L’effetto limitato della cessione del credito

La cessione di credito, a differenza della cessione di contratto che comporta il trasferimento dell’intera posizione contrattuale dal cedente al cessionario, è limitata al solo diritto di credito derivato al cedente da un precedente contratto.

Sul punto si è espressa la Corte di Cassazione con sentenza n. 17727/18 depositata il 6 luglio. Il caso. Il Tribunale di Roma, in accoglimento della domanda attorea, dichiarava risolti due contratti per inadempimento del convenuto architetto, il quale con il contratto di appalto era stato chiamato alla progettazione, direzione ed esecuzione dei lavori di ristrutturazione di un immobile e tale contratto aveva assorbito, modificato e sostituito quello iniziale concernente solo la progettazione dei lavori dell’immobile stesso. Adita in secondo grado dall’architetto, la Corte d’Appello osservava la sussistenza del difetto di legittimazione dell’appellata amministratrice unica della società appaltante a proporre sia l’azione di risoluzione del contratto per inadempimento sia la conseguente domanda risarcitoria pertanto ella propone ricorso in Cassazione. La validità della cessione del credito. Dando continuità ad un precedente principio, la Suprema Corte sottolinea la differenza tra cessione del contratto e cessione del credito mentre la cessione del contratto prevede il trasferimento dal cedente al cessionario dell’intera posizione contrattuale, con tutti i diritti e gli obblighi derivanti e con il consenso dell’altro contraente, la cessione del credito ha un effetto più limitato, al solo diritto di credito derivato al cedente da un precedente contratto e produce, inoltre, rispetto a tale diritto, uno sdoppiamento fra la titolarità di esso, che resta all’originario creditore-cedente, e l’esercizio, che è trasferito al cessionario. Dei diritti derivanti dal contratto, costui acquista soltanto quelli rivolti alla realizzazione del credito ceduto, e cioè, le garanzie reali e personali, i vari accessori e le azioni dirette all’adempimento della prestazione . Pertanto, posto che con la cessione di credito non vengono trasferite le azioni inerenti all’essenza del precedente contratto, nel caso concreto la cessionaria del credito risarcitorio poteva agire nei confronti dell’architetto per l’adempimento di detto credito ma non anche per proporre azione di risoluzione di tale contratto.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 5 febbraio – 6 luglio 2018, n. 17727 Presidente Chiarini – Relatore Ciglia Fatti di causa Con sentenza 7701/2007 il Tribunale di Roma, in accoglimento della domanda proposta da M.A. nei confronti di F.M. , ha dichiarato risolti, per inadempimento di quest’ultimo, i contratti del 9-12-1999 e del 171-2000, e condannato il convenuto, a titolo di risarcimento danni, al pagamento della somma di Euro 157.432,77, oltre interessi e spese di lite. Con sentenza 3308/2016 la Corte d’Appello di Roma, in accoglimento dell’appello principale proposto dal F. , ha dichiarato il difetto di legittimazione attiva della M. e condannato quest’ultima al pagamento delle spese di lite di entrambi i gradi del giudizio in particolare, per quanto ancora rileva in questa sede, la Corte ha osservato che con atto 17-7-2001 la Big Brog srl aveva ceduto alla M. ogni diritto di credito da essa società cedente vantato nei confronti dell’architetto F.M. in relazione ai danni subiti a causa sia della ritardata e cattiva esecuzione, da parte di quest’ultimo, dei commissionatigli lavori di ristrutturazione sia della inadeguata direzione, da parte dello stesso F. , dei detti lavori che, a differenza della cessione del contratto, che opera il trasferimento dal cedente al cessionario dell’intera posizione contrattuale, la cessione di credito è limitata al solo diritto di credito derivato al cedente da un precedente contratto che, pertanto, in forza dell’atto 17-7-2001 di cessione di credito, erano stati trasferiti al cessionario il credito peraltro indeterminato nell’an e nel quantum e le azioni a tutela del credito stesso, ma non l’azione di risoluzione per inadempimento quest’ultima, infatti, inerendo all’essenza del