Mancata pattuizione degli interessi ultra legali: il vincolo del giudicato interno

La Corte di legittimità, chiamata a risolvere una lite fra banca e correntista, ha dunque stabilito che si forma giudicato interno sulla sentenza non definitiva qualora questa non sia oggetto di specifico gravame da parte dell’interessato.

Con la decisione n. 6251, depositata il 14 marzo 2018, la Prima Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione ha chiarito che il Giudice di merito, quando emette sentenza non definitiva, resta vincolato alla stessa, sia in ordine alle questioni ivi decise, sia per quelle che ne costituiscono il presupposto logico necessario senza poterle più risolvere in senso diverso in sentenza definitiva. La Corte di legittimità, chiamata a risolvere una lite fra banca e correntista, ha dunque stabilito che si forma giudicato interno sulla sentenza non definitiva che nella fattispecie aveva accertato la mancata pattuizione degli interessi ultralegali qualora questa non sia oggetto di specifico gravame da parte dell’interessato. Il caso. Una banca otteneva dal Tribunale di Roma l’emissione di un decreto ingiuntivo, per circa € 900.000, quale saldo debitore del conto corrente, nei confronti di una società sua cliente e del proprio fideiussore. Questi ultimi notificano atto di citazione in opposizione innanzi al Tribunale di Roma il quale dapprima, con sentenza non definitiva, accertava come la banca non avesse fornito prova documentale della convenzione in essere tra le parti in ordine al tasso di interesse applicato al rapporto poi, con sentenza definitiva, revocava il decreto ingiuntivo condannando il fideiussore al pagamento della somma di circa € 420.000 rideterminata applicando il tasso di interesse convenzionalmente pattuito. Il fideiussore impugnava entrambe le suddette sentenze e nel giudizio innanzi alla Corte d’Appello di Roma si costituiva la società cessionaria del credito della banca. Il secondo Giudice, con sentenza non definitiva, condannava il fideiussore al pagamento della minor somma – rispetto a quella determinata nella sentenza di primo grado – che sarebbe stata accertata con apposita CTU. Più in dettaglio, e per quel che qui rileva, riteneva la Corte territoriale che non fosse coperta da giudicato la questione relativa alla determinazione degli interessi di cui alla sentenza non definitiva del primo giudice potendosi, nella fattispecie, applicare interessi legali ove non diversamente pattuiti, nonché la capitalizzazione annuale degli interessi medesimi in assenza di specifica approvazione della clausola in punto di capitalizzazione trimestrale. La Corte di Appello pronunciava infine sentenza definitiva condannando il fideiussore al pagamento della somma rideterminata di circa € 380.000. Il fideiussore ricorreva per cassazione. L’eccezione di giudicato interno. Il fideiussore ha formulato 6 motivi di ricorso per Cassazione di cui il primo, il quarto ed il sesto sono stati affrontati dalla Corte di legittimità mentre gli altri ritenuti assorbiti. Segnatamente, con il primo motivo, il ricorrente ritiene che la sentenza della Corte di Appello di Roma sia erronea poiché in violazione e falsa applicazione degli artt. 324, 329 e 340 c.p.c., oltre che dell'art. 2909 c.c Al riguardo, il ricorrente deduce che, con la sentenza non definitiva, il Tribunale di Roma aveva rilevato come la banca non avesse provveduto a dimostrare che tutte le domande da essa dedotte col procedimento monitorio fossero assistite da prova documentale ed in particolare sul punto della convenzione in ordine al tasso di interesse da applicare al caso concreto . Osserva, poi, il fideiussore che, nonostante siffatto accertamento in punto di insussistenza di specifica pattuizione sulla determinazione degli interessi in deroga alla disciplina legale, il Tribunale di Roma nella sentenza definitiva ha erroneamente applicato al rapporto di conto corrente proprio il tasso di interesse convenzionalmente stabilito dalle parti. In questo contesto, ad avviso del ricorrente, la Corte di Appello di Roma aveva escluso il formarsi del giudicato in ordine alla sentenza non definitiva del Tribunale di Roma erroneamente trascurando che alla riserva di