È ammissibile il preliminare di compravendita condizionato all’erogazione del mutuo

Qualora le parti abbiano subordinato gli effetti di un contratto preliminare di compravendita immobiliare alla condizione che il promissario acquirente ottenga da un istituto bancario un mutuo per poter pagare in tutto o in parte il prezzo stabilito, la relativa condizione è qualificabile come mista , ovvero rimessa in parte alla volontà di uno dei contraenti ed in parte ad un apporto causale esterno, in quanto la concessione del mutuo dipende non solo dall'istituto bancario, ma anche dal comportamento del promissario acquirente nell'approntare la relativa pratica.

Con la pronuncia n. 22046/18 depositata l’11 settembre, la Suprema Corte interviene sulla natura della clausola che subordina gli effetti di un preliminare di compravendita alla concessione del mutuo in favore dell’acquirente da parte di un istituto bancario. Il caso. La vicenda decisa dalla sentenza in commento ha origine dal contenzioso avviato e relativo all’esecuzione in forma specifica di un preliminare di compravendita immobiliare. In particolare, sia nei giudizi di merito che in quello di legittimità si è discusso della natura dalla clausola apposta in un preliminare che condiziona la validità del preliminare all’erogazione del mutuo in favore del promissario acquirente. Il Supremo Collegio, confermando le decisioni di giudici di merito, precisa che tale clausola è da considerarsi mista”, dipendendo, oltre che dalla condotta del promissario acquirente, anche dalla condotta e dalle attività della banca mutuante. Condizione risolutiva e condizione sospensiva. Secondo l’impostazione tradizionale, le condizioni sono elementi accidentali del contratto, ossia elementi che le parti inseriscono nel contratto per assicurare il soddisfacimento di loro specifici interessi, sostanzialmente estranei alla disciplina legale del tipo. In particolare, con l’apposizione di una condizione, le parti subordinano l’efficacia o il venir meno dell’efficacia del contratto al verificarsi di un avvenimento futuro e incerto. Nel primo caso abbiamo la condizione sospensiva, nel secondo la condizione potestativa. Titolo edificatorio e condizione del preliminare. La sentenza in commento può essere l’occasione per verificare gli orientamenti della giurisprudenza relativamente all’applicazione delle condizioni – risolutive o sospensive – nei contratti di compravendita immobiliare. A titolo di esempio, si ritiene valida la duplice clausola condizionale apposta ad un contratto preliminare di compravendita, la quale faccia dipendere la risoluzione del contratto dal mancato rilascio di un titolo edificatorio e dalla mancata stipula del contratto definitivo entro un termine predefinito, non fondando tale clausola una condizione meramente potestativa bensì, rispettivamente, una condizione risolutiva mista e una condizione potestativa semplice, entrambe non riconducibili alla norma di cui all'art. 1355 c.c. Preliminare e concessione amministrativa. Al tempo stesso, la giurisprudenza ha ritenuto che il contratto di compravendita immobiliare, subordinato a condizione risolutiva – ad esempio, la concessione amministrativa per la realizzazione di un piazzale di sosta per vetture con relativa palazzina uffici e servizi - sia inefficace e non già nullo qualora non si verifichi l'evento posto in condizione dalle parti. Patto di recesso o clausola risolutiva. La clausola apposta ad un contratto di compravendita può anche consentire, ad entrambi i contraenti, il potere di far venir meno gli effetti del contratto. In tal caso, la stessa non può essere ricondotta nell'abito del patto di riscatto, contemplato dall'art. 1500 c.c. con riferimento soltanto al venditore, ma può integrare, sulla base dell'individuazione dell'effettiva volontà degli stipulanti, una condizione risolutiva potestativa non rientrante nella previsione di nullità di cui all'art. 1355 c.c., inerente alla condizione meramente potestativa di tipo sospensivo , ovvero un patto di recesso ex art. 1373 c.c., considerando che il comma 1 di tale ultima norma, ove esclude il recesso dopo l'esecuzione del contratto, è