Apertura forzata di cassette di sicurezza da parte di truppe militari tedesche

La banca non risponde dell’apertura forzata di cassette di sicurezza intestate a clienti israeliti ordinata dall’autorità militare germanica. L’Autore e l’Editore hanno deciso – nella Giornata della Memoria – di segnalare ai lettori due sentenze che hanno affrontato la questione della responsabilità della banca per la condotta dei suoi funzionari i quali, nel corso della seconda Guerra mondiale, furono costretti ad aprire – innanzi alle minacce delle S.S. germaniche – le cassette di sicurezza di clienti ebrei.

Entrambe le decisioni Corte d’Appello di Genova del 14 febbraio 1950 e Corte d’Appello di Torino del 4 luglio 1951, entrambe edite in Banca, borsa e titoli di credito, 1950, II, 352 e 1951, II, 388 descrivono i fatti accaduti con estrema precisione e nitidezza, ricordando ― a distanza di pochi anni dalla fine delle atrocità della Guerra ― la tracotanza tedesca che era giunta, pur di aprire quelle cassette di sicurezza, al manifestato proposito di sparare dentro le serrature o di usare, in loco, la fiamma ossidrica , fino a minacciare l’arresto dei funzionari della banca che si rifiutavano di eseguire gli ordini. In quelle condizioni di occhiuta, testarda violenza in atto i funzionari della banca divennero dunque strumenti passivi della prepotenza teutonica , obbligati a consegnare le cose depositate dai clienti israeliti al tedesco invasore . Un modo per non dimenticare. Nella speranza che niente di simile possa ripetersi. Le fattispecie. Dalle sentenze qui riportate è possibile ricostruire, seppur parzialmente, i fatti oggetto di causa. Si apprende che, sin dal primo grado di giudizio, i clienti contestarono alla banca di aver violato l’art. 1839 c.c. relativo alle cassette di sicurezza ed i doveri che la legge impone al depositario. Venne, in particolare, rimproverato ai funzionari della banca a di avere indicato alla questura le cassette come appartenenti a persona di razza ebraica mentre le stesse almeno per la metà, appartenevano a persona ariana b di non avere subito avvisato i depositanti della richiesta fatta dalla questura e dell’informativa data c di non avere opposto alcuna resistenza ai richiedenti il prelievo, senza segnalare il fatto illecito alle autorità italiane e tedesche d di non aver reclamato al fine di ottenere la restituzione almeno della parte di spettanza del cliente ariano e di aver omesso la compilazione di un inventario delle cose depositate, prima di consegnarle ai tedeschi. Assenza di responsabilità in capo alla banca per l’apertura forzata delle cassette di sicurezza l’eroismo non è materia di obbligazione contrattuale. Entrambe le Corti d’Appello, con argomentazioni analoghe, escludono la responsabilità dei dipendenti della banca per aver aperto le cassette di sicurezza dei clienti israeliti dietro minaccia dei militari tedeschi. Segnatamente, ad avviso della Corte d’Appello di Torino la banca invoca il fortuito, e il buon diritto è dalla sua . Questo il significativo percorso motivazionale della citata Corte l’immediata presenza di un elemento dell’autorità straniera occupante, l’assistenza alla stessa di un funzionario della P.S. italiana, la man forte prestata da una scorta armata, l’imposizione specifica, reiterata di aprire le cassette, fra le altre, intestate ai clienti concretano a fior d’evidenza quel factum principis che è equiparabile, e fu sempre equiparato, al fortuito . Prosegue la Corte spiegando che odioso e odiato, nel caso, era il principe, ma pur sempre, e anzi più duramente, era il principe, se per principe - come pare dalla Corte - deve intendersi chi, anche soltanto per le labili, ingiuste leggi della guerra, detiene il potere, il comando, la forza . In tal contesto, ritiene quindi la Corte che l'eroismo non è mai stato materia di obbligazione contrattuale . Ed infatti, ricostruendo la vicenda nel dettaglio, viene osservato che la banca tentò comunque di tutelare i depositanti così adempiendo alle proprie obbligazioni. Fece anzitutto, sebbene invano, osservare al tedesco e al questurino italiano che, secondo le leggi italiane, si doveva presumere che quanto di non nominativo era contenuto nella cassetta fosse di spettanza, per una metà, di ciascuno dei due intestatari onde l'addebito che non siano state tutelate le ragioni almeno dell’ariano non