La vendita di opere d’arte può essere considerata strumento finanziario

La vendita di opere d’arte, se qualificata strumento finanziario, è soggetta a controllo da parte della Consob.

Contratto di vendita si guardi struttura e modalità negoziali per capire se è o non è strumento finanziario Corte di Cassazione, sentenza n. 5911/18, depositata il 12 marzo . La nozione di investimento di natura finanziaria comprende ogni conferimento di una somma di danaro da parte del risparmiatore con un'aspettativa di profitto o remunerazione ovvero di utilità, unita ad un rischio, a fronte delle disponibilità impiegate in un dato intervallo temporale. Ne consegue che è configurabile come prodotto finanziario, con correlata applicazione della disciplina in materia di sollecitazione all'investimento, il contratto in cui una società proponga al pubblico il blocco di una somma per un dato tempo in prospettiva di un guadagno, mediante un meccanismo negoziale consistente nella consegna all'investitore di un bene a fronte dell’immediato versamento del prezzo, con impegno del venditore di riprendersi il bene dopo un tempo determinato unitamente a restituzione del capitale con maggiorazione di prezzo. Il caso. La Consob sanzionava una S.p.a. ed il relativo legale rappresentante perché qualificava la vendita di opera d’arte con offerta al pubblico e clausola di recesso con restituzione maggiorata del prezzo come strumento finanziario. La parte sanzionata, proponeva opposizione. La Corte d’Appello, prendendo atto delle risultanze processuali, visti i contratti utilizzati, le modalità di contrattazione adottata individuata nell’applicazione di scontistica e nella possibilità di recedere dall’acquisto - delle opere d’arte - nei successivi 24 mesi, ottenendo la restituzione del prezzo di mercato non del prezzo di acquisto , rilevato che oltre il 90% delle vendite si concludeva con la restituzione, chiariva che l’elemento predominante del contratto non era la vendita dell’opera bensì la restituzione con ottenimento del plusvalore differenza tra prezzo di acquisto scontato e prezzo di mercato . La fattispecie era sussumibile nella vendita di prodotti finanziari con offerta al pubblico. Pertanto, il giudice territoriale confermava il provvedimento Consob. La parte ha proposto ricorso per cassazione. Quando un contratto può dirsi contratto finanziario. La tesi difensiva della società di investimento sosteneva che la fattispecie in questione doveva essere ricondotta alla semplice vendita di opere d’arte con possibilità di recesso e riteneva non rilevante, in caso di recesso, la restituzione di un prezzo maggiorato. La Cassazione ha respinto la tesi. Sono prodotti finanziari gli strumenti finanziari e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria non costituiscono prodotti finanziari i depositi bancari o postali non rappresentati da strumenti finanziari – art. 1, comma 1, lett. u , TUF. La definizione, spiega la S.C., è aperta e generica e non esclude che meccanismi di vendita dei beni possano essere strumenti finanziari. Sul punto si segnala la nozione di investimento di natura finanziaria comprende ogni conferimento di una somma di danaro da parte del risparmiatore con un'aspettativa di profitto o remunerazione ovvero di utilità, unita ad un rischio, a fronte delle disponibilità impiegate in un dato intervallo temporale. Ne consegue che è configurabile come prodotto finanziario, con correlata applicazione della disciplina in materia di sollecitazione all'investimento, il contratto in cui una società proponga al pubblico il blocco” di una somma per un anno in prospettiva di un guadagno, mediante un meccanismo negoziale consistente nella consegna in affidamento all'investitore di un diamante del valore ipotetico di mille euro, chiuso in un involucro sigillato, contro il versamento in denaro di un identico importo, con l'impegno della società di riprendersi” il prezioso dopo dodici mesi e di restituire il capitale maggiorato di ottanta euro, senza alcun'altra prestazione a carico dell'investitore, prevalendo in detta operazione gli elementi del credito fruttifero e della garanzia