suscettibile di deroga convenzionale. Erogazione del mutuo e clausola apposta nel preliminare. Come visto nel caso di specie, qualora le parti subordinino gli effetti di un contratto preliminare di compravendita immobiliare alla condizione che il promissario acquirente ottenga da un istituto bancario un mutuo per poter pagare in tutto o in parte il prezzo stabilito - patto di cui non è contestabile la validità, poiché i negozi ai quali non è consentito apporre condizioni sono indicati tassativamente dalla legge - la relativa condizione è qualificabile come mista , dipendendo la concessione del mutuo anche dal comportamento del promissario acquirente nell'approntare la relativa pratica. Mancata concessione del mutuo quali conseguenze. Di conseguenza, la mancata concessione del mutuo comporta le conseguenze eventualmente previste nel contratto senza che rilevi un eventuale comportamento omissivo del promissario acquirente, sia perché tale disposizione è inapplicabile nel caso in cui la parte tenuta condizionatamente ad una data prestazione abbia anch'essa interesse all'avveramento della condizione, sia perché l'omissione di un'attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituisce fonte di responsabilità, in quanto l'attività omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico obbligo che non sussiste per l'attività di attuazione dell'elemento potestativo in una condizione mista. Contratto preliminare e clausola risolutiva. Caso diverso, invece, riguarda la clausola che preveda la risoluzione di un contratto preliminare di compravendita immobiliare in caso di mancata approvazione del progetto di lottizzazione detta clausola deve essere qualificata come condizione risolutiva e non come condizione potestativa c.d. unilaterale , in quanto la prima si limita a subordinare l'efficacia del contratto ad un evento, futuro e incerto, il cui verificarsi priva automaticamente il negozio di effetti ab origine , la seconda, invece, esige una specifica ed inequivoca pattuizione senza che rilevi il mero interesse della parte alla sua realizzazione, implicando il riconoscimento, in capo al contraente, di un diritto potestativo il cui mancato esercizio, successivamente al verificarsi dell'evento, dà vita a un nuovo negozio.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 27 marzo – 11 settembre2018, numero 22046 Presidente Petitti – Relatore Oliva Fatti di causa Con atto di citazione notificato il 31.5.2000 D.C.F. evocava in giudizio L.G. dinanzi il Tribunale di Latina spiegando domanda ex articolo 2932 c.c. per ottenere il trasferimento della proprietà di un immobile sito in omissis , censito nel locale Catasto al foglio , particolo , che il convenuto aveva promesso di vendere all’attore con contratto preliminare dell’8.12.1993 redatto nella forma della scrittura privata. L’attore esponeva che a seguito di accertamenti finalizzati all’ottenimento di un mutuo era emerso che il bene era gravato, nella quota di 1/4 del totale, da pignoramento immobiliare a suo tempo notificato nei confronti del dante causa del promittente venditore. Invocava quindi la sentenza costitutiva ex articolo 2932 c.c., previa liberazione del bene dalla formalità pregiudizievole e la condanna del convenuto al risarcimento dei danni e delle spese sostenute per la ristrutturazione del cespite compromesso. Si costituiva il L. contestando la domanda, sostenendo di avere agito in buona fede, mostrando al promissario acquirente il suo titolo di proprietà sin dalla firma del preliminare, e comunque di aver acquistato in asta pubblica, in data 30.9.1999, la quota oggetto del pignoramento pregiudizievole. Invocava quindi la condanna del D.C. al pagamento del saldo prezzo, pari a lire 100.000.000, oltre interessi, nonché al risarcimento del danno. Con sentenza numero 1791/2004 il Tribunale di Latina accoglieva la domanda ex articolo 2932 c.c., disponendo il trasferimento dell’immobile subordinatamente al saldo del prezzo, respingendo tutte le altre domande, tanto dell’attore che del convenuto, con ordine al Conservatore dei RR.II. di provvedere alla trascrizione della sentenza. Interponeva appello il L. spiegando, inter