trova riscontro nella realtà dei fatti . In secondo luogo, la banca mutuando dall’art. 1841 c.c. che prevede, a vantaggio dell’ente locatore in caso di contratto scaduto, la possibilità dell'apertura forzata della cassetta la particolare formalità consistente nell’assistenza di un notaio, riuscì ad ottenere, per l’appunto, che un notaio assistesse all’operazione e di tutto desse atto. Con il che, se la banca, per certo, mirava a cautelarsi di fronte al grave evento, tutelava indubbiamente anche gli utenti, non fosse che col procacciare agli stessi, e in via precostituita e con la particolare dignità notarile, la prova, altrimenti difficile, per non dire diabolica, del contenuto delle cassette . Conclude, allora, la Corte territoriale ricordando che la tracotanza tedesca era giunta, pur di aprire, al manifestato proposito di sparare dentro le serrature o di usare, in loco, la fiamma ossidrica, nel quale caso, non certo il danno [degli appellanti titolari delle cassette] sarebbe stato evitato, ma quello di altri utenti, non perseguiti, si sarebbe aggiunto. Ond’è che nella sicura impossibilità di impedire il danno [degli appellanti] l’essere la banca riuscita a rimuovere il danno degli altri e anche, sia pure, a limitare il proprio, non si scorge quale ragionevole base potrebbe offrire a una responsabilità contrattuale della banca per manomissione delle cassette locate . Precisa da ultimo la Corte di Torino, riallacciandosi alla premessa del proprio ragionamento i.e. l’eroismo non è materia di obbligazione contrattuale che poi in quelle condizioni di occhiuta, testarda violenza in atto, la banca potesse, e anzi dovesse, approfittare della interruzione notturna per fare avvisati i lontani utenti e questi potessero, in quel frangente, pericolosissimo per essi perseguiti nella vita stessa, aver volontà, modo e mezzo di fare sparire, sotto gli occhi di una vigile scorta, il contenuto delle cassette, tutto ciò appartiene certamente alle enunciative di comodo, ma resta lontano, non solo dalla apprezzabilità giuridica, ma dalla stessa ragione comune . La condotta dei funzionari di banca innanzi agli ufficiali tedeschi. Anche la Corte d’Appello di Genova è allineata all’impostazione della Corte torinese statuendo che mancava del tutto la possibilità di un utile intervento delle Autorità italiane, diretto ad impedire l'esecuzione di quanto veniva disposto, ed effettuato, dal tedesco invasore, particolarmente nell'epoca in cui avvenne il fatto di cui si discute . Relativamente, invece, alla lamentata inerzia dei funzionari di banca per omessa compilazione dell’inventario degli oggetti contenuti nella cassetta di sicurezza, nega la Corte di Genova che la banca dovesse procedere con la compilazione dell'inventario almeno ai fini dilatori pretesi dall’appellante, poiché dalle circostanze del fatto, pacifiche in causa e dianzi riassunte, emerge la impossibilità di ulteriori tergiversazioni da parte dei funzionari di fronte al deciso e minaccioso contegno delle S.S. germaniche. Invero quei funzionari, dopo aver tenuto a bada gli ufficiali tedeschi per due giorni, non poterono più schermirsi dalle insistenze che gli ufficiali stessi, eccitatissimi per la infruttuosa ricerca dei depositi, fecero per ottenere la consegna immediata, in esecuzione dell'ordine scritto di confisca, e perciò dovettero subire la imposizione, che per di più era accompagnata dalla perentoria minaccia di arresto del Direttore . Viene infine respinta anche la richiesta risarcitoria di parte appellante basata sul presupposto che la consegna dei depositi in questione ai militari delle S.S. germaniche avrebbe dovuto considerarsi un atto volontario. Ad avviso, infatti, della Corte d’Appello di Genova, detta consegna coatta eseguita dai funzionari della banca nella veste di meri strumenti passivi della prepotenza teutonica , non può essere considerata come azione autonoma, che possa configurare l'ipotesi di fatto dannoso prevista dall’art. 2045 c.c. e che evidentemente si riferisce ad un fatto diverso da quello che la vittima ha subito, costituente una violazione di diritti primari distinti da quelli nascenti dal contratto. In assenza di una siffatta azione, violatrice del precetto del neminem laedere , manca ovviamente il presupposto di una colpa aquiliana, e, di conseguenza, l'applicabilità dell’art. 2045 invocato dall’appellante .