rispetto a quello della custodia, e sussistendo, altresì, il rischio emittente” legato all'incertezza sulla capacità della società di restituire il tantundem ” con l'incremento promesso – Cass. n. 2736/2013. Nel caso di specie, osserva la S.C., la vendita di opere d’arte, per modalità e contenuto dell’accordo, non può essere qualificata come semplice transazione commerciale. L’operazione effettuata si caratterizza per l’alea individuabile, ovvero, nella possibilità di non ottenere il rimborso del prezzo dal soggetto originariamente venditore, pertanto è strumento finanziario. Con tale argomentazioni la S.C. ha confermato la decisione impugnata.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 19 giugno 2017 – 12 marzo 2018, n. 5911 Presidente Petitti – Relatore Grasso Fatti di causa 1. - Con ricorso depositato il 26 marzo 2013 e notificato il 25-26 febbraio 2013, S.L. , n.q. di legale rappresentante della Arteinvest s.p.a., e V.P. proponevano opposizione, ai sensi dell’articolo 195 d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, TUIF , avverso la delibera della Consob n. 18443 del 17 gennaio 2013, recante l’irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie per importi pari a Euro 300.000,00 nei confronti del S. e Euro 750.000,00 nei riguardi del V. , oltre a sanzioni accessorie ai sensi dell’art. 191, comma 3, TUIF per tre accertate violazioni dell’art. 94, comma 1, TUIF, in relazione 1 all’offerta al pubblico avente a oggetto contratti di compravendita di opere d’arte 2 all’offerta al pubblico di un prestito obbligazionario convertibile in azioni della European Insurance Group Ltd. E.I.G. , di durata biennale con scadenza 31 marzo 2009 emesso dalla Co.Ge.S.Fin. 3 all’offerta al pubblico di un prestito obbligazionario convertibile in azioni della E.I.G. di durata biennale, con scadenza 31 marzo 2010 emesso dalla Co.Ge.S.Fin 1.1. - La Corte d’appello di Napoli, con decreto depositato in data 29 agosto 2014, ha respinto l’opposizione. Secondo l’apprezzamento compiuto dai giudici del merito, le finalità complessive dello scambio e le prospettive proposte agli acquirenti evidenziavano che l’operazione compiuta andava qualificata come investimento di natura finanziaria e non quale mero investimento di beni materiali suscettibili di godimento. Alla luce dei contratti in atti e dei verbali di assunzione di informazioni risultava che erano state vendute opere d’arte a un prezzo scontato di una percentuale variabile tra il 5% e il 7% rispetto a quello indicato nel listino, conferendo al tempo stesso agli acquirenti l’opzione di risolvere il contratto e ottenere, alla scadenza del termine previsto, la restituzione di un importo pari non al corrispettivo versato in sede di acquisto ma al c.d. prezzo di listino dell’opera d’arte, ovvero a un prezzo maggiorato del 5% o 7%, nel termine di 24 mesi, con la garanzia di un rendimento finanziario della somma investita. La sovrapponibilità di tale operazione con l’acquisto di una obbligazione di tipo zero coupon, garantita dall’opera d’arte, emergeva anche dalla circostanza che oltre il 90% degli acquirenti aveva esercitato il diritto a retrocedere le opere. A fronte di tale operazione, il godimento dell’opera prima della retrocessione e l’assenza di un obbligo di restituirla alla scadenza apparivano elementi accessori rispetto al riacquisto della disponibilità di denaro con la plusvalenza dovuta ai differenziale di prezzo. Alla scadenza del termine, Arteinvest e Co.Ge.S.Fin. avevano inoltre offerto ai clienti, in luogo della corresponsione della somma di denaro indicata in contratto, obbligazioni emesse dalla società Co.Ge.S.Fin. cònvertibili in azioni della E.I.G La corte d’appello riconosceva altresì la destinazione al pubblico dell’offerta, posto che per la stessa non è necessario rivolgersi a strumenti di pubblicità di massa, apparendo sufficiente la destinazione a una pluralità indifferenziata di soggetti, nella specie evidenziandosi che vi erano stati n. 999 aderenti. 