alia, una domanda di accertamento della nullità del preliminare perché contenente una condizione meramente potestativa, o comunque illecita ovvero impossibile, ed insistendo per l’accoglimento delle altre domande già svolte in prime cure e respinte dal Tribunale. Si costituiva il D.C. eccependo l’inammissibilità della domanda di nullità perché mai proposta dal L. in primo grado, resistendo nel resto al gravame e spiegando appello incidentale in relazione alle domande da lui svolte in prima istanza e non accolte dal Tribunale. Con la sentenza impugnata, numero 2635/2013, la Corte di Appello di Roma dichiarava inammissibile l’appello incidentale tardivamente proposto dal L. , costituitosi soltanto alla prima udienza di comparizione riteneva parimenti inammissibile, perché nuova, la domanda svolta dall’appellante per il riconoscimento degli interessi dal giorno dell’immissione del D.C. nel possesso del cespite respingeva nel resto l’appello, fissando il termine di 90 giorni per il saldo del prezzo a suo tempo pattuito per la compravendita. Interpone ricorso avverso detta decisione il L. , affidandosi a quattro motivi. Resiste con controricorso il D.C. . Entrambe le parti hanno depositato memorie. Ragioni della decisione Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli articolo 1183, 1322, 1325, 1343, 1346, 1354, 1355, 1359, 1362 e ss., 1418, 1421 c.c., in relazione all’articolo 111 Cost. e all’articolo 360 numero 3, nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo ex articolo 360 numero 5 c.p.c. Ad avviso del ricorrente, la Corte di Appello avrebbe errato nel non ritenere meramente potestativa la condizione apposta al preliminare, secondo la quale l’atto notarile sarebbe stato stipulato non appena il promissario acquirente avesse ottenuto un mutuo occorrente per saldare il prezzo pattuito per la compravendita. La clausola in esame, infatti, avrebbe reso sin dal principio certa l’irrealizzabilità dell’evento dedotto in condizione, poiché il promittente venditore era di fatto soggetto al potere decisionale del promissario acquirente, il quale una volta conseguito l’anticipato possesso del bene non avrebbe avuto più alcun interesse a cooperare per l’avverarsi dell’evento dedotto in condizione. Né, d’altro canto, la clausola al più presto possibile avrebbe potuto legittimare il promittente venditore a chiedere al giudice la fissazione di un termine per adempiere. Dal che, attesa la natura meramente potestativa della condizione, discenderebbe la nullità del preliminare de quo. Il motivo è infondato. In argomento, questa Corte ha ritenuto che Nel caso in cui le parti subordinino gli effetti di un contratto preliminare di compravendita immobiliare alla condizione che il promissario acquirente ottenga da un istituto bancario un mutuo per poter pagare in tutto o in parte il prezzo stabilito patto di cui non è contestabile la validità, poiché i negozi ai quali non è consentito apporre condizioni sono indicati tassativamente dalla legge -, la relativa condizione è qualificabile come mista , dipendendo la concessione del mutuo anche dal comportamento del promissario acquirente nell’approntare la relativa pratica, ma la mancata concessione del mutuo comporta le conseguente previste in contratto, sena che rilevi, ai sensi dell’articolo 1359 cod. civ., un eventuale comportamento omissivo del promissario acquirente, sia perché tale disposi ione è inapplicabile nel caso in cui la parte tenuta condizionatamente ad una data prestazione abbia anch’essa interesse all’avveramento della condizione, sia perché l’omissione di un’attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto l’attività omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, e la sussistenza di un siffatto obbligo deve escludersi per l’attività di attuazione dell’elemento potestativo in una condizione mista Cass. Sez. 2, Sentenza numero 10074 del 18/11/1996, Rv.500605 conf. Cass. Sez. 3, Sentenza numero 23824 del 22/12/2004, Rv. 578807 . Il richiamo a tali precedenti è sufficiente ad escludere che, nel caso di specie, si possa configurare una nullità del preliminare, posto che la clausola che subordina il