Corte d’Appello di Torino, sentenza 4 luglio 1951 Presidente/Estensore Alvazzi Del Frate Il servizio bancario delle cassette di sicurezza si qualifica come un rapporto locatizio di cose e di opere. Nel servizio bancario delle cassette di sicurezza, la banca non risponde dell'apertura forzata di cassette intestate a clienti israeliti, ordinata dall'autorità militare germanica. Non è terzo, ai sensi dell'art. 2045 c.c., il titolare della cassetta di sicurezza, danneggiato dall'asportazione dei valori ad opera, dell'autorità militare germanica. Omissis II. - A stare alla lettera Ma. 431946 su riferita, il giudice di questa causa si troverebbe di fronte ad un comportamento, da parte della banca macroscopicamente anticontrattuale per avere questa dimostrata una davvero imperdonabile supina arrendevolezza alle ingiunzioni del funzionario tedesco ed al suo operato e durante e dopo il fatto . Ma è ben certo che siffatto assunto di clamorosa colpa contrattuale non costituì che un più o meno felice artificio polemico. Che se non si vuole accentuare la circostanza peraltro ben lungi dall'essere irrilevante che il Ma., in un primo tempo, anziché rampognare la banca, la ringraziò del suo contegno vedi la incontestata deduzione relativa non si può, inizialmente, non osservare come la cauta e pur valorosa attuale difesa dei Ma. si esprima, intorno al medesimo comportamento, in termini profondamente diversi. In verità, appetto alle incontrollate espressioni del Ma. non possono non stridere le comprensive, composte espressioni che si leggono a pag. 13 della comparsa conclusionale degli appellanti indubbiamente, in tale contingenza, detti funzionari si trovarono di fronte alla dura alternativa di resistere mettendo a repentaglio la integrità dell'intero impianto e anche la loro incolumità fisica o di venir meno al loro dovere di scrupolosi custodi dei beni affidati alla banca . Evidentemente è una visione diversa da quella di una imperdonabile supina arrendevolezza . III. Sotto il profilo contrattuale, i coniugi Ma., sin dal primo grado del giudizio fecero addebito alla banca di aver violato, a un tempo, l'art. 1839 c.c. relativo alle cassette di sicurezza, e i doveri che la legge impone al depositario retribuito die sarebbe tenuto a una diligenza particolare. Tutto ciò per i seguenti comportamenti specifici negativi a per avere indicato alla Questura di Novara le due cassette come appartenenti a persona di razza ebraica mentre essi, almeno per la meta, appartenevano a persona ariana b per non avere opposto alcuna resistenza ai richiedenti il prelievo senza approfittare della non contestuale consumazione del fatto illecito per segnalarlo subito alle autorità italiane e tedesche v per non avere subito avvisato i depositanti della primitiva richiesta fatta dalla Questura di Novara d per non aver reclamato, in seguito, al fine di ottenere la restituzione almeno della parte di spettanza dell'ariano dr. Ma E poi da notare che in questa sede i Ma., in veste di appellanti incidentali, oltre ad adombrare motivi che non sono che variazioni o accentuazione di quelli proposti in prime cure, segnalano ex novo, a mo' di comparazione, il comportamento, a loro dire, tutt'affatto diverso, che avrebbero tenuto, in ugual frangente, tutte le altre banche di Novara . IV. Quel richiamo, ed è un richiamo molto insistito, che i coniugi Ma. fanno alla regola del deposito e ai doveri del depositario non persuade la Corte. Non la persuade anzitutto quando o con allusione al corrispettivo che già spettò alla banca pretesa depositaria, i Ma. osservano che essa era tenuta a una diligenza particolare, e ciò quando invece è certo argomenta dal raffronto tra gli art. 1768 e 1176 c.c. che la legge non tanto impone al depositario retribuito una diligenza maggiore di quella ordinaria del buon padre di famiglia, quanto piuttosto concede al depositario non retribuito di usare una diligenza più blanda. Ma, anche e principalmente, non persuade la Corte lo stesso riferimento al contratto di deposito quando non può dubitarsi che un tale negozio implica ed esige quella effettiva consegna al depositario che, nel caso del