2. - Per la cassazione del decreto della corte d’appello S.L. , n.q. di legale rappresentante della Arteinvest s.p.a., e V.P. hanno proposto ricorso, con atto notificato il 2 aprile 2015, sulla base di un unico motivo. Ha resistito, con controricorso, la Consob. Il Ministero dell’economia e finanze si è costituito ai fini della partecipazione all’udienza di discussione. In prossimità dell’udienza i ricorrenti e la Consob hanno depositato memorie ai sensi dell’articolo 378 c.p.c Ragioni della decisione 1. - In via preliminare va respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza, giacché la lettura dell’atto consente di individuare i fatti di causa e i motivi di doglianza, né rileva l’incompletezza della copia della pronuncia impugnata, giacché i motivi di ricorso attengono alle pagine presenti in atti. 1.1. - Deve invece dichiararsi l’inammissibilità del controricorso in relazione alla posizione della Arteinvest s.p.a., essendo stato l’atto notificato nei riguardi della persona fisica di S.L. e non nella qualità di legale rappresentante della Arteinvest s.p.a. per cui era stata irrogata la sanzione amministrativa. 2. - Con l’unico motivo di ricorso si denuncia, cumulativamente, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 1, lett. t ed u e co. 4, TUIF in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c I ricorrenti contestano la decisione della corte d’appello che ha ricondotto la fattispecie al contratto di investimento, quale schema atipico comprensivo, ex art. 1, co. 1, lett. u , TUIF, di ogni forma di investimento finanziario, a prescindere dalla natura o dal tipo contrattuale adoperato. I giudici del gravame avrebbero erroneamente applicato i principi indicati dalla Corte di cassazione nella pronuncia del 5 febbraio 2013, n. 2736, ritenendo che per la qualificazione nella fattispecie non risulta decisivo il trasferimento di un bene in sé neppure se suscettibile di un godimento, ma la finalità complessiva dell’operazione posta in essere e le prospettive generali proposte agli investitori/acquirenti, ovvero - nella fattispecie concreta - l’ipotesi della compravendita dell’opera d’arte con possibilità per l’acquirente di imporre potestativamente al venditore il riscatto del bene compravenduto, a condizioni predeterminate nel momento dell’acquisto. Secondo quanto dedotto dai ricorrenti, i mezzi di pagamento non sono strumenti finanziari art. 1, comma 4, TUIF nel testo applicabile alla fattispecie e i contratti di compravendita non costituiscono di per sé, con la sola eccezione della compravendita di valuta, operazioni finanziarie. Nel caso di specie si sarebbe di fronte a un semplice meccanismo di compravendita di opere d’arte, finalizzato a lasciare nella sola sfera discrezionale della parte acquirente una facoltà di recesso con funzione risolutoria, il che differenzierebbe il caso in esame dall’ipotesi portata all’attenzione della Suprema Corte nella decisione n. 2736/2013. Non sarebbe inoltre dirimente per la qualificazione della fattispecie contrattuale il dato per cui all’esercizio del diritto di recesso veniva collegato il versamento di un valore monetario aggiuntivo, corrispondente allo sconto predeterminato sul prezzo di listino, così come la circostanza per cui la maggior parte degli acquirenti risultava in concreto aver optato per l’esercizio di tale facoltà. Si censura, inoltre, la pronuncia della Corte d’appello di Napoli in relazione al vizio di omesso esame di un fatto decisivo, con riferimento alla questione dell’offerta al pubblico, in relazione alla circostanza per cui ad alcuni acquirenti, che avevano il diritto di recesso, era stata offerta la possibilità di acquistare un prestito obbligazionario convertibile. 