Conto cointestato con il de cuius: le quote si presumono uguali, salvo prova contraria

Nel conto corrente bancario e di deposito titoli intestato a due o più persone, i rapporti interni tra correntisti sono regolati non dall'art. 1854 c.c., riguardante i rapporti con la banca, bensì dal secondo comma dell'art. 1298 c.c., in base al quale, in mancanza di prova contraria, le parti di ciascuno si presumono uguali, sicché ciascun cointestatario, anche se avente facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, nei rapporti interni non può disporre in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito dell'altro, della somma depositata in misura eccedente la quota parte di sua spettanza, e ciò in relazione sia al saldo finale del conto, sia all'intero svolgimento del rapporto.

Con la pronuncia del 4 gennaio 2018, n. 77, il S.C., intervenendo in un complesso caso in tema di eredità, definisce i limiti ed i poteri dei cointestatari di un conto corrente, precisando – nel senso della massima in parola – come la presunzione di uguaglianza delle quote e dei saldi può essere superata pur essendo limitata, nei rapporti interni, l’attività dispositiva di ciascuno dei cointestatari. Il caso. La vicenda decisa dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 77/2018 depositata il 4 gennaio scorso, riguarda una controversia azionata tra due fratelli e relativa al lascito ereditario della madre. In particolare, si discuteva – con esiti incerti tra primo e secondo grado – sulla titolarità di un conto corrente, cointestato al de cuius ed a una delle parti. Oggetto del contendere, in particolare, era il saldo di tale conto corrente, che il cointestatario rivendicava per metà mentre l’altra parte processuale riteneva fosse di esclusiva titolarità della madre defunta. Il S.C. rileva che la corte di appello non ha correttamente seguito i principi dedotti in tema di accertamento della titolarità dei saldi del conto cointestato, confondendo l’applicazione dell’art. 1854 c.c. con quella dell’art. 1298 c.c. per tale ragione, e richiamando il principio espresso nella massima, il S.C. accoglie il ricorso e rimette la causa alla corte di appello in diversa composizione. Cointestazione del conto corrente nessuna liberalità. Secondo un orientamento giurisprudenziale ormai pacifico, la mera cointestazione di un conto corrente o di titoli anche a firme disgiunte, non integra di per sé un atto di liberalità a favore del cointestatario, giacché a tal fine è richiesto, quale elemento imprescindibile, l' animus donandi , che però deve essere dimostrato. In tema di donazione indiretta, infatti, la cointestazione di un conto corrente ad uso esclusivo che, ai sensi dell'art. 1854 c.c., attribuisce agli intestatari la qualità di creditori o di debitori solidali dei saldi del conto fa sì presumere, sia nei confronti dei terzi che nei rapporti interni, la contitolarità dell'oggetto del contratto ma non è prova definitiva di aver posto in essere con tale atto una donazione indiretta. Cointestazione e contratti di investimento. Fermo quanto precede, se è vero che la cointestazione del conto è idonea, ai sensi dell'art. 1854 c.c., a vincolare gli altri cointestatari ai prelievi dal conto che funga da provvista per operazioni di investimento finanziario, la stessa non esplica tuttavia alcuna efficacia rispetto all'emissione dei relativi ordini di investimento, che sono governati dal contratto quadro stipulato tra la banca e uno dei cointestatari. Cointestazione di cassetta di sicurezza. Analogamente, la cointestazione di una cassetta di sicurezza o di un conto corrente bancario autorizza ciascuno degli intestatari, rispettivamente, all'apertura della cassetta e al relativo prelievo, ovvero al compimento di tutte le operazioni consentite sul conto, ma non attribuisce al medesimo cointestatario, che sia consapevole dell'appartenenza ad altri degli oggetti custoditi o delle somme risultanti a credito, il potere di disporne come proprietario. Cointestazione effetti interni ed effetti esterni. Con riferimento, peraltro, a quando oggetto della sentenza in esame, si osserva che nel conto corrente bancario e di deposito titoli intestato a due o più