servizio bancario delle cassette di sicurezza, sicuramente, difetta, sia perchè il cliente nulla delle cose e dei valori che vuol riporre nella cassetta-forte consegna, od anche solo ostende, alla banca, sia specialmente perchè, pur durando il rapporto, la cassetta ben può essere, precariamente o anche continuamente, tenuta vuota dall'intestatario, cosa inconcepibile per un deposito. Sta di fatto che il nuovo codice civile contempla in modo specifico il rapporto che fa capo al servizio bancario delle cassette di sicurezza art. 1S39 e ss. . Onde alla stregua di quell'apposita disciplina, mentre da un lato, par lecito affermare che il carattere sostanzialmente locatizio di cose e di opere del rapporto è stato riconosciuto dal nuovo legislatore, dall'altro lato pare ovvio che le obbligazioni dell'ente bancario locatore delle cassette e prestatore del servizio di custodia non possano che reperirsi nell'ambito del regolamento specifico, o in quello dei principii generali del diritto obbligatorio non anche in quello che è specifico di altri diversi particolari rapporti. Ora, il piano riscontro del testo di legge art. 1839 c.c. fa vedere che la banca locatrice non ad altro può essere tenuta a rispondere verso l'utente si noti di passaggio che anche cotesto termine utente , che è nella legge, allontana vieppiù il concetto del deposito se non a della idoneità dei locali b della custodia dei locali c dell'integrità della cassetta. Rimosse le due prime ipotesi, che nella particolarità. della specie non hanno motivo di venir considerate, la materia apprezzabile in questa causa si restringe alla terza. Onde già. può dirsi che, ai fini dell'azione contrattuale dedotta, quello che immediatamente conta in questa causa è solo il comportamento della Banca di Novara riguardo ai fatto - che è certo - della violenta menomazione dell'integrità Ielle due cassette dei Ma., laddove tutti gli altri addebiti comportamenti, anteriori o successivi, potranno eventualmente concorrere alla ragion del decidere solo in quanto si presentino, rispettivamente, come la necessaria preparazione, o come la necessaria conseguenza, di quella ripetuta menomazione. V. Ma, fosse pur vero - e non è vero - tutto ciò che i Ma. rinfacciano alla banca convenuta di aver fatto, o di non aver fatto, prima dell'evento che violò l'integrità delle due cassette-forti asserita risposta positiva alla lettera richiesta del questore di Novara mancato immediato avviso ai Ma. dell'esistenza di una tal richiesta i comportamenti correlativi non avrebbero ancora costituito la necessaria preparazione della menomazione. La lettera della banca di risposta al questore è stata versata in atti in questo grado del giudizio ed è stata riferita integralmente più sopra onde non si rende necessaria alcuna applicazione dell'art. 213 c.p.c. come i Ma. invece continuano non giustificatamente a richiedere . Dal tenore dello scritto, abilmente dilazionante, e anche, per quel che comportavano i tempi, dignitoso e ancor oggi leggibile senza imbarazzo da chi lo vergò, risulta ben chiaro che la banca non fece alcun nome di propri clienti ebrei, onde l'addebito relativo, si è dimostrato gratuito. Ma, se anche fosse ciò che non è, pare alla Corte che l'aver fornito i nomi all'autorità - autorità italiana, si noti bene - che li aveva richiesti in via di urgenza con la obbligante, facile scorta di un previo elenco da essa stessa trasmesso, sarebbe rimasto ancora lontano, assai lontano dal dare univoco inizio a quella menomazione della integrità delle due cassette-forti, quale si è detto che costituisce l'unica violazione contrattuale di cui e oggi utile discorrere in questa causa. Ciò per la ragion semplice che, una volta in possesso dei nomi richiesti, l'azione delle autorità imperanti restava pur sempre ignota nei suoi possibili sviluppi, onde non era niente affatto escluso che quelle autorità come notoriamente accadde, in effetti, in altre sedi se ne tenessero paghe, o si limitassero a ordinare alle banche, magari sequestrando presso di esse la seconda chiave, di non prestarsi all'apertura delle cassette da parte dei titolari che nei quali casi, evidentemente