Il vincolo di destinazione a casa familiare tutela gli interessi della famiglia e prevale rispetto a quello delle parti originarie del comodato

Il comodato che ha ad oggetto un'abitazione destinata a casa familiare del comodatario costituisce un contratto il cui termine finale è desumibile dall'uso per il quale l'immobile è stato consegnato. Pertanto, il contratto dura fino a quando permangono le esigenze abitative della famiglia del comodatario.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 26954/17, depositata il 15 novembre. Il caso. Nel 2004 una donna, in qualità di usufruttuaria, chiedeva il rilascio dell’immobile di cui aveva donato la nuda proprietà al figlio e che era detenuto, sine titulo , dalla nuora. Questa si costituiva in giudizio in proprio e nella qualità di genitrice dei suoi due figli, all’epoca dei fatti minorenni, eccependo, preliminarmente, sia la nullità dell’atto introduttivo - proposto con ricorso, anziché con citazione -, sia la necessità di procedere ad una integrazione del contraddittorio nei confronti del figlio della signora, nonché suo marito, in virtù di una scrittura privata che l’uomo aveva sottoscritto insieme ai suoi genitori con la quale era specificato che – anche se la donazione riguardava la nuda proprietà dell’immobile, il diritto di usufrutto che i donanti si erano riservato era soltanto formale. In un atto di ricognizione l’uomo, nudo proprietario, aveva dichiarato di aver occupato l’immobile ad uso abitazione familiare fin dal 1989, anno in cui si era sposato. Nel 2004, all’udienza fissata per la discussione della causa, l’attrice, pur riconoscendo l’esistenza del comodato concesso al figlio in vista del matrimonio, precisava tuttavia – da un lato - che lo stesso comodato era senza determinazione di durata e, quindi, con cessazione a richiesta del comodante e – dall’altro – che, comunque, la qualità di comodatario era ravvisabile esclusivamente in capo al figlio il quale, in quel momento, si trovava ricoverato in stato semivegetativo presso una apposita struttura ospedaliera in seguito ad un ictus e non era stato riammesso nell’immobile dalla di lui moglie per motivi di sicurezza psico - fisica legati alle crisi epilettiche da cui era affetto il figlio maggiore della coppia. L’attrice chiedeva il rilascio dell’immobile affinché potesse adibirlo ad abitazione del figlio bisognoso di assistenza costante. Dopo un mutamento di rito avvenuto nel 2006, il Tribunale di Salerno, nel 2007 - dichiarata inammissibile la costituzione in giudizio della donna, anche nella qualità di esercente la potestà sui figli, interventori volontari, non avendo formulato alcuna domanda in nome e per conto di questi - respingeva la domanda ritenendo non contestato che l’appartamento fosse stato concesso in comodato al figlio dai genitori, affinché questi lo destinasse a casa familiare, così che il comodato era a tempo indeterminato, ovvero a destinazione della famiglia del comodatario, e non era venuto meno in seguito al trasferimento altrove, per motivi di salute, di uno dei coniugi. Il giudice di primo grado, in definitiva, richiamandosi ad una pronuncia del 2004 della Suprema Corte a Sezioni Unite, sosteneva che il contratto di comodato poteva cessare soltanto con il venir meno dell’utilizzazione del bene da parte della famiglia o col sopraggiungere di un bisogno imprevisto e urgente del comodante e non invece del comodatario. L’attrice, soccombente in primo grado, proponeva, quindi, appello ritenendo, fondamentalmente, che la pronuncia menzionata dei giudici della legittimità non fosse calzante con il caso in esame – riferendosi ad una fattispecie differente -, e censurava sia l’attribuzione erronea della qualità di comodataria alla nuora, sia la sentenza di primo grado nella parte in cui equiparava un contratto a tempo indeterminato ad un contratto di durata e l’erroneo disconoscimento del sopravvenuto bisogno della comodante. La nuora si costituiva in giudizio, spiegando appello incidentale. Nel 2015 la Corte d’ Appello si pronunciava accogliendo il gravame principale e ritenendo assorbito l’appello incidentale. Avverso la decisione della Corte territoriale la nuora proponeva ricorso per Cassazione, mentre i figli della coppia - divenuti, nel frattempo, maggiorenni - proponevano ricorso incidentale adesivo. La suocera resisteva con controricorso. Comodato e vincolo di