Annullato l’atto di vendita con incapace, ma non sempre il pregiudizio economico implica malafede della controparte

Ai fini dell’annullamento di un atto di compravendita stipulato da una venditrice che versi in condizioni di incapacità naturale, il solo pregiudizio economico che possa derivarle dall’atto medesimo, non è sufficiente a dimostrare la malafede della controparte. Ciò in quanto, varie possono essere le ragioni per le quali un soggetto si induca a stipulare un contratto per lui svantaggioso ragioni che la controparte non è tenuta ad indagare. A meno che non risulti evidente, o quantomeno percepibile con l’ordinaria diligenza, che la determinazione della controparte costituisca l’estrinsecazione di turbe o menomazioni della sfera volitiva o intellettiva.

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione, sez. II Civile, con ordinanza n. 20603/17 depositata il 31 agosto, respingendo il ricorso dell’acquirente di un appartamento, che si era visto annullare in appello il relativo atto d’acquisto. Il caso. La Corte territoriale, su domanda dal nipote della venditrice, aveva accertato come quest’ultima, al momento della stipula, versasse in una condizione di incapacità naturale, in quanto affetta da demenza senile cronica di tipo Alzheimer attestata anche da CTU resa nel corso del giudizio di interdizione . Oltretutto gli stessi Giudici d’Appello avevano rilevato come dal contratto di vendita discendessero conseguenze pregiudizievoli per l’incapace, atteso che non vi era prova dell’integrale pagamento del prezzo pattuito. Da qui, poteva dedursi la malafede dell’acquirente. Stato di incapacità, apprezzamento riservato al Giudice di merito. Respinte una ad una le censure mosse dal ricorrente, la Corte Suprema rammenta innanzitutto che lo stato di incapacità della venditrice al momento della stipula, è il risultato dell’apprezzamento del quadro probatorio riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo se sfocia in un vizio di motivazione. Vizio nella specie non sussistente, avendo la Corte di merito ampiamente argomentato sulla base dei plurimi accertamenti medici ed ospedalieri, tutti attestanti in modo convergente lo stato di deterioramento delle facoltà cognitive della donna. Non sussiste violazione dell’art. 428 c.c. nemmeno con riferimento all’accertamento della malafede dell’acquirente, che è la risultante di una valutazione complessiva, effettuata sempre nel merito, della gravità della condizione psico-fisica della venditrice e del contenuto dell’atto, risultato svantaggioso a fronte del divario tra l’importo effettivamente corrisposto e quello indicato. Incapacità grave, il pregiudizio economico implica volersene approfittare. Va tuttavia precisato – puntualizza la Corte - che non sempre detto divario, ossia, il pregiudizio economico sofferto dall’incapace, sia idoneo di per sé a provare la malafede dell’acquirente, posto che per tante ragioni un soggetto potrebbe essere indotto a stipulare un contratto ad esso non vantaggioso. Nel caso di specie, risulta di assoluta centralità il grave stato in cui versava la venditrice al momento della stipula, sicché l’accertamento del pregiudizio economico costituisce conferma della consapevolezza in capo all’acquirente dell’altrui condizione di incapacità e della sua volontà di volerne approfittare. Tutto ciò può dirsi sufficiente a procurare l’annullamento del contratto, risultando ininfluenti le circostanze – addotte dal ricorrente – che la venditrice, a pochi mesi dalla vendita e pur in stato di conclamata incapacità, avesse disposto in favore dei nipoti, e che in precedenza avesse stipulato il preliminare di vendita con lo stesso ricorrente.