non sarebbe mai stato questione di quell'evento particolare che era una imposta violenta apertura delle cassette-forti. Le quali considerazioni, - evidentemente, giovano anche per ritenere non rilevante, a quei fini che soli in causa sono utili, il concorrente addebito di mancato avviso ai coniugi Ma. della nota richiesta urgente inoltrata dal questore di Novara alla banca. Al quale riguardo peraltro, amor di precisione induce a rilevare a che i Ma., pur continuando ad aver domicilio in Novara, avevano, per ovvie ragioni di sicurezza, cessato dal risiedervi, e vivevano altrove nascostamente b che la banca, rispondendo come rispose e onesto riconoscere che il suo fu un fin de non recevoir non aveva propriamente alcuna ragione di sentirsi in obbligo, anche solo morale, di correre ad avvisare gli utenti Ma., con il che non può neppure escludersi che essa intendesse di farlo c che gli eventi impensatamente precipitarono, come balza dalle date giorno 28, lettera del questore, giorno 30, risposta della Banca, ancora giorno 30, accesso dei tedeschi in arme, accompagnati da un questurino italiano d che, a tutto concedere, per la già considerata natura giuridica del servizio bancario delle cassette di sicurezza, la banca locatrice non ne restava, senz'altro, e addirittura, costituita procuratrice dei propri clienti utenti, si da essere obbligata a comunicar loro sinanco tutto ciò che era, o secondo le ragionevoli previsioni, poteva mantenersi estraneo a un evento di manomissione delle note cassette. VI. Anche più facilmente, se è possibile, emerge la inutilità logica degli addebiti che interessano il comportamento della banca successivo all'evento. Appunto perchè apprezzabile solo ad ormai consumato la mancanza, da parte della banca, di successivi reclami alle autorità italiane e tedesche più non poteva aver tratto, integrandola in qualche modo, a quella manomissione dell'integrità fisica delle cassette che sola interessa in questa causa. Non senza far luogo, anche per cotesta altra ingiustificata rampogna, ad alcuna delle considerazioni di ragion comune che si affollano facili. In verità a le autorità italiane e tedesche erano state esse stesse presenti alla manomissione ed erano state, anzi, le autrici della stessa, ora, dacché i ladri rubano, fu sempre un atto ingenuo sporgere, per il furto, reclamo agli stessi o ai loro capi, b o la manomissione delle cassette era ascrivibile a fatto, sia pur colposo, della banca, e allora era un fuor d'opera pretendere che essa reclamasse contro un fatto proprio, o la manomissione era opera di terzi, e allora la banca era ben domina di reclamare o di non reclamare per ciò che la riguardava deterioramento delle cassette di sua proprietà mentre per ciò che riguardava propriamente gli interessi dell'utente deterioramento di una cosa locata, asportazione delle cose entrostanti non si vede perchè la banca, locatrice e non procuratrice dovesse arrogarsi la rappresentanza di chi, eli fronte a lei, era un semplice cliente utente, e. per suo conto, era, anzi erano, persone fisiche, perseguitate si, ma assistite dalla pienezza della capacità giuridica c sicuro, innegabile dovere della banca era quello di avvisare subito, di quanto avvenuto in danno della loro cassette-forti, gli utenti Ma., ma è altrettanto sicuro e innegabile che i dirigenti della banca quel dovere compirono. VII. Resta il comportamento a dir così centrale, quello che direttamente e immediatamente può interessare questa causa in quanto relativo al fatto certo della menomazione e dello scasso delle due cassette-forti. E incontestato, e documentato, che la manomissione avvenne alla presenza, e anzi, in certo modo, con l'intervento attivo dei funzionari della banca. Ciò non pertanto, la banca invoca il fortuito, e il buon diritto è dalla sua. L'immediata presenza di un elemento dell'autorità straniera occupante, l'assistenza alla stessa di un funzionario della P.S. italiana, la man forte prestata da una scorta armata, l'imposizione specifica, reiterata di aprire le cassette, fra le altre, intestate ai Ma. concretano a fior d'evidenza quel factum principis che è equiparabile, e