2.1. - Le censure sono infondate. Sebbene non sia tipizzato dal testo unico, il contratto di investimento si presta ad assurgere a forma giuridica di ogni investimento di natura finanziaria, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. u . L’atipicità del contratto riflette la natura aperta e atecnica di prodotto finanziario Cass. 5 febbraio 2013, n. 2736 Cass. 19 maggio 2005, n. 10598, con riferimento alla disciplina di cui alla legge 2 gennaio 1991, n. 1 , la quale, se da un lato costituisce la risposta del legislatore alla creatività del mercato e alla molteplicità di prodotti offerti al pubblico dai suoi attori, dall’altro risponde all’esigenza di tutela degli investitori, consentendo di ricondurre nell’ambito della disciplina di protezione dettata dal testo unico anche forme innominate di prodotti finanziari. L’investimento di natura finanziaria comprende ogni conferimento di una somma di denaro da parte del risparmiatore con un’aspettativa di profitto o di remunerazione, vale a dire di attesa di utilità a fronte delle disponibilità investite nell’intervallo determinato da un orizzonte temporale, e con un rischio Cass. n. 2736/2013 . Nel caso portato all’attenzione di questa Corte, sulla base della fattispecie concreta e avendo riguardo alla finalità complessiva di scambio, non ci troviamo di fronte a una mera transazione commerciale - nella specie della compravendita di opere d’arte garantita da un diritto di ripensamento , con restituzione del bene nel termine previsto - ma a un’operazione complessa, promossa da promotori finanziari, costituita dalla sottoscrizione di un contratto di compravendita di opere d’arte a un prezzo scontato con una percentuale variabile tra il 5% e il 7% del prezzo indicato in listino con la facoltà per gli acquirenti di risolvere il contratto e di ottenere, una volta scaduto il termine convenuto, la restituzione dell’importo superiore rispetto a quello versato al momento dell’acquisto e pari al prezzo di listino dell’opera d’arte. Tale operazione complessa, caratterizzata dalla predeterminazione dell’importo promesso, non è esente da rischio - nella specie del rischio emittente - così come indicato da questa Corte, in fattispecie del tutto analoga, per il riconoscimento della sussistenza di un prodotto finanziario Cass. n. 2736/2013 in cui il meccanismo negoziale consisteva nella consegna in affidamento di un diamante del valore ipotetico di 1.000 Euro, chiuso in un involucro sigillato, contro il versamento in denaro della stessa somma e l’impegno della società, dopo dodici mesi, di riprendersi il diamante, restituendo il capitale di 1.000 Euro e corrispondendo l’importo di 80 Euro a titolo di custodia, meccanismo attraverso cui si realizzava un investimento del capitale con la prospettiva dell’accrescimento delle disponibilità investite . Si ritiene infatti che poiché anche il rischio emittente è incluso nell’alea assunta dall’investitore mediante l’investimento, ai fini della configurabilità della presenza di un prodotto finanziario, con la correlata applicazione della disciplina in materia di sollecitazione, è sufficiente che sussista l’incertezza in merito non all’entità della prestazione dovuta o al momento in cui questa sarà erogata - bensì alla capacità stessa dell’emittente di restituire il tantundem, con la maggiorazione promessa . L’operazione va pertanto ricondotta nel novero dei prodotti finanziari. 2.2. - Non censurabile in questa sede è l’accertamento di fatto compiuto dalla corte d’appello, mentre nella struttura della motivazione il riferimento al numero di coloro che hanno optato per la restituzione delle opere assume valore meramente confermativo della qualificazione della fattispecie precedentemente operata. 2.3. - Risulta altresì infondata la censura concernente l’omesso esame di un fatto decisivo riguardo al profilo dell’offerta al pubblico del prestito obbligazionario, perché la lettura della motivazione consente di ritenere che tale profilo è stato trattato dalla corte d’appello nella parte riguardante la destinazione al pubblico dell’offerta, letto alla luce della prospettazione della Consob e del ragionamento successivo. 3. - Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo a carico del solo ricorrente V.P. , essendo stata dichiarata l’inammissibilità del controricorso in relazione alla posizione della Arteinvest s.p.a 4. - Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente V.P. al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che si liquidano in complessivi Euro 15.200,00, di cui 15.000,00 per compensi, oltre a spese generali nella misura del 15% e ad accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.