contratto, afferisce alla titolarità del negozio, che continua ad appartenere al cedente anche dopo la cessione del credito che, pertanto, sussisteva il difetto di legittimazione della M. a proporre sia l’azione di risoluzione per inadempimento del F. , nella sua qualità di direttore dei lavori, sia la conseguente domanda risarcitoria che, come desumibile anche dalle stesse premesse dell’atto di citazione in primo grado, il contratto di appalto 17-1-2000 intercorso tra Big Brog srl di cui la M. era amministratrice unica e F.M. , avendo ad oggetto la progettazione, direzione ed esecuzione dei lavori di ristrutturazione di un immobile sito in Roma OMISSIS di cui la Big Bross era affittuaria , aveva assorbito, modificato e sostituito quello iniziale del 9-12-1999, intercorso tra la M. ed il F. , concernente solo la progettazione dei lavori dello stesso immobile che, comunque, anche a volere considerare come autonomo e distinto il precedente contratto del 9-12-1999, intercorso come detto tra la M. ed il F. ed avente ad oggetto solo la progettazione e direzione dei lavori, la circostanza pacifica tra le parti del cambio di destinazione da internet caffè a disco pub voluta dalla M. nel corso dei lavori, con conseguenti richieste da parte di quest’ultima di modifiche e variazioni del progetto, portava ad escludere la sussistenza del denunciato grave inadempimento dell’architetto F. per carenze ed errori progettuali al riguardo rilevava che, pur dovendo il professionista provvedere alla redazione di un progetto edilizio con la diligenza del buon padre di famiglia, la sua responsabilità doveva essere esclusa nel caso, quale quello di specie, in cui il cliente avesse richiesto in corso d’opera modifiche sostanziali l’accertamento di un eventuale inadempimento del F. per errori e ritardi nell’esecuzione dell’opera oggetto del contratto 17-1-2000 era invece precluso stante la predetta mancanza di legittimazione attiva della M. - Avverso detta sentenza M.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi. F.M. ha resistito con controricorso. Entrambi hanno presentato memorie ex art. 378 cpc. Ragioni della decisione Con il primo motivo il ricorrente, denunziando - ex art. 360 n. 3 cpc – violazione ed errata applicazione dell’art. 1260 cc, si duole che la Corte, nell’accogliere la sollevata eccezione di carenza di legittimazione attiva della M. , non abbia considerato la specificità del credito risarcitorio, autonomamente cedibile al riguardo evidenzia che, come precisato dalla S.C., l’obbligazione risarcitoria, anche quando il risarcimento sia conseguenza di un inadempimento contrattuale, non ha natura accessoria rispetto all’obbligazione contrattuale rimasta inadempiuta, ma si configura come un’obbligazione autonoma, con la conseguenza che il relativo credito può costituire oggetto di cessione. Il motivo è infondato. La Corte territoriale ha dichiarato il difetto di legittimazione attiva della M. sia rispetto alla proposta azione di risoluzione per inadempimento del contratto di appalto 17-1-2000, intercorso tra Big Brog srl e F.M. , sia rispetto alla conseguente azione risarcitoria per i danni derivati dal detto inadempimento difetto di legittimazione ravvisato in capo alla M. , cessionaria del diritto di credito risarcitorio, per avere la stessa esercitato l’azione di risoluzione del contratto di appalto, non compresa nella cessione di credito del 17-7-2001, con la quale erano stati trasferiti solo il credito peraltro indeterminato sia nell’an sia nel quantum e le azioni a tutela del credito stesso. La Corte non dubita, pertanto, che l’atto 17-7-2001 costituisca una cessione di credito né che il credito risarcitorio possa di per sé essere come avvenuto nel caso di specie oggetto di cessione di credito, anche futuro la censura va, pertanto esaminata con riguardo alla questione peraltro rilevabile d’ufficio Cass. sez. unite 1912/2012 e successive, tra cui Cass. 17092/2016 della sussistenza o meno, in capo alla M. , della legittimazione attiva a proporre l’azione di risoluzione e la conseguente azione risarcitoria. Ciò posto, ritiene questo Collegio di dare continuità a quanto già statuito da