fu sempre equiparato, al fortuito. Odioso e odiato, nel caso, era il principe, ma pur sempre, e anzi più duramente, era il principe, se per principe - come pare dalla Corte - deve intendersi chi, anche soltanto per le labili, ingiuste leggi della guerra, detiene il potere, il comando, la forza. Rinfacciare, in quelle condizioni, ai funzionari della banca, di non essersi bastevolmente opposti alla tracotanza degli armati vale esattamente come rinfacciare ai coniugi Ma., perseguitati e fuggenti, di non aver specificamente continuato, alla luce del sole, la residenza in Novara. Gli è che l'eroismo non è mai stato materia di obbligazione contrattuale. Del resto la banca fece anche di più di ciò che a rigor di contratto, e tanto più in quelle condizioni, essa era tenuta a fare. Fece anzitutto, sebbene invano, osservare al tedesco e al questurino italiano che, secondo le leggi italiane, si doveva presumere che quanto di non nominativo era contenuto nella cassetta fosse di spettanza, per una metà, di ciascuno dei due intestatari onde l'addebito che non siano state tutelate le ragioni almeno dell'ariano dr. Ma. non trova riscontro nella realtà dei fatti . In secondo luogo, la banca mutuando dall'art. 1841 c.c. che prevede, a vantaggio dell'ente locatore in caso di contratto scaduto, la possibilità dell'apertura forzata della cassetta la particolare formalità consistente nell'assistenza di un notaio, riuscì ad ottenere, per l'appunto, che un notaio assistesse all'operazione e di tutto desse atto. Con il che, se la banca, per certo, mirava a cautelarsi di fronte al grave evento, tutelava indubbiamente anche gli utenti, non fosse che col procacciare agli stessi, e in via precostituita e con la particolare dignità notarile, la prova, altrimenti difficile, per non dire diabolica, del contenuto delle cassette, preziosissima prova, come ognun vede, e della quale può ben pensarsi che gli interessati siansi valsi, o siano per valersi, in altra più congrua sede, quale potrebbe essere verbi gratin,, quella del risarcimento dei danni di guerra. Vero è che i Ma., rilevato che la banca ottenne che l'apertura forzata fosse eseguita da un suo operaio specializzato che vi provvide lege artis, ne arguiscono un tal quale agio di esecuzione dell'operazione e fors'anco, con una più virile resistenza, la sua evitabilità. Vero è ancora che gli stessi Ma. si dolgono di un altro mancato avviso, quale, a loro dire, la banca avrebbe pur potuto dare approfittando del fatto che l'operazione, non potuta fissare il giorno 30, fu per il suo esaurimento, rinviata alla mattina del giorno seguente. Vero è da ultimo che i Ma. assumono che in quel medesimo frangente altre banche, menzionate honoris causa, si comportarono diversamente. Ma non sono rilievi che spostano La tracotanza tedesca era giunta, pur di aprire, al manifestato proposito di sparare dentro le serrature o di usare, in loco, la fiamma ossidrica, nel quale caso, non certo il danno dei Ma. sarebbe stato evitato, ma quello di altri utenti, non perseguiti, si sarebbe aggiunto. Ond'è che nella sicura impossibilità di impedire il danno dei Ma., l'essere la banca riuscita a rimuovere il danno degli altri e anche, sia pure, a limitare il proprio, non si scorge quale ragionevole base potrebbe offrire a una responsabilità contrattuale della banca per manomissione delle cassette locate. Che poi in quelle condizioni di occhiuta, testarda violenza in atto, la banca potesse, e anzi dovesse, approfittare della interruzione notturna per fare avvisati i lontani utenti e questi potessero, in quel frangente, pericolosissimo per essi perseguiti nella vita stessa, aver volontà, modo e mezzo di fare sparire, sotto gli occhi di una vigile scorta, il contenuto delle cassette, tutto ciò appartiene certamente alle enunciative di comodo, ma resta lontano, non solo dalla apprezzabilità giuridica, ma dalla stessa ragione comune. Restano i paragoni con le altre banche. Ma già il sistema non convince. La regolarità, o la irregolarità, di un dato comportamento contrattuale deve anzitutto e principalmente essere saggiata per se stessa non già al ragguaglio del fatto esteriore