gravame formulata dalla banca non era poi seguita alcuna impugnazione sul punto. I Giudici di Legittimità ritengono siffatto motivo fondato. La Suprema Corte ricorda innanzi tutto che è principio consolidato che il giudice resti vincolato dalla sentenza non definitiva anche se non passata in giudicato , sia in ordine alle questioni definite, sia per quelle che ne costituiscano il presupposto logico necessario, senza poter più risolvere le stesse questioni in senso diverso ove lo faccia, il Giudice di legittimità può rilevare d'ufficio tale violazione Cass. n. 6689/2012 Cass. n. 13513/2007 . In questa prospettiva, e venendo alla fattispecie, osserva la Corte di legittimità come con riguardo al tema degli interessi ultralegali, a seguito dell'accertamento, contenuto nella sentenza non definitiva del Tribunale di Roma, lo stesso non avrebbe potuto rendere una seconda statuizione e individuare il saggio di interesse debitore pattuito tra la banca e il correntista. Infatti, il primo Giudice si era già spogliato della potestas judicandi su detta questione sicché gli era precluso riesaminarla e modificare la pronuncia precedentemente adottata. Chiarisce ulteriormente la Corte che, sul punto che qui interessa, si era formato il giudicato interno posto che la statuizione di cui alla sentenza non definitiva, in punto di insussistenza di una convenzione di tasso tra la società correntista e la banca, non era stata fatta oggetto di impugnazione da parte della banca medesima e il gravame proposto dal fideiussore non aveva investito detto accertamento. Sugli effetti della mancata specifica accettazione da parte del correntista della capitalizzazione trimestrale degli interessi. Con il quarto motivo il ricorrente censura, tra l’altro, la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell'art. 1283 c.c. deducendo che il Giudice di Appello, una volta riconosciuta l'illegittima capitalizzazione degli interessi debitori, avrebbe dovuto eliminare totalmente gli interessi anatocistici invece che ritenere legittima la capitalizzazione annuale dei interessi medesimi. Anche tale motivo, nei termini appena sintetizzati, viene accolto dalla Corte di Cassazione la quale rileva che il secondo giudice ha deciso in modo non conforme all'insegnamento di cui alla nota pronuncia delle Sezione Unite n. 24418/2010 . Ricordano infatti i Giudici di legittimità che, una volta dichiarata la nullità della previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall'art. 1283 c.c. il quale osterebbe anche ad un'eventuale previsione negoziale di capitalizzazione annuale , gli interessi a debito del correntista devono essere calcolati senza operare alcuna capitalizzazione in senso conforme cfr. Cass. n. 17150/2016 Cass. n. 6550/2013 . Sull’onere della prova circa gli elementi di cui all’art. 1956 c.c Con il sesto motivo il ricorrente invoca la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1176 e 1956 c.c. rilevando di aver formulato in sede di appello specifico gravame circa la lievitazione del credito erogato dalla banca alla società nonostante la revoca del fido ciò pur nella consapevolezza, da parte della prima, del progressivo deterioramento delle condizioni economiche della correntista ed in assenza dell’autorizzazione del fideiussore di cui all’art. 1956 c.c Ad avviso del ricorrente, infatti, la banca aveva continuato ad erogare crediti di rilevante importo alla società sussistendo la prova del fatto oggettivo della concessione di finanziamenti ulteriori ed extra fido allorché era oramai conclamato lo stato di insolvenza della debitrice. La Corte di Cassazione respinge questo motivo, osservando in primo luogo come il secondo giudice, con riferimento all'eccezione ex art. 1956 c.c., avesse correttamente statuito che il fatto impeditivo su cui si fonda l'eccezione stessa doveva essere dimostrato dal fideiussore e non poteva ricavarsi dal semplice incremento, nel tempo, dell'esposizione debitoria, oltre il limite dell'affidamento. Ad avviso della Corte di Cassazione, pertanto, la sentenza impugnata poggia su una corretta applicazione dei principi di diritto enunciati nella giurisprudenza di legittimità Cass. n. 23422/2016 Cass. n. 2524/2006 , posto che il