Cass. 776/1967, secondo cui mentre la cessione del contratto opera il trasferimento dal cedente al cessionario, con il consenso dell’altro contraente, dell’intera posizione contrattuale, con tutti i diritti e gli obblighi ad essa relativi, la cessione del credito ha un effetto più circoscritto, in quanto è limitata al solo diritto di credito derivato al cedente da un precedente contratto e produce, inoltre, rispetto a tale diritto, uno sdoppiamento fra la titolarità di esso, che resta all’originario creditore-cedente, e l’esercizio, che è trasferito al cessionario. Dei diritti derivanti dal contratto, costui acquista soltanto quelli rivolti alla realizzazione del credito ceduto, e cioè, le garanzie reali e personali, i vari accessori e le azioni dirette all’adempimento della prestazione. Non gli sono, invece, trasferite le azioni inerenti alla essenza del precedente contratto, fra cui quella di risoluzione per inadempimento, poiché esse afferiscono alla titolarità del negozio, che continua ad appartenere al cedente anche dopo la cessione del credito . Va, invero, ribadito che nella cessione del contratto, disciplinata dagli artt. 1406 ssg cc, si verifica una sostituzione nella figura di parte di un contratto a prestazioni corrispettive non ancora eseguite sostituzione che è totale, in quanto il cedente viene completamente estromesso dalla titolarità del rapporto, che, invece, viene conseguita dal cessionario, il quale sarà l’unico legittimato a ricevere la prestazione e ad avvalersi dei rimedi contrattuali, in quanto tenuto a sua volta ad eseguire una prestazione a favore del contraente ceduto nella cessione del credito, invece, disciplinata dagli artt. 1260 ssg, il trasferimento, anche se il credito nasce da contratto, ha per oggetto solo il credito in quanto tale, e la sostituzione riguarda unicamente la posizione di creditore ne consegue che il cessionario del credito, non essendo anche parte del contratto costitutivo del credito stesso, non può avvalersi di poteri connessi a tale posizione di parte, e quindi essere legittimato a proporre l’azione di risoluzione del contratto ed invero, riconoscere siffatta legittimazione al cessionario, che come detto non si inserisce in quel rapporto sinallagmatico che giustifica l’esperibilità dell’azione di risoluzione, significa consentirgli una indebita ingerenza nella sfera giuridica del cedente, il quale invece, nonostante la cessione, è sempre parte del contratto originario correttamente, pertanto, proprio questa S.C., nella su citata sentenza, ha evidenziato che, in caso di cessione di un credito avente fonte contrattuale, vi è una scissione tra la titolarità del rapporto contrattuale, che rimane al cedente, e la titolarità del diritto di credito ceduto, che invece viene trasmessa al cessionario, il quale acquista però solo i diritti e le azioni rivolti alla realizzazione del credito ceduto ed all’adempimento della prestazione, non anche le azioni contrattuali come infatti già rilevato da questa S.C., la previsione dell’art. 1263 c.c., comma 1, in base alla quale il credito è trasferito al cessionario, oltre che con i privilegi e le garanzie reali e personali, anche con gli altri accessori , deve essere intesa nel senso che nell’oggetto della cessione rientri ogni situazione giuridica direttamente collegata con il diritto di credito stesso, ivi compresi tutti i poteri del creditore relativi alla tutela del credito e quindi anche le azioni giudiziarie a tutela del credito, tra cui l’azione di adempimento dell’obbligazione ceduta v. Cass. 15.9.1999 n. 9823 . Alla stregua di quanto sopra, pertanto, nel caso di specie, la M. , cessionaria del credito risarcitorio in base ad atto 17-7-2001, poteva agire nei confronti del F. per l’adempimento del detto credito eventualmente previo accertamento incidentale dell’inadempimento del F. al contratto di appalto 17-1-2000 ma giammai proporre azione di risoluzione di tale contratto corretta appare, quindi, la declaratoria, da parte della Corte territoriale, di difetto di legittimazione attiva. Con il secondo motivo la ricorrente, denunziando violazione ed errata applicazione degli artt. 1660 e 1703 cc in