destinazione. La ricorrente, con il primo motivo, censura la sentenza impugnata nella parte in cui non ha esteso i rapporto di comodato ai familiari conviventi con il comodatario e in quella in cui non ha rilevato la conservazione del vincolo di destinazione familiare e dell’estensione del titolo di detentore qualificato per il coniuge del comodatario e per i figli conviventi anche nell’ipotesi di separazione di fatto, come nel caso in esame in cui il diretto comodatario cessi di detenere materialmente il bene, per qualsiasi ragione, trasferendosi altrove e lasciando nella detenzione il coniuge e i figli. Con il secondo motivo lamenta l’omesso esame e, quindi, l’omessa pronuncia su fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in particolare in merito alla costituzione della donna in giudizio, in primo e in secondo grado, anche per i figli minori. Con il terzo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che la stessa non avrebbe reiterato la richiesta di prova del titolo del godimento. Con il quarto motivo, infine, la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata è illegittima nella parte in cui ritiene che il rapporto di comodato tra la madre e l’uomo fosse cessato in seguito all’incapacità naturale di questi. Osservazioni. Il primo e il terzo motivo, ritenuti connessi e, quindi esaminati congiuntamente, sono ritenuti fondati, mentre il secondo motivo è considerato inammissibile e il quarto ritenuto assorbito. La Suprema Corte ribadisce il principio, già consolidato in giurisprudenza, secondo il quale il comodato che ha ad oggetto un'abitazione destinata a casa familiare del comodatario costituisce un contratto il cui termine finale è desumibile dall'uso per il quale l'immobile è stato consegnato. Pertanto, il contratto dura fino a quando permangono le esigenze abitative della famiglia del comodatario. Nel caso di specie, ad avviso dei Supremi Giudici, non si sarebbe verificato alcun evento idoneo a comportare la cessazione del comodato. Inoltre, per i Giudici della legittimità la Corte territoriale ha violato i principi di devoluzione e dell’onere della prova, ritenendo erroneamente che la moglie del comodatario non avrebbe assolto l’onere probatorio sulla destinazione dell’immobile alle esigenze della famiglia, circostanza che, in realtà, doveva ritenersi pacifica e sottratta al sindacato dei giudici di seconde cure i quali avrebbero dovuto soltanto valutare se nella situazione di fatto esistente dovesse ancora ritenersi prevalente l’esigenza del nucleo familiare del comodatario, nonostante il suo grave stato di salute. In conclusione, i Giudici della III sezione civile della Corte di Cassazione, con la sentenza in oggetto, dichiarano inammissibile il secondo motivo del ricorso principale e il ricorso incidentale adesivo dei figli della coppia. Accolgono il primo e il terzo motivo del ricorso principale e ritengono assorbito il quarto. La sentenza impugnata viene cassata e rinviata alla Corte di Appello di Salerno, in diversa composizione, anche ai fini della liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 27 aprile – 15 novembre 2017, n. 26954 Presidente Chiarini – Relatore Moscarini Fatti di causa Con ricorso ex art. 447 bis depositato l’8/07/04 F.C. chiese, in qualità di usufruttuaria, il rilascio dell’immobile di cui aveva donato la nuda proprietà al figlio Fi.Gi. e detenuto sine titulo dalla nuora A.G. . La A. si costituì in giudizio in proprio e in qualità di genitrice dei suoi due figli all’epoca minorenni, eccependo in via preliminare sia la nullità dell’atto introduttivo, in quanto proposto con ricorso e non con atto di citazione, sia la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dell’avv. Fi.Gi. , figlio della F. e suo consorte, in ragione di una scrittura privata sottoscritta dallo stesso e dai suoi genitori con cui si specificava che, benché l’atto di donazione dell’appartamento in questione riguardasse solo la nuda proprietà, il diritto di usufrutto che i coniugi donanti si erano riservato, era solo formale, come emergeva da un atto di ricognizione del nudo proprietario Fi. in cui egli aveva dichiarato di averlo occupato ad uso abitazione familiare fin dall’epoca del matrimonio, avvenuto in data . All’udienza del 29/10/2004, fissata per la discussione della causa, la difesa dell’attrice, da un lato, riconosceva l’esistenza del comodato concesso al