Il diritto del promissario acquirente di recedere dal contratto se la cosa venduta è gravata da vincoli

Ai sensi dell’art. 1482, comma 1, c.c. il compratore può sospendere il pagamento del prezzo, se la cosa venduta risulta gravata da garanzie reali o da vincoli derivanti da pignoramento o da sequestro, non dichiarati dal venditore e dal compratore stesso ignorati .

Lo ha ricordato la Corte di Cassazione con ordinanza n. 24824/18 depositata il 9 ottobre. Il caso. La Corte d’Appello di Roma rigettava l’impugnazione avverso la sentenza di primo grado che dichiarava legittimo il recesso esercitato dall’attore dal contratto preliminare stipulato, in veste di promissario acquirente, con la convenuta, condannando quest’ultima al pagamento del doppio della caparra confirmatoria, dopo aver accertato che l’immobile promesso in vendita risultava gravato da trascrizioni ipotecarie non dichiarate. Avverso la sentenza di secondo grado, la ricorrente propone ricorso per la cassazione. Il contratto preliminare di vendita. Il dispositivo di cui all’art. 1482 c.c., secondo cui se la cosa venduta risulta gravata da garanzie reali o da vincoli derivanti da pignoramento o da sequestro offre la facoltà al promissario acquirente di ottenere la liberazione dei pesi gravanti sul bene, non preclude a questi, alternativamente, la possibilità di agire per ottenere la risoluzione del contratto se ricorrono gli estremi del grave inadempimento. Del resto, la citata norma da un lato attribuisce al compratore la facoltà di sospendere il pagamento del prezzo e dall’altro subordina la risoluzione del contratto per inadempimento all’inutile decorso del termine indicato dal giudice per liberare la cosa dai vincoli. Da ciò consegue che la domanda giudiziale di risoluzione non produce l’effetto immediato di precludere alla parte inadempiente la possibilità di adempiere il proprio obbligo, ossia di liberare la cosa dai vincoli ciò non significa che la parte adempiente non possa sciogliersi dal contratto, ma che il contraente inadempiente avrebbe avuto il diritto, qualora fosse liberato il bene dal vincolo, di mantenere il contratto. Inoltre, la previsione della caparra confirmatoria concede alla parte adempiente il diritto di recedere dal contratto, trattenendo questa o esigendo il doppio di quella prestata, in caso di grave inadempimento dell’altra parte. Per queste ragioni, il ricorso viene rigettato.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, ordinanza 24 maggio – 9 ottobre 2018, n. 24824 Presidente Manna – Relatore Grasso Fatto e diritto ritenuto che con la sentenza di cui in epigrafe la Corte d’appello di Roma, per quel che ancora rileva in questa sede, rigettò l’impugnazione avanzata da G.M.G. avverso la sentenza di primo grado che, accolta la domanda di A.M. , dichiarò legittimo il recesso esercitato da quest’ultimo dal contratto preliminare stipulato, quale promissario acquirente, con la convenuta, condannando quest’ultima al pagamento del doppio della caparra confirmatoria, avendo accertato che l’immobile promesso in vendita era risultato gravato da trascrizioni ipotecarie non dichiarate che avverso la statuizione d’appello la G. avanza ricorso basato su unitaria censura, ulteriormente illustrata da memoria che l’A. resiste con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria considerato che il ricorso deve rigettarsi sulla scorta delle considerazioni di cui appresso la mossa doglianza, con la quale viene denunziata violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1482 e 1375, cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., affermandosi che l’interpretazione adottata dalla Corte locale aveva l’effetto di aggirare la disposizione di cui al secondo comma dell’art. 1482, cod. civ., facendo arbitra la parte compratrice di sciogliersi dal contratto, senza la necessità di far assegnare dal giudice un termine al venditore per liberare il bene, così finendo per assicurare alla prima l’ingiusto vantaggio derivato da una condotta contraria alla buona fede, contrasta con l’interpretazione consolidata di legittimità in quanto a la Corte d’appello ha accertato il grave inadempimento della promittente alienante e tale da giustificare l’esercizio del diritto di recesso trattasi di accertamento in fatto non sindacabile davanti al giudice di legittimità b la norma contenuta nell’art. 1482 cod. civ. applicabile analogicamente anche al contratto preliminare di vendita , secondo cui se la cosa venduta risulta gravata da garanzie reali o da vincoli derivanti da pignoramento o da sequestro dà facoltà al promissario acquirente di ottenere la liberazione dei pesi gravanti sul bene, non preclude a quest’ultimo, in alternativa, la possibilità di agire per la risoluzione del contratto se ricorrono gli estremi del grave inadempimento Sez. 2, n. 3565, 12/3/2002, Rv. 553006 b pur vero che l’art. 1482 c.c., mentre attribuisce al compratore la facoltà di sospendere il pagamento del prezzo, subordina tuttavia la risoluzione del contratto per inadempimento all’inutile decorso del termine stabilito dal giudice per liberare la cosa dai vincoli, da ciò derivando che la domanda giudiziale di risoluzione, in deroga alla disposizione dell’art. 1453, comma 3, c.c., non ha l’effetto immediato di precludere alla parte inadempiente la possibilità di adempiere la propria obbligazione, cioè di liberare la cosa dal vincolo Sez. 2, n. 16388, 5/8/2015, Rv. 636169 ma anche lo stesso lontano precedente n. 5300/1977 - citato dalla ricorrente , ma ciò non significa affatto che il contraente adempiente qui il promissario acquirente non possa sciogliersi dal contratto, ma, ben diversamente, che il contraente inadempiente qui la prominente alienante , ove avesse liberato il bene cosa che non ha fatto avrebbe avuto il diritto di mantenere il contratto c la previsione della caparra confirmatoria attribuisce alla parte adempiente il diritto, in caso di grave inadempimento dell’altra, di recedere dal contratto, trattenendo la caparra o esigendo il doppio di quella prestata come nel caso di specie - art. 1385, cod. civ. -, così restando esonerata dall’onere di provare l’an e il quantum del danno, pur libera di optare per la domanda giudiziale di risoluzione per inadempimento, alla quale potrà collegare quella di risarcimento del danno ex multis, da ultimo, Sez. 2, n. 10953/2012, 20957/2017, 8417/2016 , con la conseguenza che il fondamento del diritto di recesso è indubbiamente lo stesso dell’azione di risoluzione per inadempimento colpevole, che non può, ovviamente, essere condizionato all’obbligatorio esercizio di una mera facoltà quella disegnata dall’art. 1482, comma 2, cod. civ. considerato che spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi, in favore del controricorrente siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle attività espletate considerato che ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12 applicabile ratione temporis essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013 , ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte della ricorrente, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.