relazione all’art. 360 n. 4 cpc. Errore in procedendo , si duole che la Corte d’Appello abbia ritenuto che il contratto del 17-1-2000 intercorso tra la Big Bros srl ed il F. avesse assorbito, modificato e sostituito quello iniziale del 9-12-1999, intercorso tra la M. ed il F. , con la conseguenza di rendere applicabile all’intero rapporto la predetta eccezione di carenza di legittimazione attiva della M. al riguardo sostiene che, come desumibile dalla documentazione agli atti e in particolare dal testo dei detti negozi, si tratti di due distinti contratti diversi soggettivamente ed oggettivamente. Il motivo è inammissibile. La censura si risolve, invero, nel contrapporre la personale valutazione dei rapporti contrattuali intercorsi tra le parti alla diversa interpretazione degli stessi contenuta nell’impugnata sentenza siffatta doglianza va proposta sotto il profilo della mancata osservanza dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ. o del vizio motivazionale di cui all’art. 360 n. 5 cpc come più volte chiarito da questa S.C., invero in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c. Ne consegue che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali Cass. 27136/2017 Cass. 17178/2012 . Con il terzo motivo la ricorrente, denunziando violazione ed errata applicazione degli artt. 1660 e 1703 cc in relazione all’art. 360 n. 3 cpc. Inesistenza della motivazione , si duole che la Corte d’Appello non abbia in alcun modo motivato l’affermata sostituzione di un contratto quello del 17-12000 all’altro stipulato il 9-12-1999 , e che quindi ricorra un’ipotesi di motivazione apparente. Il motivo è infondato. Questa Corte ha più volte precisato che ricorre la fattispecie dalla motivazione apparente quando il giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento v. da ultimo, Cass. 9875/2016 tanto non si è verificato nel caso di specie, ove la Corte territoriale ha ampiamente indicato gli elementi su cui ha fondato il suo convincimento in ordine alla detta sostituzione contrattuale maggiore ampiezza dell’incarico oggetto del contratto 17-1-2000 rispetto a quello del 912-1999, identico oggetto - ristrutturazione dello stesso immobile - delle prestazioni cui si era obbligato il F. nei due contratti, tenore letterale e contenuto dello stesso atto di citazione . Con il quarto motivo la ricorrente, denunziando violazione ed errata applicazione degli artt. 2224 e 2230 cc in relazione all’art. 360 n. 4 cpc. Errore in procedendo , si duole che la Corte d’Appello, anche a volere considerare come autonomo e distinto il contratto 9-12-1999, abbia comunque escluso il grave inadempimento dell’architetto F. . Con il quinto motivo la ricorrente, denunziando violazione ed errata applicazione degli artt. 2224 e 2230 cc in relazione all’art. 360 n. 3 cpc. Inesistenza della motivazione , sostiene che la Corte d’Appello abbia escluso la gravità del detto inadempimento con motivazione apparente. Con il sesto motivo la ricorrente, denunziando violazione ed errata applicazione dell’artt. 1176 cc in relazione all’art. 360 n. 3 cpc si duole che la Corte abbia escluso la responsabilità del professionista sulla base dell’avvenuta richiesta di modifiche. Siffatte censure, concernenti il contratto 9-12-1999, sono assorbite dal rigetto del terzo motivo, e dalla conseguente conferma della statuizione impugnata nel punto in cui ritiene che il contratto 17-1-2000 abbia sostituito quello del 9-12-1999. Assorbito è anche il settimo motivo, con il quale la ricorrente, denunziando violazione ed errata applicazione dell’art. 1218 cc in relazione all’art. 343 cpc ed all’art. 360 n. 3 cpc , ha sostanzialmente riproposto la domanda di risarcimento di ulteriori danni sul presupposto non verificatosi dell’accoglimento del ricorso. Alla luce di tali considerazioni, pertanto, il ricorso va rigettato. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, dpr 115/2002, poiché il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato rigettato, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis del cit. art. 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 6.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.