Effetti della revoca amministrativa sulle prestazioni contrattuali divenute impossibili

La liberazione del debitore per sopravvenuta impossibilità della sua prestazione sussiste solo laddove sia riscontrabile l’elemento obiettivo dell’impossibilità di eseguire la prestazione medesima e quello soggettivo dell’assenza di colpa da parte del debitore riguardo alla determinazione dell’evento che ha reso impossibile la prestazione.

È il principio ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 14915/18, depositata l’8 giugno. Il caso. In occasione dell’iscrizione ad un corso per terapisti che assicurava l’ottenimento di un titolo equipollente al diploma universitario in fisioterapia idoneo alla relativa abilitazione, il padre di un aspirante fisioterapista versava un assegno di oltre 6mila euro alla società che organizzava il suddetto corso. Dopo pochi mesi dall’inizio delle lezioni, il Consiglio Regionale revocava l’autorizzazione ad espletare il corso che veniva dunque interrotto con la restituzione della metà dell’importo, mentre il residuo veniva trattenuto dalla società come corrispettivo delle lezioni effettivamente impartite. Padre e figlio chiedevano dunque al Giudice di Pace la condanna della società alla risoluzione del contratto per inadempimento sottolineando il fatto che, già prima della stipulazione, la Regione aveva avviato un’istruttoria nei confronti della controparte, circostanza di cui però gli attori non erano stati informati. Il Giudice accoglieva la domanda ma il Tribunale riformava la decisione. La decisione di seconde cure si fondava sull’affermazione per cui la prestazione a cui la società si era obbligata era temporaneamente divenuta impossibile a causa di un provvedimento amministrativo illegittimo, avendo infatti il TAR annullato il provvedimento medesimo. I soccombenti ricorrono dinanzi alla Corte di Cassazione. Impossibilità di adempiere. Il Collegio richiama la costante giurisprudenza secondo cui la liberazione del debitore per sopravvenuta impossibilità della sua prestazione può verificarsi solo se ed in quanto concorrano l’elemento obiettivo della impossibilità di eseguire la prestazione medesima, in sé considerata, e quello soggettivo dell’assenza di colpa da parte del debitore riguardo alla determinazione dell’evento che ha reso impossibile la prestazione . L’impossibilità di adempiere la propria obbligazione secondo quanto pattuito nel contratto non può dunque essere invocata con riferimento ad un ordine o divieto dell’autorità amministrativa sopravvenuto ma ragionevolmente e facilmente prevedibile, secondo la comune diligenza, in sede di stipulazione oppure in ragione al quale egli non abbia tentato tutte le alternative possibili per rimuovere la resistenza o il rifiuto della pubblica autorità. Aggiunge poi la sentenza in commento che il contraente ha l’onere di controllare al propria attitudine all’adempimento delle obbligazioni assunte ne consegue che egli è senz’altro in colpa ove contragga, senza avere la consapevolezza, in base alla comune diligenza, di poter mantenere gli impegni assunti . Applicando tali principi alla vicenda, la Corte afferma che la società, anche nella convinzione dell’illegittimità del preannunciato provvedimento amministrativo di revoca, era edotta della pendenza di un procedimento a suo carico e non poteva dunque invocare la sopravvenuta impossibilità di adempiere. In conclusione, la sentenza viene cassata con rinvio al Tribunale.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 3 maggio – 8 giugno 2018, n. 14915 Presidente Vivaldi – Relatore Iannello Fatti di causa 1. C.M. stipulava in data 29/10/2007 con la Tecnica 2000 S.r.l. un contratto per la partecipazione ad un corso triennale per Terapisti della Riabilitazione , avendo ricevuto assicurazione che il titolo conseguito all’esito del corso sarebbe stato equipollente al diploma universitario in fisioterapia ed avrebbe abilitato all’esercizio della relativa professione il padre, C.G.S. , emetteva in pari data assegno bancario per l’importo di Euro 6.257,00, quale corrispettivo dell’intero primo anno di corso. Il 22/2/2008, dopo soli tre mesi dal loro inizio, la scuola interrompeva le lezioni informando gli studenti che il Consiglio Regionale della Regione Abruzzo aveva revocato l’autorizzazione ad espletare il corso. Restituiva pertanto al C. l’importo di Euro 3.153,47 trattenendo il residuo quale corrispettivo delle lezioni impartite nei tre mesi precedenti. In quell’occasione i predetti apprendevano una circostanza prima taciuta dai responsabili dell’istituto e cioè che, con nota del 15/10/2007, precedente quindi alla sottoscrizione del contratto, la Direzione Sanità - Servizio Pianificazione e Sviluppo Risorse Umane - della Giunta Regionale aveva dato formale comunicazione, ai sensi degli artt. 7 e 8 della legge n. 241 del 1990, dell’avvio del procedimento istruttorio finalizzato