figlio Fi. in vista del già celebrato matrimonio , precisando, tuttavia, che lo stesso era senza determinazione di durata e, pertanto, con cessazione a richiesta del comodante, e, dall’altro, ribadiva che, comunque, la qualità di comodatario era ravvisabile esclusivamente nel figlio, attualmente ricoverato in stato semivegetativo presso apposita struttura ospedaliera in seguito ad un ictus e non riammesso dalla moglie A. nell’appartamento, per motivi di sicurezza psico - fisica legati alle crisi epilettiche da cui era affetto il figlio maggiore della coppia. La F. insisteva per ottenere la disponibilità dell’immobile per adibirlo ad abitazione del figlio ormai bisognoso di costante assistenza. Con ordinanza del 2 ottobre del 2006, il giudice di primo grado dispose il mutamento del rito, respinse la richiesta istruttoria della A. , considerando provata l’esistenza del comodato in favore del coniuge Fi. in quanto non contestata da controparte, non dispose l’integrazione del contraddittorio nei confronti di costui in quanto la domanda di rilascio proposta dall’attrice era fondata sulla carenza di titolo della A. essendo comodatario soltanto il figlio. Con sentenza del settembre 2007 il Tribunale di Salerno, dichiarata inammissibile la costituzione della A. anche nella qualità di esercente la potestà sui figli, interventori volontari, non avendo formulato nessuna domanda in nome e per conto di costoro, respinse la domanda ritenendo non contestato che l’appartamento fosse stato dato in comodato al figlio dai genitori perché lo destinasse a casa familiare, come avvenuto dal celebrato matrimonio nel , sì che il comodato era a tempo indeterminato, ovvero a destinazione della famiglia del comodatario, non venuto meno in seguito al trasferimento altrove per motivi di salute di uno dei coniugi e anche nell’ interesse in particolare di uno dei figli. Infatti, ritenne il giudice di primo grado, la cessazione del contratto poteva avvenire soltanto con il venir meno dell’utilizzazione del bene da parte della famiglia o con la sopravvenienza di un bisogno del comodante, imprevisto ed urgente, in virtù del principio statuito da Cass., U n. 13603/2004, e non già del comodatario, la cui tutela, previa dimostrazione di estromissione da parte del coniuge A. , avrebbe potuto esser richiesta in sede possessoria. La F. propose appello, asserendo che la pronuncia delle S.U. precitata, applicata dal giudice di primo grado, non si attagliava al caso di specie, facendo espresso riferimento all’ipotesi di successione al comodatario del coniuge affidatario dei figli in forza del provvedimento di cui all’art. 155 c.c Censurò, quindi, sia l’erronea attribuzione della qualità di comodataria alla A. , che non poteva essere considerata tale alla stregua del principio di cui alle SS.UU. del 2004, mancando nel caso in esame l’esistenza di un provvedimento che le assegnasse il godimento della casa e che, a tutto voler concedere, doveva essere considerata un detentore sine titulo, una volta che il comodante avesse richiesto la restituzione del bene ai sensi dell’art. 1810 c.c Inoltre, l’appellante contestò anche l’erronea esclusione del carattere precario del comodato, censurando la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva equiparato un contratto a tempo indeterminato ad un contratto di durata e l’erroneo disconoscimento del sopravvenuto bisogno della comodante. La A. si costituì in giudizio e spiegò appello incidentale. La Corte d’Appello di Salerno, con sentenza dell’aprile 2015, accolse il gravame principale, assorbito l’appello incidentale, spiegato unicamente ai sensi dell’art. 346 c.p.c., alla stregua delle seguenti rationes decidendi i il principio di cui alle S.U. 2004 era inapplicabile perché concernente la diversa ipotesi di assegnazione della casa coniugale in caso di separazione personale dei coniugi mentre la domanda era fondata sull’illegittimità della detenzione da parte della coniuge del Fi. in quanto, al più, il vincolo di comodato a favore di costui era cessato con la sua sopravvenuta incapacità naturale 2 pertanto non vi era obbligo alcuno dell’usufruttuaria di consentire la prosecuzione del godimento del bene perché, cessata la destinazione di comodato al nudo proprietario, la titolare dell’usufrutto - esclusiva dopo il decesso del marito nel 1997 - aveva diritto di ottenere la restituzione del bene dall’ occupante che non aveva titolo legittimante il suo godimento, non avendo neppure reiterato la richiesta di prova ovvero avanzato richieste di prova in tal senso. Ricorre per cassazione A.G. . Propongono ricorso incidentale adesivo i figli Fi.Ja. e Mi. , nel frattempo divenuti maggiorenni. F.C. resiste con controricorso. Le parti presentano memoria. Ragioni della decisione 1.