fideiussore che chiede la liberazione della garanzia prestata invocando l'applicazione dell'art. 1956 c.c. ha l'onere di provare, ai sensi dell'art. 2697 c.c., l'esistenza degli elementi richiesti a tal fine, e cioè che successivamente alla prestazione della fideiussione per obbligazioni future, il creditore, senza la sua autorizzazione, abbia fatto credito al terzo pur essendo consapevole dell'intervenuto peggioramento delle sue condizioni economiche. Conclude, quindi, la Corte di Cassazione ritenendo che non sia ravvisabile alcuna violazione, o falsa applicazione di legge, mentre ogni questione vertente sulla sussistenza o meno, in concreto, delle diverse condizioni poste dall'art. 1956 c.c. inerisce all'accertamento di fatto demandato al giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 6 dicembre 2017 – 14 marzo 2018, n. 6251 Presidente Tirelli – Relatore Falabella Fatti di causa 1. - Il Credito Italiano s.p.a. richiedeva ed otteneva dal Tribunale di Roma un decreto ingiuntivo nei confronti di più soggetti, tra cui W.G.M.H. decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento della somma di Lire 918.255.465, oltre interessi e spese, per il saldo debitore di un conto corrente intrattenuto dalla società Nuova Wamar, quale debitrice principale, con l’istituto bancario sopra indicato. Il predetto W.G. aveva prestato fideiussione per le obbligazioni contratte dalla suddetta società nei confronti della banca. Proposta opposizione, il Tribunale di Roma pronunciava due sentenze, una non definitiva e l’altra definitiva con quest’ultima era disposta la revoca del decreto ingiuntivo impugnato e la condanna di W.G. al pagamento, in favore di Unicredit Banca s.p.a. già Credito Italiano , della somma di Euro 427.543,93. 2. - Il fideiussore proponeva appello avverso entrambe le sentenze e la Corte di Roma, in data 4 marzo 2010, in esito al giudizio in cui interveniva volontariamente Eris Finance s.r.l., cessionaria del credito in contestazione, condannava l’appellante al pagamento nella minor somma, rispetto a quella indicata nella gravata sentenza, che verrà determinata in prosieguo di giudizio, a mezzo c.t.u. . In particolare escludeva che fosse coperta da giudicato la questione relativa alla pattuizione degli interessi decisa dalla sentenza non definitiva del Tribunale riteneva che al rapporto dovesse applicarsi l’interesse legale a far data dal 9 luglio 1992 e cioè dal momento cui era entrata in vigore la legge sulla trasparenza bancaria l. n. 154/1992 reputava che, a fronte dell’applicazione, da parte della banca, dell’anatocismo trimestrale, non consentito, gli interessi andassero capitalizzati annualmente e che analogo criterio dovesse trovare riscontro per la commissione di massimo scoperto respingeva l’eccezione ex art. 1956 c.c. formulata dal fideiussore. Il 19 giugno 2013 era poi pronunciata sentenza definitiva con cui l’originario ingiunto era condannato al pagamento della somma complessiva di Euro 380.204,59, oltre interessi. 3. - Entrambe le sentenze della Corte di appello di Roma sono state impugnate per cassazione da Mariano Hugo W.G. il ricorso è basato su sei motivi ed è illustrato da memoria. Resiste con controricorso Eris Finance, costituita in giudizio attraverso la mandataria Italfondiario s.p.a. anche la controricorrente ha depositato memoria. Ragioni della decisione 1. - I motivi di ricorso possono riassumersi come segue. 1.1. - Col primo motivo viene eccepito il giudicato interno ed è formulata una censura di violazione e falsa applicazione degli artt. 324, 329 e 340 c.p.c., oltre che dell’art. 2909 c.c Deduce l’istante che con la sentenza non definitiva il Tribunale aveva rilevato come la banca non avesse provveduto a dimostrare che tutte le domande da essa dedotte col procedimento monitorio fossero assistite da prova documentale ed in particolare sul punto della convenzione in ordine al tasso di interesse da applicare al caso concreto . Osserva poi che con la sentenza definitiva lo stesso Tribunale aveva ritenuto di applicare il tasso del 13%, in quanto convenzionalmente stabilito e che esso ricorrente, nel proprio atto di appello, aveva denunciato la decisione adottata dal giudice di prima istanza in questa seconda pronuncia decisione assunta senza tener conto dell’insussistenza, già accertata con la prima sentenza, di alcuna pattuizione che derogasse la disciplina legale. Ha poi evidenziato che la Corte di appello, pronunciandosi sul tema, aveva rimarcato non essersi formato alcun giudicato, stante la riserva di gravame formulata sul punto, ma aveva trascurato di considerare che a tale riserva non era seguita alcuna impugnazione. 