che altri, con altri, possa aver agito più o meno diversamente. Del resto, se una diversità è risultata, non sembra che essa sia nel senso sperato da chi l'additava, essendo emerso che una banca, destinataria ancor essa della nota lettera, richiesta del questore di Novara, rispose comunicando senz'altro i nomi dei propri clienti ebrei, Il che si è visto che la Banca di Novara non fece, e che un'altra banca, pur avendola cercata, non riuscì ad ottenere l'assistenza certificatrice del notaio, il che si e visto che la Banca di Novara ottenne. VIII. Rimossa come infondata la doglianza incidentale dei Ma., è invece da accogliersi quella principale della banca. Né al riguardo occorre lunga parola. Si è detto che il tribunale, in accoglimento della istanza subordinata degli attori, sanzionò una responsabilità aquiliana ex art. 2045 c.c. in quanto ritenne che la banca, si ripete, la banca, avrebbe cagionato il danno dei Ma. perchè costrettavi dalla necessità di salvare i propri funzionari da un pericolo in atto incombente sulle loro persone. A parere della Corte, una siffatta applicazione dell'art. 2045 c.c. è gravemente inesatta, e tradisce alla sua base un'interpretazione che la Corte senz'altro ripudia. Il caso previsto dall'art. 2045 non e diverso o più lato di quello di chi, diretto destinatario, per dir così, di un atto contro la propria integrità personale, offende a sua volta il diritto di un terzo per salvar se medesimo. Dove deve bene accentuarsi quel termine di terzo , che sicuramente vuol dire estraneo all'azione dannosa iniziale. Così poco, rispetto all'agente offensore autorità germanica occupante , i Ma. erano terzi estranei, che quell'autorità si mosse e agi, dal primo all'ultimo istante della sua azione, per ricercarli nella loro qualità di israeliti o di congiunti di israeliti, appuntando direttamente contro di essi, e sin dall'inizio, la sua volontà e la sua azione di danno. Che se nella operazione lesiva, il ledente originario ebbe personalmente contatto solo con i funzionari della banca e non anche con i Ma., ciò non costituì che una accidentalità, il portato di una contingente situazione di luogo e di servizio, quale era quello che i beni appetiti erano contenuti in due cassette-forti esistenti nei locali stessi dove la banca aveva sede.

Corte d’Appello di Genova, sentenza 14 febbraio 1950 Presidente Petrocelli – Estensore Puleo La banca presso la quale è stata depositata -una cassetta chiusa contenente argenteria, ove sia costretta con violenza morale e materiale da parte di truppe d'occupazione nel caso tedesche a consegnare la cosa depositata, non è responsabile verso il cliente,, nemmeno per una indennità ex art. 2045 c.c., la cui applicazione è esclusa se il danno sia prodotto dal fatto di un terzo. Omissis Ugualmente infondata risulta la tesi dell'appellante, concernente la responsabilità del banco, in relazione al disposto dell'art. 1780 c.c. alla stregua delle circostanze poste a base delle sue doglianze contro la sentenza appellata su tal punto e raggruppate nella parte narrativa della presente, sotto il secondo motivo di gravame. Tali doglianze consistono sostanzialmente in una censura di errata valutazione, da parte del Tribunale, della inerzia addebitabile al banco, e che concreterebbe una colpa del medesimo ostativa alla configurazione del fatto non imputabile di cui nell'art. 1780 c.c. sotto il duplice profilo di omessa richiesta di intervento delle Autorità italiane e di omessa compilazione di inventario delle cose depositate, prima di consegnarle ai tedeschi la quale inerzia, ad ogni modo, dovrebbe riconoscersi a carico del banco, insieme al conseguente obbligo di risarcimento dei danni, sotto l'aspetto della omissione della comunicazione prescritta dal suindicato art. 1780 se si potesse considerare avvenuta la perdita del deposito per un fatto non imputabile. Ma la inconsistenza di siffatta censura è evidente. Come giustamente hanno ritenuto i primi giudici mancava del tutto la possibilità di un utile intervento delle Autorità italiane, diretto ad impedire l'esecuzione di quanto veniva disposto, ed effettuato, dal tedesco