all’adozione di una deliberazione di Giunta Regionale avente ad oggetto la proposta di revoca al Consiglio Regionale dell’autorizzazione conferita alla società Tecnica 2000 S.r.l. per l’espletamento del corso triennale di Terapista della Riabilitazione . Sulla base di tali premesse C.M. e G.S. convenivano in giudizio avanti il Giudice di pace di Avezzano la Tecnica 2000 S.r.l. chiedendo dichiararsi la risoluzione del contratto per inadempimento della convenuta con la condanna della stessa alla restituzione delle somme indebitamente trattenute, pari a Euro 3.622,70, oltre rivalutazione e interessi ne chiedeva altresì la condanna al risarcimento del danno, nei limiti di competenza del giudice adito. Instaurato il contraddittorio, il Giudice di pace accoglieva in toto le domande, condannando la società convenuta alla restituzione dell’importo trattenuto a titolo di corrispettivo e al pagamento della somma di Euro 1.212,30, a titolo di risarcimento dei danni provocati per le spese sostenute e documentate. 2. Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale di Avezzano ha accolto l’appello interposto dalla soccombente e, per l’effetto, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato le domande proposte da C.M. e G.S. , compensando le spese di lite. Qualificata la domanda come volta a ottenere la risoluzione del contratto, la restituzione dell’indebito e il risarcimento del danno da inadempimento ex art. 1453 cod. civ., ha rilevato il giudice d’appello che, dalle stesse comuni allegazioni delle parti emerge come la prestazione cui Tecnica 2000 S.r.l. si era obbligata sia divenuta temporaneamente impossibile a cagione di un provvedimento amministrativo di revoca illegittimo ed infatti successivamente annullato con sentenza Tar Abruzzo 583/09 . Argomentando quindi dal principio affermato da Cass. 16/10/2012, n. 17771 - secondo cui deve escludersi che l’atto amministrativo, pur illegittimo, che abbia costituito impedimento alla prestazione contrattuale, determini l’esonero da responsabilità del debitore che non si sia diligentemente attivato in modo adeguato per ottenerne la revoca o l’annullamento - ha affermato che nel caso di specie tale responsabilità non può essere addebitata alla debitrice avendo questa tempestivamente impugnato l’atto amministrativo impeditivo ottenendone l’annullamento. Ha inoltre escluso che la dedotta responsabilità potesse conseguire dall’aver omesso di informare gli appellanti dell’esistenza di un procedimento amministrativo prodromico all’adozione dell’atto di revoca, osservando che il dovere per il debitore di verificare la propria attitudine all’adempimento delle obbligazioni assunte non può estendersi sino a ricomprendere anche i futuri provvedimenti illegittimamente adottati dalla p.a., avverso i quali egli ha solo l’onere di reagire chiedendone la revoca o l’annullamento una volta emanati , ma non anche quello di informare la controparte della possibilità di una loro adozione . 3. Avverso tale decisione C.M. e G.S. propongono ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, cui resiste Tecnica 2000 S.r.l., depositando controricorso. I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 1337 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ Lamentano che erroneamente il giudice d’appello ha escluso che l’obbligo di diligenza e correttezza derivante dal contratto si estenda sino a ricomprendere anche quello di informare la controparte della possibilità dell’adozione di futuri provvedimenti illegittimamente adottati dalla p.a. anche in un caso, quale quello di specie, in cui il debitore ne era consapevole e avrebbe dovuto quindi consentire alla controparte di scegliere se contrarre o meno, in maniera altrettanto consapevole. Sostengono che, in tal caso, è dunque evidente la responsabilità della controparte per aver taciuto, in violazione dell’art. 1337 cod. civ., una circostanza determinante ai fini della formazione della libera volontà dell’altro contraente, ragion per cui deve rispondere, anche solo per questo comportamento, dell’inadempimento contrattuale e dei danni causati. 2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 1453, 1458 e 1218 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ Lamentano che erroneamente il giudice d’appello ha ritenuto che ad escludere la dedotta responsabilità da inadempimento potesse nel caso valere la circostanza che la debitrice si sia tempestivamente attivata impugnando la delibera di revoca e ottenendone l’annullamento. Ciò in ragione di tre argomenti - nella fattispecie oggetto del richiamato arresto di Cass. n. 17771 del 2012 l’atto amministrativo aveva inciso sul momento strumentale o finale dell’esecuzione e non era quindi conosciuto né prevedibile al momento della conclusione del contratto, mentre nel caso di specie esso ha influito sul momento della formazione del contratto dal momento che era stato preannunciato prima della stipula di questo - l’annullamento dell’atto amministrativo ostativo è intervenuto in concreto dopo oltre due anni dalla interruzione della prestazione, quando questa era divenuta ormai inutile - lo stesso precedente giurisprudenziale, nonché l’altro pure richiamato in sentenza di Cass. n. 1950 del 1979, precisa che il provvedimento della p.a. non esonera da responsabilità il debitore se poteva da questi essere previsto, condizione nella specie certamente sussistente posto che il provvedimento ostativo era stato preannunciato formalmente ben prima della stipula del contratto. 