trasferimento della proprietà all’ottenimento, da parte del promissario acquirente, di un mutuo non integra gli estremi della condizione meramente potestativa. Peraltro, occorre ribadire che l’accertamento inteso a stabilire se un contratto sia sottoposto a condizione sospensiva ed a determinare l’effettiva portata della condizione stessa, nonché il suo avveramento, costituisce indagine devoluta al giudice del merito Cass Sez. 2, Sentenza numero 3804 del 29/07/1978, Rv.393359 Cass Sez. 1, Sentenza numero 4483 del 14/05/1996, Rv.497599 Cass Sez. 3, Sentenza numero 1555 del 13/02/1998, Rv.512605 . Tale indagine la Corte territoriale ha compiuto, nel rispetto dei canoni ermeneutici di interpretazione del contratto, esaminando la clausola contrattuale in questione e richiamando i precedenti specifici di questa Corte. Il ricorrente contesta l’interpretazione del giudice di merito, ma in tal modo finisce, anche là dove denuncia la violazione degli articolo 1362 e ss. c.c., con il sollecitare un diverso approdo ricostruttivo della volontà delle parti. La doglianza va quindi respinta. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli articolo 1343, 1346, 1418, 1421 c.c., nonché dell’articolo 40 comma 2 della L numero 47/1985, in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c. Considerato che il promissario acquirente aveva ottenuto l’anticipato possesso dell’immobile oggetto di causa per eseguire alcuni lavori di ristrutturazione, e che detti interventi erano stati eseguiti, secondo il ricorrente senza le prescritte autorizzazioni edilizie ed urbanistiche, la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare anche d’ufficio la nullità del contratto preliminare, perché relativo ad un cespite non regolare dal punto di vista urbanistico. Anche tale censura va respinta, considerato che il ricorrente non allega alcun elemento idoneo a dimostrare l’effettiva esecuzione, da parte del promissario acquirente, di opere in difformità dalle prescritte autorizzazioni edilizie. Peraltro, dal riferimento operato nel ricorso alla consulenza di parte prodotta in prime cure cfr. pagg.12 e ss. si evince che gli interventi de quibus si sono sostanziati in opere di manutenzione e restauro dell’immobile, in particolare relativamente alle pareti, agli infissi, agli impianti, e in una diversa distribuzione degli spazi interni. Di talché non può, neanche con il ricorso allo strumento della presunzione, sostenersi che in concreto l’immobile presentasse difformità che ne precludessero la libera commerciabilità, non avendo il ricorrente fornito alcun riscontro sul punto. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli articolo 115, 116, 345, 346 c.p.c. degli articolo 1124, 1147, 1175, 1176, 1218, 1277, 1343, 1346, 1375, 2041, 2042, 2697, 2727 c.c., in relazione all’articolo 111 Cost. e all’articolo 360 numero 3 c.p.c. nonché la nullità della sentenza e del procedimento per omessa pronunzia ex articolo 360 numero 4 c.p.c. e l’omesso esame su un punto decisivo ex articolo 360 numero 5 c.p.c. Ad avviso del ricorrente, la Corte di Appello avrebbe dovuto ritenere ammissibili tutte le domande restitutorie formulate dal L. , inclusa quella relativa agli interessi, perché costituenti diretta conseguenza della domanda di accertamento della nullità del preliminare di cui è causa pertanto, almeno a decorrere dalla sentenza, detti interessi avrebbero dovuto essere riconosciuti al ricorrente. Inoltre la Corte territoriale, nel valutare la condotta dei paciscenti, avrebbe errato nel dar rilievo prevalente al fatto che il L. non aveva informato il D.C. dell’avvenuta liberazione dell’immobile di cui è causa, senza considerare il fatto che il secondo avrebbe potuto comunque conoscere aliunde la circostanza, stante la pubblicità legale che assiste la materia dei trasferimenti dei beni immobili e le aste immobiliari. Ancora, il ricorrente si duole che il giudice di appello non avrebbe considerato il fatto che il D.C. si era risolto ad agire a distanza di sette anni dalla scoperta della trascrizione pregiudizievole, soltanto dopo che il L. aveva ottenuto l’aggiudicazione della quota oggetto del pignoramento, e quindi