata. 3. - Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 4.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie al 15% ed agli accessori come per legge. Dichiara che, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 23 luglio – 30 ottobre 2018, n. 27705 Presidente De Chiara – Relatore Nazzicone Fatti di causa Con sentenza del 28 gennaio 2016, la Corte d’appello di Brescia ha respinto le impugnazioni, principale ed incidentale, proposte avverso la decisione di primo grado, la quale aveva dichiarato la nullità delle clausole sugli interessi a tasso ultralegale e sulla capitalizzazione trimestrale, condannando la banca alla restituzione della somma di Euro 8.924,16, oltre interessi legali dal 28 maggio 2007, quale importo indebitamente percepito con riguardo al contratto di conto corrente bancario intercorso fra le parti, cui erano stati applicati un tasso ultralegale e la capitalizzazione trimestrale. La Corte, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che, ai fini del decorso della prescrizione dalla chiusura del conto corrente bancario, è necessario, ove il cliente alleghi il pagamento dell’indebito, che egli provi la natura non solutoria, ma ripristinatoria delle rimesse effettuate, in quanto egli alleghi e dimostri l’esistenza di un’apertura di credito e del relativo importo, essendo l’esistenza del contratto di apertura di credito un fatto costitutivo del diritto alla ripetizione vantato. Tuttavia, nella specie, il correntista non ha neppure specificamente indicato di quali contratti si tratterebbe, né, tantomeno, li ha provati, limitandosi al generico riferimento a saldi negativi ed agli addebiti nell’estratto conto per la causale spese gestione fido e revisione fido mentre solo nella comparsa conclusionale ha operato deduzioni più chiare, peraltro nuove ed in ordine alle quali, in ogni caso, la mera presenza costante di saldi passivi non permette da sola di desumere l’esistenza e l’ammontare di singoli affidamenti, rendendo impossibile per il giudice di verificare la natura dei versamenti. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società, sulla base di due motivi. Resiste la banca con controricorso. Le parti hanno, altresì, depositato la memoria di cui all’artt. 378 c.p.c Ragioni della decisione 1. - Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in virtù del principio secondo cui occorre presumere la natura normalmente ripristinatoria del versamento, salvo la banca non provi il contrario. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2697 e 2935 c.c., perché essa ha sin dall’inizio dedotto l’esistenza di un fido di fatto, mentre il contratto di apertura di credito non ha forma scritta necessaria e si poteva fondare l’accertamento circa tali elementi su altre prove indirette, quali gli estratti conto, i riassunti scalari, i report della centrale rischi, la stabilità dell’esposizione, l’entità del saldo debitore, la previsione di una commissione di massimo scoperto, la mancanza di richieste della banca, ed altro mentre il limite dell’affidamento si può individuare nello stesso massimo scoperto consentito di fatto. 2. - I due motivi, da trattare congiuntamente in quanto intimamente connessi, sono infondati, laddove in parte sono addirittura inammissibili. 2.1. - Come palesa lo svolgimento del medesimo, ove ripetutamente assume in modo apodittico la natura solutoria delle rimesse, il ricorso mira a sottoporre alla Corte un nuovo giudizio sul fatto, precluso in sede di legittimità. In sostanza, il ricorrente insiste nella ritenuta disponibilità, relativa ad un preteso affidamento di fatto ma la Corte del merito ne ha risolutivamente escluso la prova. 2.2. - Né merita censura la sentenza impugnata, laddove ha ritenuto decorrente la prescrizione non dalla chiusura finale del conto, ma dai singoli versamenti, in assenza di un’apertura di credito essendosi essa pienamente conformata alla costante giurisprudenza di legittimità, secondo cui le rimesse sul conto corrente dell’imprenditore sono da considerare ripristinatorie quando il conto stesso, all’atto della rimessa, risulti scoperto , onde per accertare se una rimessa del correntista sia destinata al pagamento di un proprio debito verso la banca ed abbia quindi funzione solutoria, ovvero valga solo a ripristinare la provvista sul conto corrente, occorre fare riferimento al criterio del saldo disponibile del conto per tutte, Cass., sez. un., 2 dicembre 2010, n. 24418 . Presupponendo infatti il decorso del termine di prescrizione del diritto alla ripetizione che sia intervenuto un atto giuridico definibile come pagamento , che l’attore pretende essere indebito, la sola annotazione di ogni singola posta di interessi che si assumono illegittimamente addebitati dalla banca al correntista è, di per sé, scarsamente significativa, ai fini della decorrenza del termine di prescrizione dell’azione di ripetizione occorre, invece, verificare se, pendente il contratto di apertura di credito e prima della chiusura del conto, il correntista abbia effettuato quei versamenti. Poiché la decorrenza della prescrizione dalla data del pagamento è condizionata al carattere solutorio, e non meramente ripristinatorio, dei versamenti, in mancanza di un’apertura di credito non può che concludersi per detto dies a quo. In definitiva, sul punto va ribadito come, qualora si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo o scoperto , cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento, allora dovrà dirsi che quei versamenti integrino la nozione di pagamento il contrario, quando i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell’affidamento concesso al cliente, consistano in meri atti ripristinatori della provvista, pur sempre nella disponibilità del cliente. 