L’accertamento dell’anatocismo impone alla banca la ricostruzione dell’intero rapporto

In tema di rapporti bancari in conto corrente, laddove sia stata esclusa la validità della pattuizione degli interessi a carico del correntista, la banca, per dimostrare l’entità del proprio credito, deve produrre in giudizio tutti gli estratti conto dall’inizio del rapporto.

Sul tema è intervenuta l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 15148/18, depositata l’11 maggio, decidendo sul ricorso presentato da un istituto bancario avverso la revoca del decreto ingiuntivo concesso per la condanna al pagamento del saldo di conto corrente da parte di una s.n.c. e dei suoi fideiussori. Anatocismo. Ripercorrendo la vicenda, la Corte di legittimità condivide l’argomentazione offerta dal provvedimento impugnato che valorizza il fatto che la determinazione della somma pretesa dalla banca era ottenuta applicando clausole contrattuali affette da nullità assoluta relative all’anatocismo, ad interessi ultralegali non pattuiti per iscritto e alla maggiorazione indebita per commissioni di massimo scoperto, correttamente giungendo all’esclusione della liquidazione non avendo la banca provato i movimenti a debito ed accredito nel corso dell’intero rapporto, ma solo quelli relativi all’ultimo periodo. E’ stato dunque correttamente applicato il principio secondo cui l’accertata nullità delle clausole che prevedono tassi superiori a quelli legali e la capitalizzazione trimestrale impone la rideterminazione del saldo finale mediante la ricostruzione dell’intero andamento del rapporto, sulla base degli estratti conto a partire dal momento dell’apertura. Tali documenti devono essere prodotti in giudizio dalla banca, quale attore in senso sostanziale nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, non potendo invocare la prova del credito come mera conseguenza della mancata contestazione da parte del correntista nel procedimento monitorio. In conclusione, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 20 aprile – 11 giugno 2018, n. 15148 Presidente Genovese – Relatore Nazzicone Fatti di causa Con sentenza del 27 maggio 2014, la Corte d’appello di Bari, in riforma della decisione del Tribunale di Foggia, ha revocato il decreto ingiuntivo concesso su ricorso della Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a., volto alla condanna della Vinicola D.C. s.n.c. e dei suoi fideiussori al pagamento in solido della somma di Euro 556.073,50, oltre accessori, quale saldo di conto corrente, respingendo anche la domanda riconvenzionale di restituzione dell’indebito proposta dagli opponenti. Avverso la sentenza viene proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, illustrati da memoria. Resistono gli intimati con controricorso. Ragioni della decisione 1. - Con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione o la falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e la motivazione insufficiente e contraddittoria, perché la sentenza non ha considerato che la banca ha prodotto tutti gli estratti del c/c n. e, avendo la controparte dedotto la simulazione del rapporto contrattuale o il collegamento negoziale di più rapporti, essa era onerata dalla relativa prova, mediante la produzione del contratto n. e degli estratti conto, senza inversione dell’onere probatorio. Con il secondo motivo, censura la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1832 e 2797 cod. civ., oltre al vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione, perché la contestazione della singola operazione a debito, vale a dire quella del ritenuto giroconto di Euro 797.461,73, è eccezione in senso proprio, da provarsi a carico della controparte. Con il terzo motivo, censura la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1827, 1832, 1853 e 2797 cod. civ., oltre al vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, perché le parti hanno considerato distinti i rapporti, onde la corte territoriale non avrebbe potuto considerare esistente un rapporto unitario. Con il quarto motivo, censura la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1827, 1832 e 2797 cod. civ., oltre al vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione, perché, quando la banca non produce tutti gli estratti conto, per giurisprudenza costante è possibile ricostruire il rapporto tramite c.t.u., pur dovendosi partire dal saldo zero ove il primo estratto conto disponibile sia a debito del cliente. 2. - I quattro motivi, che per la loro intima connessione possono essere congiuntamente trattati, sono in parte infondati ed in parte inammissibili. La corte territoriale ha ritenuto che la società correntista abbia positivamente provato l’unitarietà dei più rapporti bancari di conto corrente, in quanto il saldo passivo del conto n. , pari ad Euro 797.461,73, confluì sul conto n. tramite giroconto del 24 luglio 2001, mentre poi, a monte, vi era stato originario rapporto di conto corrente almeno dal 1997 ha aggiunto che, sulla base dei documenti in atti, risulta come la banca determinò la somma pretesa in modo illegittimo sotto tre profili, avendo essa applicato clausole contrattuali affette da nullità assoluta relative all’anatocismo, agli interessi ultralegali non pattuiti per iscritto ed alla maggiorazione indebita per commissioni di massimo scoperto ha affermato che, pertanto, non può essere liquidato nessun ammontare, neppure a mezzo di c.t.u., non avendo la banca provato i movimenti a debito ed accredito nel corso dell’intero rapporto, ma solo quelli relativi all’ultimo periodo. Per la completa mancanza di prova, del pari, ha respinto la domanda riconvenzionale della correntista. In tal modo, la sentenza impugnata non si espone alle censure proposte. Invero, nell’esercizio del suo potere-dovere di accertare i fatti, la corte del merito ha ravvisato l’esistenza di un rapporto protratto nel tempo, pur avendo constatato che la banca ha prodotto solo gli estratti conto dell’ultimo. Non ha pregio, dunque, insistere sull’esigenza che la cliente provasse l’assunto, perché proprio quello la corte del merito ha ritenuto dimostrato mentre gli accertamenti in punto di fatto, sopra ricordati, non sono ripetibile in questa sede di legittimità. In ordine, poi, al concreto accertamento della volontà dei contraenti - la società debitrice principale e la banca - di concludere contratti collegati, si tratta di un tipico accertamento di fatto, che sfugge al giudice di legittimità Cass., sez. un., 25 ottobre 2013, n. 24148 14 febbraio 2013, n. 3668 13 aprile 2010, n. 8730 5 marzo 2007, n. 5066 . Del resto, la corte del merito si è attenuta al principio costante, secondo cui l’accertata nullità delle clausole che prevedono, relativamente agli interessi dovuti dal correntista, tassi superiori a quelli legali e la capitalizzazione trimestrale impone la rideterminazione del saldo finale mediante la ricostruzione dell’intero andamento del rapporto, sulla base degli estratti conto a partire dall’apertura del medesimo, che la banca, quale attore in senso sostanziale nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ha l’onere di produrre, non potendo ritenersi provato il credito in conseguenza della mera circostanza che il correntista non abbia formulato rilievi in ordine alla documentazione prodotta nel procedimento monitorio Cass. 19 settembre 2013, n. 21466 e, anche di recente, si è ribadito come, nei rapporti bancari in conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità della pattuizione relativa agli interessi a carico del correntista, la banca, per dimostrare l’entità del proprio credito, ha l’onere di produrre tutti gli estratti conto dall’inizio del rapporto Cass. 25 maggio 2017, n. 13258 Cass. 13 ottobre 2016 . La censura di omesso espletamento della c.t.u. non coglie, dal suo canto, nel segno, difettando addirittura di specificità, posto che, come rileva la parte controricorrente, ove il calcolo fosse stato operato dal saldo zero, nessuna somma sarebbe residuata comunque a credito della banca. Quanto ai denunziati vizi di motivazione, tali censure sono inammissibili, in quanto non tiene conto della modifica normativa apportata all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla l. 7 agosto 2012, n. 134. 3. - Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite del giudizio di legittimità, che liquida, in favore solidale dei contro ricorrenti, in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie al 15% ed agli accessori come per legge. Dichiara che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla legge n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.