a scopo solo strumentale. Infine, la Corte territoriale avrebbe errato anche nel respingere la domanda di arricchimento senza causa, posta la condizione di buona fede del L. , da un lato, e di malafede del D.C. , dall’altro lato. La censura si suddivide idealmente in tre parti 1 la prima, relativa alla domanda di riconoscimento degli interessi, che a detta del ricorrente fu ingiustamente ritenuta inammissibile dal giudice di appello perché non proposta in prime cure 2 la seconda, riguardante la natura della condizione apposta al preliminare, la ritenuta nullità di esso e, più in generale, la valutazione delle condotte delle parti, ai fini di individuare la rispettiva buona e mala fede 3 la terza, concernente la domanda ex articolo 2041 c.c È opportuno esaminare preliminarmente la seconda parte della doglianza, in relazione alla quale, va premesso che Il contratto sottoposto a condizione potestativa mista è soggetto alla disciplina di cui all’articolo 1358 cod. civ., che impone alle parti l’obbligo giuridico di comportarsi secondo buona fede durante lo stato di pendenza della condizione, e la sussistenza di tale obbligo va riconosciuta anche per l’attività di attuazione dell’elemento potestativo della condizione mista Cass. Sez. U, Sentenza numero 18450 del 19/09/2005, Rv.583707 . Più specificamente, In tema di contratto condizionato, l’omissione di un’attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto l’attività omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico. La sussistenza di un siffatto obbligo deve affermarsi anche per il segmento non casuale della condizione mista. Ciò in quanto, gli obblighi di correttezza e buona fede, che hanno la funzione di salvaguardare l’interesse della controparte alla prestazione dovuta e all’utilità che la stessa assicura, impongono una serie di comportamenti di contenuto atipico, che assumono la consistenza di standard integrativi di tali principi generali, e sono individuabili mediante un giudizio applicativo di norme elastiche e soggetto al controllo di legittimità al pari di ogni altro giudizio fondato su norme di legge Cass. Sez. 1, Sentenza numero 14198 del 28/07/2004, Rv.575005 conf. Cass. Sez. 2, Sentenza numero 23014 del 14/12/2012, Rv.624391 . Ciò posto, spetta comunque alla parte interessata la dimostrazione del fatto che l’altro paciscente abbia tenuto un comportamento idoneo ad impedire l’avveramento della condizione, e si sia in tal modo reso inadempiente agli obblighi generali di buona fede e correttezza richiamati dalla giurisprudenza di questa Corte. In proposito, si è affermato che la fictio di avveramento della condizione prevista dall’articolo 1359 c.c. si possa applicare anche alla condizione di natura mista, fermo restando che incombe sul creditore, che lamenti tale mancato avveramento, l’onere di provarne l’imputabilità al debitore a titolo di dolo o di colpa Cass. Sez. 1, Sentenza numero 5492 del 08/03/2010, Rv.611872 negli stessi termini, cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza numero 24325 del 18/11/2011, Rv.619796, secondo cui la norma in commento non si riferisce solo a coloro che, per contratto, apparivano avere interesse al verificarsi della condizione, ma anche ai comportamenti di chi in concreto ha dimostrato, con una successiva condotta, di non avere più interesse al verificarsi della condizione, ponendo in essere atti tali da contribuire a far acquistare al contratto un elemento modificativo dell’iter attuativo della sua efficacia” . Nel caso di specie, il ricorso non indica in che modo il L. avesse offerto, nei gradi di merito, la necessaria prova della condotta dolosa o colposa del D.C. , ma si limita ad una censura dell’iter logico-argomentativo seguito dalla Corte territoriale. In tal modo, il ricorrente finisce per richiedere un riesame dell’apprezzamento di merito, che è precluso in questa sede. In funzione del rigetto della seconda parte del motivo, resta assorbita la prima parte, concernente la contestazione del punto della sentenza impugnata con cui la Corte territoriale aveva ritenuto la novità della domanda di interessi, in relazione alla quale peraltro il ricorso non