1.2. - Il secondo motivo lamenta l’omessa pronuncia su di un motivo di appello e, quindi, la violazione dell’art. 112 c.p.c L’istante rileva di aver censurato la sentenza di primo grado deducendo che la stessa aveva ignorato la propria eccezione quanto all’insussistenza di pattuizioni sulla determinazione del tasso di interesse. Analoga carenza doveva ravvisarsi, ad avviso del ricorrente, nella pronuncia di appello. 1.3. - Col terzo mezzo sono denunciate la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1284 c.c. e 117 t.u.b. d.lgs. n. 385/1993 , nonché l’illogicità e contraddittorietà della motivazione. Rileva l’istante che a torto la Corte di merito aveva ritenuto che la nullità relativa alla mancata pattuizione della misura degli interessi derivasse dall’introduzione della nuova disciplina dettata dalla l. n. 154/1992 e dal d.lgs. n. 385/1993, e quindi operasse a partire dal 9 luglio 1992. 1.4. - Il quarto motivo censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 1283 c.c Il ricorrente oppone che il giudice di appello, una volta riconosciuta l’illegittima capitalizzazione degli interessi debitori, avrebbe dovuto eliminare totalmente gli interessi anatocistici, laddove, di contro, aveva ritenuto legittima la capitalizzazione annuale dei detti interessi, oltre che della commissione di massimo scoperto. Con riferimento a detta commissione ha poi evidenziato che la stessa non era stata regolata convenzionalmente neanche relativamente al quantum. 1.5. - Con il quinto motivo è dedotta una ulteriore violazione dell’art. 1284 c.c., oltre che dell’art. 198 c.p.c Il ricorrente si duole del fatto che il tasso legittimamente dovuto , tasso di cui era fatta parola nella sentenza non definitiva della Corte di appello, era stato desunto dagli estratti di conto corrente di contro, tale saggio, in assenza di pattuizioni derogative, avrebbe dovuto essere operata alla stregua dell’art. 1284 c.c 1.6. - Il sesto mezzo oppone la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1176 e 1956 c.c. Rileva il ricorrente di aver formulato uno specifico motivo di impugnazione vertente sulla lievitazione del credito erogato all’obbligata principale e, segnatamente, sul superamento dei limiti di affidamento inizialmente concessi, sulla consapevolezza, da parte della banca, del progressivo deterioramento delle condizioni economiche della società correntista e sull’inesistenza delle autorizzazioni dei garanti, siccome previste dall’art. 1956 c.c Infatti, nonostante la revoca dell’affidamento, la banca aveva continuato ad erogare crediti di rilevante importo alla debitrice principale e sussisteva la prova del fatto oggettivo della concessione di finanziamenti ulteriori ed extra fido allorché era oramai conclamato lo stato di insolvenza del debitore. Era inoltre errato, e comunque non pertinente - ad avviso del ricorrente - l’assunto dell’irretroattività della L. n. 154/1992 e, quindi, l’affermazione della inapplicabilità della stessa alle fideiussioni concesse prima dell’entrata in vigore della detta legge. Infine, la qualità, in capo a W.G. , di socio e di finanziatore della società debitrice non implicava affatto -secondo il ricorrente - la conoscenza della situazione finanziaria di essa, mentre la carica di amministratore era venuta meno prima del manifestarsi dell’insolvenza. 