3. Con il terzo motivo i ricorrenti infine denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 1457 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., per avere il giudice d’appello ritenuto che, per effetto dell’atto amministrativo descritto, la prestazione della scuola fosse divenuta solo temporaneamente impossibile , senza far riferimento ad alcun termine temporale e senza verificare la persistenza dell’interesse dell’altro contraente. Rilevano per contro che l’interruzione del corso, dopo appena tre mesi dall’inizio, a seguito della revoca disposta dalla Regione Abruzzo, senza peraltro l’immediata tempestiva proposizione di una richiesta di sospensiva davanti al Tar, non può non essere considerata giusto motivo di risoluzione del contratto per inadempimento, essendo impensabile che lo studente debba attendere l’esito del giudizio amministrativo conclusosi dopo oltre due anni dall’interruzione del corso per riprendere e completare i propri studi. 4. È fondato il secondo motivo di ricorso. Secondo principio più volte affermato nella giurisprudenza di questa Corte, la liberazione del debitore per sopravvenuta impossibilità della sua prestazione può verificarsi, secondo la previsione degli artt. 1218 e 1256 cod. civ., solo se ed in quanto concorrano l’elemento obiettivo della impossibilità di eseguire la prestazione medesima, in sé considerata, e quello soggettivo dell’assenza di colpa da parte del debitore riguardo alla determinazione dell’evento che ha reso impossibile la prestazione. Pertanto, nel caso in cui il debitore non abbia adempiuto la propria obbligazione nei termini contrattualmente stabiliti, egli non può invocare la predetta impossibilità con riferimento ad un ordine o divieto dell’autorità amministrativa factum principis sopravvenuto, e che fosse ragionevolmente e facilmente prevedibile, secondo la comune diligenza, all’atto della assunzione della obbligazione, ovvero rispetto al quale non abbia, sempre nei limiti segnati dal criterio della ordinaria diligenza, sperimentato tutte le possibilità che gli si offrivano per vincere o rimuovere la resistenza o il rifiuto della pubblica autorità v. ex aliis Cass. 10/06/2016, n. 11914 28/11/1998, n. 12093 . Il contraente ha l’onere di controllare la propria attitudine all’adempimento delle obbligazioni assunte ne consegue che egli è senz’altro in colpa ove contragga, senza avere la consapevolezza, in base alla comune diligenza, di poter mantenere gli impegni assunti e può invocare l’esonero da responsabilità solo per quei fatti che non erano superabili o non erano affatto prevedibili Cass. 04/04/1979, n. 1950 07/01/1970, n. 44 . Nel caso di specie è indubbio che, al di là della intima convinzione pure rivelatasi a posteriori fondata della illegittimità del preannunciato possibile provvedimento di revoca, la nota del 17/10/2007 rendeva comunque edotta la società della pendenza di un procedimento che, seppur a torto, avrebbe potuto sfociare nella revoca dell’autorizzazione. L’aver assunto l’obbligazione contrattuale in tale situazione, senza prima essersi attivata la società per contrastare in ogni modo tale eventualità e averla scongiurata, esclude l’effetto liberatorio della successiva sopravvenuta impossibilità della prestazione. L’imputabilità del factum principis è dunque nel caso in esame configurabile, non perché la debitrice abbia posto in essere o non abbia eliminato le condizioni che hanno determinato il provvedimento ostativo, ma perché questo, ancorché illegittimo e successivamente prontamente impugnato era comunque prevedibile. Le considerazioni al riguardo svolte in sentenza non colgono tale ultimo aspetto fermandosi al primo e si rivelano rispetto ad esso eccentriche, risolvendosi pertanto nell’affermazione di una regula iuris contrastante con i principi in materia costantemente affermati. La sentenza va pertanto cassata - restando assorbito l’esame dei restanti motivi di ricorso - la causa rinviata al giudice a quo, al quale va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. accoglie il secondo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione dichiara assorbiti i rimanenti cassa la sentenza in relazione al motivo accolto rinvia al Tribunale di Avezzano in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.