persone, i rapporti interni tra correntisti sono regolati dall'art. 1298, comma 2, c.c., secondo cui, in assenza di prova contraria, le parti di ciascuno si presumono uguali, sicché ciascun cointestatario, anche se avente facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, nei rapporti interni non può disporre in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito dell'altro, della somma depositata in misura eccedente la quota parte di sua spettanza, e ciò in relazione sia al saldo finale del conto, sia all'intero svolgimento del rapporto. Obbligazione solidale e superamento della presunzione. In particolare, la presunzione di eguaglianza delle quote di ciascuno dei cointestatari di un conto, fissata dall'art. 1298, 2° comma, c.c., può essere vinta non già con la mera dimostrazione di avere avuto la disponibilità del danaro immesso nel conto, in quanto tale circostanza viene superata dalla cointestazione, che rende solidale il credito o il debito risultante dal saldo del conto, ma con la precisa dimostrazione che il titolo di acquisizione di quel danaro rendeva destinatario dello stesso in via esclusiva il solo cointestatario che poi lo ha versato sul conto. In tal senso il S.C. rimette la decisione alla Corte di merito in quanto non è dato comprendere, tra l’altro, come la corte territoriale abbia trascurato le prove fornite in ordine alle rimesse esclusive della madre delle parti a giustificare, in superamento della presunzione di cui all’art. 1298 c.c., la titolarità esclusiva del saldo del conto corrente cointestato. Sequestro conservativo e somme cointestate. I principi sopra espressi hanno altresì trovato accoglimento in sede penale, dove si è affermato che il sequestro conservativo sulle somme depositate in un conto corrente bancario cointestato all'imputato e a persona estranea al reato non può riguardare l'intero ammontare del danaro depositato, dovendosi presumere la contitolarità tra gli intestatari del conto, salva la prova positiva dell'esclusiva titolarità delle somme all'imputato.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 16 novembre 2017 – 4 gennaio 2018, n. 77 Presidente Mazzacane – Relatore Scarpa Fatti di causa L’avvocato K.K.D.L.G.T. ha proposto ricorso articolato in sei motivi avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 2654/2013, depositata il 10 maggio 2013, la quale ha rigettato l’impugnazione principale dello stesso K.K.D.L.G.T. ed ha parzialmente accolto l’appello incidentale di K.K.D.L.G.N. contro la pronuncia di primo grado n. 6439/2005 resa dal Tribunale di Roma, condannando N. a pagare al fratello T. la somma di Euro 77.972,01, oltre interessi legali dal 18 marzo 1995 al saldo. K.K.D.L.G.N. resiste con controricorso. K.K.D.L.G.T. , con citazione dell’8 giugno 1999, convenne il fratello N. davanti al Tribunale di Roma, chiedendo che quest’ultimo fosse dichiarato debitore della cifra di Lire 557.245.071, pari alla metà della somma depositata sul conto corrente Cornelio, aperto in cointestazione da K.K.D.L.G.N. e dalla madre C.E. il 26 maggio 1994 presso la banca Merril Lynch S.A., somma abusivamente prelevata dal convenuto. Assunse l’attore che l’iniziale provvista di oltre 900.000.000 di lire versata sul conto cointestato alla sua apertura fosse di esclusiva proprietà della signora C. , la quale aveva comunque poi appreso nell’aprile del 1997 che era stata disposta la chiusura del medesimo conto con autorizzazione recante la propria firma contraffatta, oltre che la firma di N. , e che era stato trasferito il saldo esistente su altro conto corrente denominato . L’attore aggiunse che la Banca aveva anche trattenuto in pegno alcuni titoli gestiti sul conto cointestato per la mancata restituzione di un mutuo rilasciato al fratello N. di tal che affermò che il debito gravante su N. fosse pari a titoli e contanti disponibili al momento della chiusura, oltre a quelli incamerati dall’istituto per il mutuo rimasto inadempiuto. Il Tribunale accolse la domanda di K.K.D.L.G.T. e condannò il fratello N. a pagare la somma di Euro 155.944,02 pari alla metà del saldo esistente in base all’estratto al 31 marzo 1995 , oltre accessori, ritenendo apocrifa la sottoscrizione di