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 26 aprile – 31 agosto 2017, n. 20603 Presidente Matera – Relatore Picaroni Fatti di causa 1. La Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza depositata il 13 aprile 2013 e notificata il 16 maggio 2013, ha accolto l’appello proposto da D.L.L. , in qualità di erede di V.T. , e per l’effetto ha accolto la domanda proposta da D.L. , di annullamento dell’atto pubblico di compravendita in data 28 febbraio 1996, con il quale la madre aveva venduto a S.G. l’appartamento sito in , distinto al foglio , n. sub , per l’importo di Lire 90 milioni. 2. La Corte d’appello ha accertato che la venditrice versava in condizione di incapacità naturale, in quanto affetta da demenza senile cronica, di probabile tipo Alzheimer, come risultava dalla CTU svolta nel corso del procedimento di interdizione concluso nel 2000, che aveva retrodatato la patologia di almeno cinque anni, e che era confermata dalla diagnosi effettuata dai sanitari dell’Ospedale civile di , in occasione del ricovero della sig.ra V. nel periodo dal 14 al 31 ottobre 1991. La stessa Corte territoriale ha rilevato che dal contratto discendevano conseguenze pregiudizievoli per l’incapace, atteso che non vi era prova dell’integrale pagamento del prezzo pattuito, ed ha ritenuto sussistente la malafede dell’acquirente. 3. Per la cassazione della sentenza ricorre S.G. sulla base di due motivi. Resiste con controricorso D.L.L. , che ha depositato memoria illustrativa. Ragioni della decisione 1. Il ricorso è infondato. 1.1. Con il primo motivo è denunciata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 163-bis cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., assumendosi l’applicabilità al caso di specie del termine per comparire di novanta giorni, sul rilievo che il riferimento ai procedimenti instaurati successivamente al 1 marzo 2006 - contenuto nella norma transitoria di cui all’art. 2, comma 4, della legge n. 263 del 2005, come modificata dall’art. 39-quater del d.l. n. 273 del 2005, conv. con modif. dalla legge n. 51 del 2006 imporrebbe di avere riguardo alla data di introduzione dell’appello, che era successiva al 1 marzo 2006. La Corte d’appello era incorsa in errore ulteriormente, quando aveva affermato che, in ogni caso, la costituzione dell’appellato avrebbe sanato l’ipotetico vizio poiché l’appellato non aveva chiesto la fissazione di nuova udienza nel rispetto del termine. 1.2. La doglianza è infondata. In base al principio di unitarietà del procedimento - nel quale i giudizi di impugnazione si inseriscono come autonome fasi di uno stesso procedimento - l’espressione procedimenti instaurati , contenuta nelle disposizioni transitorie come quella in oggetto, fa riferimento al momento di introduzione della controversia, e quindi alla data di notifica dell’atto di citazione o di deposito del ricorso, a seconda del rito applicabile ex plurimis, Cass. Sez. U. 17/09/2010, n. 19701 . L’art. 163-bis cod. proc. civ., nel testo modificato nel 2005, non era pertanto applicabile al caso di specie, iniziato in epoca antecedente, in quanto la notifica dell’atto di citazione è antecedente all’entrata in vigore della legge n. 51 del 2006 1 marzo 2006, Cass. 30/01/2017, n. 2301 . 2. Con il secondo motivo è denunciata violazione e/o falsa applicazione dell’428 cod. civ., e si contesta la valutazione dei requisiti di annullamento del contratto. Il ricorrente assume che la Corte d’appello avrebbe ritenuto sussistente lo stato di incapacità naturale a fronte del semplice accertamento dello stato di malattia della venditrice. Allo stesso modo, la Corte territoriale avrebbe ritenuto sussistente la malafede dell’altro contraente sulla base dell’accertamento del pregiudizio che l’atto arrecava alla venditrice, secondo un automatismo che era palesemente estraneo alla previsione normativa e al riparto dell’onere della prova sul punto. Il ricorrente evidenzia, infine, la contraddittorietà dell’accertamento della incapacità della sig.ra V. al momento del rogito oggetto di impugnazione, a fronte del compimento di atti dispositivi in favore dei nipoti in data 13 agosto 1996, e della stipula di contratto preliminare con Io stesso S. in data 8 febbraio 1996. 2.1. Le doglianze sono infondate. 