- Va pregiudizialmente dichiarato inammissibile il ricorso adesivo dei figli della ricorrente A. essendo passata in giudicato la statuizione del giudice di primo grado che ha ritenuto la costituzione in giudizio da parte della madre A. , nella qualità di rappresentante legale di costoro, inammissibile per mancanza di interesse in difetto di proposizione di domanda da parte della predetta nella qualità. 1.1- Conseguentemente è inammissibile il secondo motivo con il quale la ricorrente denuncia l’omessa pronuncia e comunque omesso esame e motivazione circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti art. 360, co. I, n. 5 c.p.c. in relazione alla costituzione dell’odierna ricorrente, sia in primo che in secondo grado, anche per i figli minori violazione e falsa applicazione degli artt. 144, 315, 315 bis, 316 e 317 c.c. in relazione all’art. 360, I comma n. 3 c.p.c 2.- Il primo motivo e il terzo motivo sono connessi e possono esaminarsi congiuntamente. 2.1- Con il primo la ricorrente A. denuncia la violazione degli artt. 1803 e 1809, 2 co. c.c. e degli artt. 2, 3 e 29 Cost. e omessa applicazione analogica dell’art. 6 L. 392/78, in relazione all’art. 360, 1 co. n. 3 c.p.c., con conseguente erronea declaratoria di illegittima occupazione del bene immobile da parte sua e dei figli. L’impugnata sentenza viene censurata nella parte in cui la stessa non ha esteso il rapporto di comodato ai familiari conviventi con il comodatario e nella parte in cui non ha rilevato la conservazione del vincolo di destinazione familiare e dell’estensione del titolo di detentore qualificato per il coniuge del comodatario e per i figli conviventi anche nell’ipotesi di separazione di fatto, nel caso cioè in cui il diretto comodatario cessi, per qualsiasi ragione, di detenere materialmente l’immobile e si trasferisca altrove, lasciando nella detenzione i figli ed il coniuge. La ricorrente denuncia una disparità di trattamento tra il coniuge non separato legalmente dall’originario comodatario che risieda altrove in una specie di separazione di fatto come nel caso in esame, e il coniuge separato legalmente, con disparità di trattamento anche nei confronti dei figli costretti a rilasciare la casa familiare dove sono nati e cresciuti solo perché i genitori sono separati in via di fatto e non anche legalmente, rispetto ai figli di una coppia legalmente separata cui il giudice abbia statuito l’assegnazione della casa coniugale. A sostegno della tesi la ricorrente invoca anche l’art. 6 della L. 392/1978 che, in ordine al diritto di successione nel contratto di locazione del coniuge separato, estende il diritto anche al comodato ricorrendo la medesima ratio dell’interesse della prole a non essere costretta ad abbandonare la casa familiare. Peraltro il diritto all’abitazione, quale diritto inviolabile ai sensi dell’art. 2 Cost., non può che condurre al riconoscimento della pari dignità sociale dei figli di genitori separati e di quelli coniugati. La giurisprudenza consolidata di questa Corte si esprime nel senso che, al fine di conservare la casa familiare nell’interesse della prole, all’immobile si imprime un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari non soltanto a titolo personale del comodatario, ma dell’intera famiglia. Questa Corte, peraltro, nella sentenza n. 20448/2014 ha statuito che il comodato senza determinazione di durata deve considerarsi sorto per un uso determinato e dunque per un tempo determinabile per relationem, da individuarsi in considerazione della destinazione a casa familiare, indipendentemente dall’insorgere di una crisi coniugale. Nel caso di specie non si sarebbe verificato alcun evento idoneo a comportare la cessazione del comodato, quale il mutuo consenso tra le parti, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione, la scadenza del termine, la fine dell’uso pattuito ed il perimento della cosa. 2.2- Con il terzo motivo l’A. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360, 1 co. n. 3 c.p.c. con conseguente erronea attribuzione dell’onere della prova relativo al titolo di godimento dell’immobile a carico di essa A. violazione o falsa applicazione degli artt. 45 e 144 c.c. sempre in relazione all’art. 360, 1 co. n. 3 c.p.c La ricorrente censura l’impugnata sentenza nella parte in cui afferma che la stessa non avrebbe reiterato la richiesta di prova del titolo del godimento. L’assunto è illegittimo, specifica la ricorrente, in quanto fin dal primo grado, nell’eccepire Ì esistenza di un comodato familiare, aveva prodotto lo stato di famiglia, il certificato di residenza da cui emergeva che, fin dal giugno 1989, era residente nell’appartamento del marito che ivi aveva mantenuto la sua residenza fintantoché la famiglia di origine non gli aveva imposto di trasferirsi altrove dopo esser stato dimesso dalla casa di cura, ed infatti il nucleo familiare, composto anche dai figli, persisteva ancora nel 2004 e queste prove non sono state confutate dalla F. . Pertanto, provata la qualità di comodatario di Fi.Gi. , alla luce della suddetta documentazione, la stessa qualità derivante da tale qualificato titolo detentivo doveva essere riconosciuta a favore della moglie e dei figli, stante l’insussistenza di uno stretto obbligo di coabitazione dei coniugi ai sensi degli artt. 144, 143 e 45 c.c. essendo sufficiente la fissazione della residenza della famiglia secondo le esigenze della stessa, come avvenuto nella fattispecie, non scalfita dalla possibilità di un domicilio altrove per uno dei coniugi se ne ricorrono i presupposti. 2.3- I motivi sono fondati per quanto di ragione. Ed infatti, ribadita la rilevanza costituzionale del diritto all’abitazione, riconosciuto tra i diritti sociali inviolabili della persona contemplati dall’art. 2 Cost., per effetto del quale il vincolo di destinazione impresso alla casa familiare è a tutela degli interessi della famiglia e va considerato prevalente rispetto a quello delle stesse parti originarie del comodato, la sentenza di prime cure, che aveva respinto la domanda attorea di rilascio dell’appartamento per occupazione sine titulo, era fondata sull’accertamento della consapevolezza della destinazione di esso da parte dei genitori usufruttuari e comodanti a casa familiare fin dal matrimonio con la A. nel . Ed infatti la stessa F. non solo non aveva contestato la suddetta circostanza, facendo sì che, per tale ragione, con ordinanza del 02/10/2006, il Tribunale ritenesse superflua la richiesta istruttoria avanzata dalla A. volta a provare tale assunto, ma addirittura, all’udienza del 29/10/2004, l’aveva espressamente confermata. Ne era conseguito, come logico corollario, il riconoscimento di un comodato a tempo indeterminato in favore di tutti i componenti della famiglia. Nel proporre appello avverso tale sentenza, la F. aveva articolato le sue censure su due piani, che per nulla inficiavano il presupposto di cui sopra l’esistenza di un comodato familiare in favore della famiglia del figlio , ma che si appuntavano sulle conseguenze giuridiche che il giudice aveva tratto da tale accertamento, richiamando i principi enunciati dalle S.U. nel 2004. Come riassunto in narrativa, infatti, ciò che veniva in rilievo tramite l’effetto devolutivo dei motivi di gravame articolati dalla F. era esclusivamente l’erronea applicabilità di essi alla fattispecie in cui non vi era stata un’assegnazione della casa coniugale al coniuge successivamente all’allontanamento del comodatario Fi. . Ora, si consideri che, secondo quanto statuito dalla pronuncia delle S.U. n. 20448/2014, la prova della concessione in comodato dell’immobile per sua destinazione familiare può essere fornita anche tramite inferenze probatorie, desumibili da ogni utile fatto secondario allegato e dimostrato, quale ad esempio, lo stato di coniugio del comodatario o la sua prossimità alle nozze. Pur essendo superfluo riaffermare che un simile apprezzamento non può che essere svolto dal giudice di merito, va, da un lato, ricordato che tutta la documentazione specificatamente richiamata nel terzo motivo di ricorso era stata ritenuta dal giudice di primo grado senza censura da parte della F. , che aveva impugnato le conseguenze giuridiche dell’accertato comodato familiare in favore del Fi. , modificata la situazione di fatto al medesimo inerente nella qualità di coniuge e di padre. D’altro lato, è poi da rilevare che, di tali elementi, per