indica in quale atto del giudizio di prime cure essa sarebbe, in ipotesi, stata proposta. Quanto invece alla terza parte del motivo in esame, riguardante la domanda ex articolo 2041 c.c., si osserva che L’azione generale di arricchimento ingiustificato, avendo natura sussidiaria, può essere esercitata solo quando manchi un titolo specifico sul quale fondare un diritto di credito, con la conseguenza che il giudice, anche d’ufficio, deve accertare che non sussista altra specifica alcione per le restituzioni ovvero per l’indennizzo del pregiudizio subito, contro lo stesso soggetto arricchito o contro soggetti terzi Cass. Sez. 6-1, Ordinanza numero 26199 del 03/11/2017, Rv. 647016 conf. Cass. Sez. 3, Sentenza numero 16594 del 05/08/2005, Rv. 584746 . Nel caso di specie il ricorrente ha proposto, in via riconvenzionale, azione di ingiustificato arricchimento invocando il pagamento in suo favore di somme a titolo di indennità di occupazione dell’immobile oggetto del preliminare di cui è causa, di oneri condominiali relativi allo stesso, e di imposte che esso ricorrente avrebbe dovuto sostenere ope legis non essendo mai stato perfezionato tra le parti il rogito definitivo di compravendita. A ben vedere tutte queste pretese traggono il loro titolo dal rapporto contrattuale esistente tra le parti e si risolvono in una richiesta di risarcimento, o comunque di indennizzo, che può presupporre -alternativamente l’invalidità del contratto preliminare ovvero il suo inadempimento da parte del promissario acquirente. Inoltre, sempre a termini dell’articolo 2041 c.c., l’attore è tenuto a fornire la duplice dimostrazione della propria deminutio patrimoniale e dell’altrui correlato arricchimento. Nella fattispecie, il ricorso non chiarisce adeguatamente tali aspetti, che costituiscono presupposti dell’azione de quo, né indica il momento o l’atto del giudizio di merito in cui i predetti elementi sarebbero stati dedotti e dimostrati. Dalle esposte considerazioni discende l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’articolo 2041 c.c., onde la censura va, per la relativa parte, respinta. Con il quarto e ultimo motivo, infine, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli articolo 1183, 2907, 2908, 2909 c.c. e degli articolo 282, 324, 359 c.p.c. in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c. A suo avviso, il giudice di appello avrebbe errato nel fissare il termine di 90 giorni per il saldo prezzo a decorrere dalla pubblicazione della sentenza, e non invece dal suo passaggio in giudicato, senza considerare che la natura costitutiva della decisione ne escludeva l’efficacia provvisoriamente esecutiva. La censura è inammissibile per tre diverse ma concorrenti ragioni in primis, perché la fissazione di un termine per il saldo prezzo è evidentemente a beneficio di ambo le parti in secondo luogo, posto che il L. aveva espressamente richiesto tale fissazione, sia pure in via subordinata, nelle conclusioni rassegnate in secondo grado ed infine, considerato che l’agganciamento della decorrenza del termine dalla pubblicazione, anziché dal successivo passaggio in giudicato, della sentenza di secondo grado costituisce un vantaggio per il ricorrente, promittente venditore del bene immobile di cui è causa. Ne consegue che il L. non ha alcun interesse alla censura. In conclusione, i primi tre motivi vanno respinti, mentre il quarto va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. Poiché il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’articolo 1 comma 17 della Legge numero 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1-quater all’articolo 13 del Testo Unico di cui al D.P.R. numero 115 del 2002, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e condanna 1 ricorrente al pagamento delle spese del grado, che liquida in Euro 3.200, di cui Euro 200 per spese, oltre rimborso spese generali nella misura del 15%, cap ed iva come per legge. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1-quater del D.P.R numero 115/2002, inserito dall’articolo 1 comma 17 della Legge numero 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dell’articolo 1-bis dello stesso articolo 13.