2.2. L’accertamento dello stato di incapacità della venditrice al momento della stipula è la risultante dell’apprezzamento del quadro probatorio, che è operazione riservata al giudice di merito, sindacabile solo sotto il profilo del vizio di motivazione ex plurimis, Cass. 28/03/2002, n. 4539 . Nel caso di specie, in cui peraltro il vizio di motivazione neppure è dedotto, la Corte d’appello ha richiamato plurimi accertamenti medici, anche ospedalieri documentazione sanitaria acquisita dal Pubblico Ministero nel procedimento per circonvenzione d’incapace in danno della sig.ra V. , relativa al ricovero dal 14 al 31 ottobre 1991, presso l’Ospedale civile di L’Aquila , che in modo convergente attestavano lo stato di deterioramento delle facoltà cognitive della sig.ra V. a far tempo dai primi anni ‘90. La diagnosi effettuata nel 1991 dai sanitari dell’Ospedale civile di L’Aquila, che aveva evidenziato la presenza di un quadro psicopatologico già importante - caratterizzato da fatuità grave, decadimento della memoria, deterioramento cognitivo, disinibizione, iperattività afinalizzata - aveva trovato poi conferma nella pronuncia di interdizione nel 2000 per accertata condizione di abituale infermità di mente, secondo il tipico andamento ingravescente delle malattie riconducibili nel genus della demenza senile. 2.3. Non sussiste la violazione dell’art. 428 cod. proc. civ. neppure con riferimento all’accertamento del requisito della malafede dell’acquirente, che è la risultante della valutazione complessiva effettuata dalla Corte d’appello, della gravità della condizione psicofisica della venditrice e del contenuto dell’atto, risultato svantaggioso a fronte del significativo divario tra l’importo effettivamente corrisposto Lire 55 milioni e quello indicato Lire 90 milioni . È vero che il solo pregiudizio economico che possa derivare dall’atto dispositivo non è sufficiente a dimostrare la mala fede dell’altro contraente, come anche di recente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema Cass. 30/09/2015, n. 19458 , e ciò in quanto varie, com’è intuibile, possono essere le ragioni per le quali un soggetto si induca a stipulare un contratto sebbene per lui svantaggioso, ragioni che la controparte non è tenuta ad indagare . Tuttavia, come precisato nella stessa pronuncia appena citata, rimane salvo il caso che risulti evidente o, almeno, percepibile con l’ordinaria diligenza, che la determinazione della controparte costituisca l’estrinsecazione di turbe o menomazioni della sfera volitiva o intellettiva . Nella valutazione della Corte territoriale, anche attraverso il richiamo dettagliato alla sentenza di interdizione, risulta di assoluta centralità il rilievo della gravità dello stato di alterazione in cui versava la sig.ra V. all’epoca della stipula, sicché l’accertato pregiudizio economico costituisce conferma della consapevolezza in capo all’acquirente dell’altrui condizione di incapacità e della volontà di approfittarne. Ciò è sufficiente ai fini dell’annullamento del contratto, non anche ai fini della configurazione della circonvenzione d’incapace, che esige l’attività di induzione a contrarre. 2.4. Ininfluente è poi la circostanza che la sig.ra V. avesse disposto di propri beni a favore dei nipoti, dopo pochi mesi dal contratto in esame, pur in condizione di conclamata incapacità, e che in precedenza avesse stipulato preliminare di vendita con lo stesso ricorrente. La denunciata contraddittorietà, che non investe infatti la sentenza della Corte d’appello ma il comportamento del D.L. , non può incidere sulla validità dell’accertamento effettuato dalla stessa Corte, tenuto conto che l’azione di annullamento è posta a garanzia degli interessi personali ed individuali del contraente, al quale è rimessa l’iniziativa di eliminare gli effetti del contratto. 3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese del presente giudizio, nella misura indicata in dispositivo. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.