2. - Il primo motivo appare fondato. Sul punto, occorre rilevare che il giudice resta vincolato dalla sentenza non definitiva anche se non passata in giudicato , sia in ordine alle questioni definite, sia per quelle che ne costituiscano il presupposto logico necessario, senza poter più risolvere le stesse questioni in senso diverso e, ove lo faccia, il giudice di legittimità può rilevare d’ufficio tale violazione Cass. 3 maggio 2012, n. 6689 Cass. 8 giugno 2007, n. 13513 . Con riguardo al tema degli interessi ultralegali, a seguito dell’accertamento, contenuto nella prima sentenza del Tribunale, lo stesso giudice di prime cure non avrebbe potuto rendere una seconda statuizione e individuare il saggio di interesse debitore pattuito tra la banca e il correntista. Infatti, il Tribunale si era spogliato della potestas judicandi su detta questione con la decisione resa attraverso la sentenza non definitiva onde gli era precluso riesaminarla e modificare la pronuncia precedentemente adottata . Peraltro, sul punto che qui interessa si era pure formato il giudicato interno la detta statuizione vertente sull’insussistenza di una convenzione di tasso tra la correntista e la banca non è stata fatta oggetto di impugnazione da parte di Unicredit e il gravame proposto dall’odierno ricorrente non investiva il detto accertamento erra pertanto la Corte di merito allorquando assume che il detto giudicato non si sarebbe prodotto. 2.1. - L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento del secondo, del terzo e del quinto. 2.2. - Nei termini che si vengono a esporre anche il quarto motivo merita accoglimento. La soluzione fatta propria dalla Corte distrettuale non risulta conforme all’insegnamento di Cass. sez. U. 2 dicembre 2010, n. 24418, secondo cui, dichiarata la nullità della previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale, per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall’art. 1283 c.c. il quale osterebbe anche ad un’eventuale previsione negoziale di capitalizzazione annuale , gli interessi a debito del correntista devono essere calcolati senza operare alcuna capitalizzazione in senso conforme Cass. 17 agosto 2016, n. 17150 Cass. 14 marzo 2013, n. 6550 . Mentre analoga conclusione va seguita per la capitalizzazione degli interessi sulla commissione di massimo scoperto, la questione relativa alla mancata regolamentazione della detta commissione, pure oggetto del quarto motivo, appare carente di autosufficienza. Infatti, il ricorrente non spiega se e come la questione stessa fosse stata proposta nella precedente fase del giudizio, né di un tale tema la sentenza impugnata si occupa. Va ricordato, in proposito, che ove con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675 cfr. pure, ad es. Cass. 28 luglio 2008, n. 20518 Cass. 26 febbraio 2007, n. 4391 . 2.3. - Va invece respinto il sesto motivo. La Corte di merito, con riferimento all’eccezione ex art. 1956 c.c. proposta dall’odierno ricorrente ha osservato che, tra l’altro, il fatto impeditivo su cui si fonda l’eccezione stessa doveva essere dimostrato dal fideiussore e non poteva ricavarsi dal semplice incremento, nel tempo, dell’esposizione debitoria, oltre il limite dell’affidamento. L’affermazione della Corte di merito poggia su una corretta applicazione dei principi di diritto, dal momento che il fideiussore che chieda la liberazione della garanzia prestata invocando l’applicazione dell’art. 1956 c.c. ha l’onere di provare, ai sensi dell’art. 2697 c.c., l’esistenza degli elementi richiesti a tal fine, e cioè che, successivamente alla prestazione della fideiussione per obbligazioni future, il creditore, senza la sua autorizzazione, abbia fatto credito al terzo pur essendo consapevole dell’intervenuto peggioramento delle sue condizioni economiche Cass. 17 novembre 2016, n. 23422 Cass. 7 febbraio 2006, n. 2524 . La violazione, o falsa applicazione di legge, dunque, non si ravvisa, mentre ogni questione vertente sulla sussistenza o meno, in concreto, delle diverse condizioni poste dall’art. 1956 c.c. inerisce all’accertamento di fatto demandato al giudice del merito, non sindacabile nella presente sede. 3. - In conclusione, vanno accolti il primo e, per quanto di ragione, il quarto motivo, deve essere respinto il sesto e vanno dichiarati assorbiti i restanti. La sentenza è cassata con riferimento ai motivi accolti e la causa deve essere rinviata alla Corte di appello di Roma, in altra composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo e, per quanto di ragione, il quarto, rigetta il sesto e dichiara assorbiti il secondo, il terzo e il quinto cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.