invasore, particolarmente nell'epoca in cui avvenne il fatto di cui si discute. Omissis Quanto, poi, alla lamentata inerzia per omessa compilazione dell'inventario degli oggetti contenuti nella cassa del Ko. è evidente la infondatezza della pretesa inerente a simile formalità il cui espletamento era inutile anche ai fini delle future possibili ricerche trattandosi di asportazione totale e conoscendo di certo il Ko. l'esatto contenuto della cassa asportata dai militari tedeschi. Né può dirsi che la compilazione dell'inventario dovesse farsi dal banco almeno ai fini dilatori pretesi dall'appellante, poiché dalle circostanze del fatto, pacifiche in causa e dianzi riassunte, emerge la impossibilità di ulteriori tergiversazioni da parte dei funzionari del banco di fronte al deciso e minaccioso contegno delle S.S. germaniche. Invero quei funzionari, dopo aver tenuto a bada gli ufficiali tedeschi per due giorni, non poterono più schermirsi dalle insistenze che gli ufficiali stessi, eccitatissimi per la infruttuosa ricerca dei depositi a Chiavari, fecero per ottenere la consegna immediata, in esecuzione dell'ordine scritto di confisca, frattanto recapitato al banco, e perciò dovettero subire la imposizione, che per di più era accompagnata dalla perentoria minaccia di arresto del Direttore. Omissis Passando a considerare la tesi subordinata dell'appellante, imperniata sulla pretesa di un equo indennizzo, in base all'art. 2045 c.c., la Corte osserva che anch'essa è infondata. Codesta norma di legge, posta sotto il titolo Dei fatti illeciti dispone testualmente così Quando chi ha compiuto il fatto dannoso vi è stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alle persone ed il pericolo non è stato da lui volontariamente causato, né era altrimenti evitabile, al danneggiato è dovuta una indennità la cui misura è rimessa all'equo apprezzamento del giudice . Orbene, pur ammettendosi in astratto la possibilità di coesistenza di due azioni, l'una ex contractu e l'altra ex delicto alla quale ultima corrisponde quella relativa alla suindicata norma , potendo avvenire che chi sia stato vittima di una inadempienza contrattuale abbia contemporaneamente subito un illecito estraneo agli obblighi inerenti al contratto, tuttavia deve escludersi che una simile ipotesi si riscontri nel caso in esame. Invero l'appellante vorrebbe far consistere il fatto dannoso richiesto dall'art. 2045 c.c. nella consegna dei depositi in questione ai militari delle S.S. germaniche consegna che, a suo dire, dovrebbe considerarsi un atto volontario, in quanto la costrizione subita dai funzionari del banco non avrebbe annullato la loro volontà essendosi essi prima consigliati. Ma è evidente che tale fatto comporta soltanto la violazione dei diritti derivanti all'appellante dal contratto di deposito di cui trattasi, non anche là violazione di diritti che gli apparterrebbero in virtù del precetto generale del neminem laedere, da cui scaturisce la responsabilità extracontrattuale. Infatti detta consegna coatta, causante la inadempienza all'obbligo della restituzione, incombente sul banco in forza del contratto di deposito, rappresentando un evento dannoso prodotto in conseguenza unicamente del fatto di terzi, dianzi esaminato ed avvenuto senza il concorso di una libera determinazione dei funzionari del banco onde riveste gli estremi del caso di forza maggiore, come si è visto è intimamente collegata con questo fatto di terzi e compenetrarsi in esso. Non può quindi, tale consegna, eseguita dai funzionari del banco nella veste di meri strumenti passivi della prepotenza teutonica, essere considerata come azione autonoma, che possa configurare l'ipotesi di fatto dannoso prevista dall'art. 2045 c.c. e che evidentemente si riferisce ad un fatto diverso da quello che la vittima ha subito, costituente una violazione di diritti primari distinti da quelli nascenti dal contratto. In assenza di una siffatta azione, violatrice del precetto del neminem laedere, manca ovviamente il presupposto di una colpa aquiliana, e, di conseguenza, l'applicabilità dell'art. 2045 invocato dall'appellante. Pertanto confermarsi la sentenza impugnata.