2.3. - In ordine all’onere della prova, è opportuno chiarire come esso si atteggi nei giudizi in questione. a Il cliente, il quale agisce ex art. 2033 c.c. per la ripetizione dell’indebito corrisposto alla banca nel corso del rapporto di conto corrente, ha l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto vantato vale a dire, a fronte dell’annotazione di poste passive sul suo conto corrente nell’assunto costituenti dazione indebita, la causa petendi dell’azione, in ragione della natura non dovuta di quegli addebiti per l’esistenza di un’indebita capitalizzazione, interessi non consentiti, costi non concordati, e così via . In tal senso dono plurime decisioni di questa Corte in materia di domanda di ripetizione di indebito oggettivo, secondo le quali il creditore istante è tenuto a provare i fatti costitutivi della sua pretesa quindi, la dazione e la mancanza di una causa che lo giustifichi, ovvero il venir meno di questa cfr. Cass. 25 gennaio 2011, n. 1734 17 marzo 2006, n. 5896 13 novembre 2003, n. 17146 . b A sua volta, eccepita dalla banca la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito per decorso del termine decennale dalle annotazioni passive in conto, quale fatto estintivo, essa ha l’onere di allegare l’inerzia, il tempo del pagamento ed il tipo di prescrizione invocata. Deve considerarsi, in proposito, che l’eccezione di prescrizione è validamente proposta quando la parte ne abbia allegato il fatto costitutivo, e cioè l’inerzia del titolare, e manifestato la volontà di avvalersene da ultimo, Cass. 22 febbraio 2018, n. 4372 e Cass. 26 luglio 2017, n. 18581, che richiamano precedenti ulteriori, fra cui Cass. 29 luglio 2016, n. 15790 Cass. 20 gennaio 2014, n. 1064 . c Se, a questo punto, il tempo decorso dalle annotazioni passive integri il periodo necessario per il decorso della prescrizione, diviene onere del cliente provare il fatto modificativo, consistente nell’esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quei versamenti come mero ripristino della disponibilità accordata e, dunque, possa spostare l’inizio del decorso della prescrizione alla chiusura del conto. Apertura di credito che non è di per sé, come è noto, un contratto necessariamente riconnesso a quello di conto corrente. Giova al riguardo osservare come la decisione citata dal ricorrente Cass. 26 febbraio 2014, n. 4518, non massimata , laddove in motivazione ha statuito che i versamenti eseguiti su conto corrente, in corso di rapporto hanno normalmente funzione ripristinatoria della provvista e non determinano uno spostamento patrimoniale dal solvens all’accipiens e che Tale funzione corrisponde allo schema causale tipico del contratto , ha quale presupposto, appunto, l’esistenza di un contratto di apertura di credito onde il principio va ricondotto all’ambito di specie suo proprio. Come si è in molte altre pronunce precisato, occorre dunque distinguere a seconda che il contratto risulti affidato o meno in caso di conto non affidato, tutte le rimesse devono automaticamente reputarsi solutorie, con conseguente inesistenza di alcun onere in capo alla banca di individuarle specificamente Cass. 24 maggio 2018, n. 12977 Cass. civ. ord. , 22-02-2018, n. 4372 . Ne deriva che grava sull’attore in ripetizione, al fine di poter considerare detti versamenti alla stregua di meri atti di ripristino della disponibilità - come tali, non aventi lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca e, dunque, inidonei al decorso della prescrizione - l’onere di provare l’esistenza di un affidamento. In definitiva, poiché la decorrenza della prescrizione dalla data del pagamento è condizionata al carattere solutorio, e non meramente ripristinatorio, dei versamenti, essa sussiste sempre in mancanza di un’apertura di credito onde, eccepita dalla banca la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito per decorso del termine decennale dal pagamento, è onere del cliente provare l’esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quel pagamento come mero ripristino della disponibilità accordata. Essendosi la corte del merito conformata al principio esposto, anche le censure in diritto proposte si palesano infondate. 3. - Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie al 15% ed agli accessori come per legge. Dichiara che, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.