nulla ha tenuto conto la Corte d’Appello, trincerandosi dietro la mancata prova di un fatto che, al contrario, era pacifico e immodificabile nella dimensione giuridica assunta dal passaggio da un grado all’altro del giudizio l’esistenza di un comodato in favore del Fi. da qualificarsi come familiare, poiché stipulato ai fini del soddisfacimento delle esigenze della famiglia di lui. Dunque l’accertamento di un contratto di comodato con la consapevolezza della destinazione familiare stipulato fra il Fi. e i genitori di costui rimaneva incontestato, e perciò non poteva esser riesaminato e tanto meno rimesso in discussione dai giudici di secondo grado, essendo stato ad essi devoluto soltanto il riesame degli effetti giuridici di tale contratto nei confronti della moglie e dei figli una volta che il coniuge comodatario, per gravi motivi di salute, era stato trasferito dalla famiglia di origine altrove, nell’impossibilità per la salute dei figli del medesimo di coabitare con lui nella casa familiare oggetto del comodato in questione. Pertanto, la Corte d’Appello ha violato i principi di devoluzione in materia di appello e sull’onere della prova allorché ha respinto l’appello incidentale ovvero le censure reiterate ai sensi dell’art. 346 c.p.c. dall’A. ed accolto l’appello principale sull’erroneo presupposto del mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte di quest’ultima in punto di destinazione dell’immobile alle esigenze della famiglia del Fi. tale circostanza era invero sottratta al sindacato dei giudici di seconde cure, chiamati solo a rivalutarne gli effetti giuridici nei confronti della moglie e dei figli una volta venuta meno la possibilità di una coabitazione familiare nelle stesse circostanze e condizioni preesistenti, senza poter addossare nessun onere probatorio alla A. , nemmeno in termini di reiterazione delle istanze istruttorie respinte in primo grado per il principio di non contestazione. Di qui l’illegittimità della sentenza impugnata. 4.- Con il quarto motivo di ricorso l’A. denuncia la falsa applicazione degli artt. 428 e 1626 c.c. in relazione all’art. 360, 1 co. n. 3 c.p.c., per l’errata determinazione che il rapporto di comodato della F. con il figlio fosse cessato in conseguenza della incapacità naturale di questi, con conseguente illegittimità della detenzione esercitata dall’A. . Ad avviso della ricorrente, la sentenza impugnata sarebbe illegittima nella parte in cui ha ritenuto che il rapporto di comodato della F. con il figlio fosse cessato in conseguenza dell’incapacità naturale del Fi. , laddove invece non vi è alcuna norma dell’ordinamento giuridico che riconduca all’interdizione peraltro non ancora intervenuta al momento dell’introduzione del giudizio una causa di estinzione del rapporto, ferma la necessità di prestazione di idonea garanzia al locatore per l’esatto adempimento degli obblighi dell’affittuario. Tale motivo è assorbito in conseguenza dell’accoglimento del primo e del terzo motivo, in quanto la Corte territoriale ha malamente omesso di valutare il merito di tali doglianze per avere non correttamente accollato un insoddisfatto onere della prova al coniuge del comodatario sulla destinazione originaria dell’immobile alle esigenze della famiglia, circostanza che doveva ritenersi pacifica così in modo non condivisibile esimendosi dal compito, proprio del giudice del merito, di valutare se, nella situazione di fatto venutasi a creare, potesse o dovesse ancora qualificarsi prevalente l’esigenza del nucleo familiare del comodatario, anche o nonostante il gravissimo stato di salute di quest’ultimo e il tempo fino al quale il nucleo stesso potesse dirsi tuttora in essere malgrado lo stato gravemente infermo del Fi. , coniuge e padre, e tenuto comunque conto di ogni circostanza ritualmente allegata dalle parti. Conseguono all’accoglimento del primo e del terzo motivo la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio alla Corte d’Appello di Salerno, in diversa composizione, anche ai fini della liquidazione delle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il secondo motivo del ricorso principale ed il ricorso incidentale adesivo di Fi.Ja. e Mi. accoglie il primo e il terzo motivo del ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Salerno, in diversa composizione, anche ai fini della liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.