Erminia C. , nonché superata la presunzione di comproprietà delle somme versate sul conto . La Corte d’Appello di Roma ha poi respinto l’impugnazione principale di K.K.D.L.G.T. , affermando che non può essere condivisa la tesi dell’appellante che sostiene che il fratello dovrebbe restituire anche i soldi presi a mutuo, sia perché non è chiaro chi effettivamente fosse la parte mutuataria considerato sia il tenore della denuncia-querela che il testamento , sia perché in ogni caso non risulta che alla data di chiusura del conto la banca fosse obbligata per ulteriori somme . La sentenza impugnata ha invece parzialmente accolto l’appello incidentale di K.K.D.L.G.N. , sostenendo che non potesse dirsi superata la presunzione di proprietà comune delle somme cointestate sul conto depositato, non avendo la signora C. provato la fonte delle ingenti somme depositate sul conto , e negando rilevanza alle circostanze, al contrario, valorizzate dal Tribunale, quali la vendita di immobili da parte di N. , o la notevole esposizione debitoria di N. verso la madre Lire 385.000.000 , come da assegno emesso da questo in favore della C. , assegno del quale, però, la Corte d’Appello ha detto non esser chiara la causale, aggiungendo che era comunque intenzione della madre rimettere tale debito, stando al testamento del 3 ottobre 1996, poi revocato. Le parti hanno presentato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c Ragioni della decisione Il primo motivo di ricorso di K.K.D.L.G.T. deduce la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. e 111, comma 2, Cost., indicando le deduzioni istruttorie avanzate dal ricorrente per superare la presunzione di comproprietà delle somme esistenti sul conto corrente cointestato trascritte nella parte espositiva del ricorso e rimaste senza risposta nella sentenza impugnata. Il secondo motivo di ricorso di K.K.D.L.G.T. denuncia l’omesso esame di fatti controversi e decisivi, facendo riferimento sempre ai fatti che avrebbero consentito di superare la presunzione di comproprietà. Il terzo motivo di ricorso di K.K.D.L.G.T. allega ancora un omesso esame di fatti anche in relazione all’art. 115 c.p.c., quanto all’affermazione della Corte d’Appello di Roma secondo cui non è chiaro chi effettivamente fosse la parte mutuataria considerato sia il tenore della denuncia-querela che il testamento , e in ogni caso non risulta che alla data di chiusura del conto la banca fosse obbligata per ulteriori somme . Il quarto motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di fatti anche in relazione agli artt. 2727 e ss. c.c. ed all’art. 115 c.p.c., quanto alle vendite di proprietà immobiliari compiute da N. , che avrebbero potuto alimentare la provvista sul conto cointestato. Il quinto motivo di ricorso allega la violazione degli artt. 2727 2729 c.c., circa l’uso delle presunzioni fatto dalla Corte d’Appello. Il sesto motivo di ricorso censura l’omesso esame quanto alla documentazione allegata alla lettera della Merryl Linch del 22 aprile 1997, che negava qualsiasi versamento di somme sul conto dopo quello iniziale. Il settimo motivo di ricorso deduce la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., in quanto lo stesso convenuto K.K.D.L.G.N. si era difeso già nel costituirsi in primo grado senza allegare di aver in qualche modo alimentato la somma depositata sul conto cointestato. I sette motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente per la loro connessione e si rivelano fondati nei limiti di seguito precisati. Va premesso come l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia . Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il fatto storico , il cui esame sia stato omesso, il dato , testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività , fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Non di meno, pur dopo tale riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., rimane denunciabile in cassazione l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico , nella motivazione apparente , nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile , esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053 . La sentenza della Corte d’Appello di Roma risulta allora strutturata su una motivazione apparente, o comunque obiettivamente incomprensibile, in quanto essa ha respinto l’impugnazione principale di K.K.D.L.G.T. e parzialmente accolto l’appello incidentale di K.K.D.L.G.N. , senza rendere percepibile il fondamento della decisione, precludendo all’attuale ricorrente la possibilità di assolvere l’onere probatorio su di esso gravante e ricorrendo ad argomentazioni inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento. Riformando sul punto la decisione del Tribunale, la Corte d’Appello ha ritenuto non superata la presunzione di proprietà comune delle somme cointestate sul conto depositato, non avendo la signora C. provato la fonte delle ingenti somme depositate sul conto la Corte di Roma ha poi negato rilevanza alle circostanze dell’avvenuta vendita di immobili da parte di K.K.D.L.G.N. , della notevole esposizione debitoria del medesimo N. verso la madre documentata da assegno di Lire 385.000.000 , e della soggezione di N. a numerose procedure esecutive, anche da parte della stessa C. . Di conseguenza, la Corte d’Appello ha diviso tra i due correntisti cointestatari il saldo attivo esistente sul conto al 31 marzo 1995. Quanto alla vicenda che la Banca avesse incamerato alcuni titoli gestiti sul conto cointestato in conseguenza della mancata restituzione di un mutuo rilasciato a N. e garantito con gli stessi titoli, la Corte d’Appello ha sostenuto che non è chiaro chi effettivamente fosse la parte mutuataria e che in ogni caso non risulta che alla data di chiusura del conto la banca fosse obbligata per ulteriori somme . La causa va sottoposta a nuovo esame, dovendo la Corte d’Appello uniformarsi ai principi più volte ribaditi da questa Corte, secondo cui nel conto corrente bancario intestato a più persone, i rapporti interni tra correntisti, anche aventi facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, sono regolati non dall’art. 1854 c.c., riguardante i rapporti con la banca, bensì dal secondo comma dell’art. 1298 c.c., in virtù del quale debito e credito solidale si dividono in quote uguali solo se non risulti diversamente ne consegue che, ove il saldo attivo risulti discendere dal versamento di somme di pertinenza di uno solo dei correntisti, si deve escludere che l’altro possa, nel rapporto interno, avanzare diritti sul saldo medesimo. Peraltro, pur ove si dica insuperata la presunzione di parità delle parti, ciascun cointestatario, anche se avente facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, nei rapporti interni non può disporre in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito dell’altro, della somma depositata in misura eccedente la quota parte di sua spettanza, e ciò in relazione sia al saldo finale del conto, sia all’intero svolgimento del rapporto cfr. Cass. Sez. 2, 02/12/2013, n. 26991 Cass. Sez. 2, 19/02/2009, n. 4066 Cass. Sez. 1, 01/02/2000, n. 1087 Cass., Sez. 1, 09/07/1989, n. 3241 . Al fine, allora, di ritenere non superata la presunzione di comproprietà in relazione al conto corrente , cointestato a K.K.D.L.G.N. ed alla madre C.E. , occorrerà spiegare perché, a fronte delle deduzioni istruttorie di K.K.D.L.G.T. , risulti non provato che i versamenti fossero stati compiuti con denaro appartenente soltanto alla C. . D’altro canto, deve essere accertato e spiegato se sussista, o meno, pur a fronte della presunzione derivante dalla cointestazione del conto, la dedotta da K.K.D.L.G.T. assoluta estraneità di C.E. all’operazione di costituzione in pegno di titoli, gestiti sul conto, in favore della banca mutuante Merryl Linch a garanzia del rimborso di un finanziamento erogato a K.K.D.L.G.N. , in quanto tale prospettazione renderebbe non riferibile solidalmente la movimentazione, e la relativa esposizione debitoria, al saldo del conto corrente. In conclusione, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, con conseguente rinvio, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte di Appello di Roma per una nuova delibazione, sulla base dei principi di diritto sopra enunciati e dei rilievi svolti. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Roma anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.