Anche se l’immobile diventa “di pregio” il prezzo di vendita non cambia

In tema di dismissione del patrimonio immobiliare degli enti pubblici, l’opzione si sostanzia in un rapporto in base al quale una delle parti si obbliga a rimanere vincolata alla propria dichiarazione e l’altra ha facoltà di accettarla, o meno, mentre la prelazione non fa sorgere alcun obbligo a carico del promittente, se non quello di preferire, in caso di conclusione del contratto cui essa si riferisce, il promissario.

Con tali motivazioni, le Sezioni Unite della Suprema Corte, nella sentenza n. 6023 del 25 marzo 2016, hanno rigettato il ricorso dell’Ente previdenziale che pretendeva di variare il prezzo di acquisto di un immobile, già concordato in sede di esercizio della prelazione e di acquisto della proprietà. I fatti. Con lettera dell’8.6.2006, l’Istituto previdenziale aveva comunicato alla conduttrice di un immobile la vendita del bene occupato, indicando tutti gli elementi essenziali del contratto alla cui conclusione era preordinata, ivi compreso il prezzo. Successivamente, l’Istituto era rimasto inadempiente, tanto che la promissaria acquirente si era vista costretta ad adire il Tribunale di Milano, per chiedere il trasferimento in suo favore del bene, ai sensi dell’art. 2932 c.c I giudizi di merito. Nella sede giudiziaria, il venditore aveva eccepito il difetto di giurisdizione del Tribunale ordinario, in luogo di quello amministrativo, assumendo che l’immobile, inizialmente classificato come non di pregio”, era stato successivamente inserito tra quelli di pregio”, con conseguente variazione in aumento del prezzo. Tale scelta discrezionale dell’Ente pubblico, non poteva dirsi preclusa dall’intervenuto esercizio del diritto di opzione da parte della conduttrice. La tesi, tuttavia, non veniva accolta né in primo, né nel secondo grado di giudizio. Il giudizio di legittimità. Il venditore ha proposto ricorso anche innanzi alla Suprema Corte, assegnato alle Sezioni Unite, affidato a 4 motivi di diritto, tutti rigettati. Essi infatti tendevano, in estrema sintesi, a dimostrare che la conduttrice non poteva pretendere di ottenere il trasferimento del bene alle condizioni contenute in un preliminare superato in base alla successiva qualificazione dell’immobile come di pregio”. Ma la tesi è stata ritenuta inconsistente dalla Corte che, richiamati i consolidati principi esistenti in tema di diritto di opzione e di prelazione, ha chiarito come nell’ipotesi di beni pubblici da dismettere, rientra nella disponibilità dell’offerente l’individuazione del prezzo e non costituisce un diritto dell’oblato. Dopo la formulazione dell’offerta e l’avvenuta accettazione, tuttavia, il prezzo integra una componente dell’oggetto dell’opzione ed esce dalla discrezionalità dell’offerente. Nel caso di specie, dunque, essendo intervenuto l’incontro delle volontà di entrambe le parti, poteva dirsi formato un contratto preliminare di compravendita, dal quale era derivato il diritto della promissaria acquirente di perfezionare l’acquisto, al prezzo fissato in quella sede. Ciò perché, secondo l’insegnamento della Suprema Corte, il contratto era da ritenere perfezionato al momento stesso dell’accettazione, perfettamente coincidente con la proposta, con conseguente irrilevanza di qualsiasi mutazione della qualifica dell’immobile, anche ai fini della disposizione dell’art. 1339 c.c Per le sopra esposte ragioni, le Sezioni Unite della Suprema Corte, hanno rigettato il ricorso formulato dall’Ente previdenziale, condannandolo al pagamento delle spese di lite.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 8 – 25 marzo 2016, n. 6023 Presidente Canzio – Relatore Spirito Svolgimento del processo La V. propose domanda di trasferimento in suo favore, ex art. 2932 c.c., dell’appartamento sito in omissis , già di proprietà dell’INPS e dall’attrice condotto in locazione. In particolare, la V. spiegava che l’immobile era stato trasferito dall’INPS alla società di cartolizzazione SCIP con DM del 21.11.2002 esso, originariamente inserito tra gli immobili di pregio dal DM 1 aprile 2003, era stato successivamente riclassificato come non di pregio , per poi essere di nuovo inserito tra gli immobili di pregio dal DM 13 aprile 2007 l’INPS, in data 8 giugno 2006, le aveva inviata lettera avente ad oggetto la vendita dell’immobile in questione, contenente tutti gli elementi essenziali del contratto alla cui conclusione era preordinata, con indicazione del prezzo, del termine entro il quale il contratto stesso doveva essere stipulato e del notaio incaricato della stipula proposta dall’attrice stessa accettata, con manifestazione di volontà di esercizio della prelazione e di acquisto della proprietà si era così concluso un contratto preliminare di compravendita ed ella aveva diritto alla sentenza che tenesse luogo del mancato contratto definitivo, non concluso per inadempimento dell’Istituto. Questo, costituitosi, eccepì il difetto di giurisdizione del GO e la giurisdizione del GA, sul presupposto che l’avvenuto esercizio del diritto d’opzione da parte della conduttrice non aveva pregiudicato, stante l’interesse pubblico, la possibilità dell’ente stesso di successivamente qualificare l’immobile come di pregio e, dunque, di variare il prezzo già concordato. Il tribunale di Milano, affermata la propria giurisdizione, accolse la domanda, con sentenza poi confermata dalla corte d’appello della stessa città. Propone ricorso per cassazione l’INPS attraverso quattro motivi, illustrati da memoria per l’udienza. Resiste con controricorso la V. . Motivi della decisione Il primo motivo violazione e falsa applicazione art. 1331 c.c. - vizio della motivazione , riepilogate le vicende relative alla classificazione dell’immobile in questione, sostiene che i giudici del merito non avrebbero tenuto conto della peculiarità dell’opzione disciplinata in tema di dismissione del patrimonio immobiliare e della rilevanza dell’accertamento amministrativo circa la natura di pregio dell’immobile stesso circostanze, queste, che avrebbero dovuto suggerire ai giudici di merito per effetto della successione dei provvedimenti di classificazione una valutazione dell’offerta di esercizio dell’opzione di cui alla missiva dell’8 settembre 2006 in termini di manifestazione claudicante, suscettibile cioè di affievolire a mera manifestazione di volontà parziale ed esplorativa . Il secondo motivo violazione artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c. - omessa motivazione sostiene che i giudici non avrebbero tenuto conto di due sentenze passate in giudicato del Consiglio di Stato, le quali avevano stabilito che l’esclusione degli immobili di pregio dalla fissazione del prezzo di acquisto in base alla normativa vigente al momento dell’offerta di acquisto dei conduttori opera anche con riferimento agli immobili per cui la dichiarazione di pregio sia intervenuta successivamente a tale data sicché, l’indicazione del prezzo, formulata nelle prime proposte sulla base del precedente erroneo accertamento è indicativa e vale soltanto ad orientare gli interessati in termini di adesione o meno all’ipotesi di selezione dell’immobile in parola ai fini della futura vendita. Il terzo motivo violazione art. 1339 c.c. sostiene che i giudici avrebbero errato nel ritenere inapplicabile alla fattispecie il dettato della summenzionata disposizione civilistica, posto che l’ente previdenziale che procede alla cartolarizzazione è vincolato, nella determinazione del prezzo, a quanto stabilito dall’ufficio competente con provvedimenti aventi il carattere del l’imperatività. Il quarto motivo violazione e falsa applicazione dei principi in materia di riparto della giurisdizione sostiene l’errore commesso dai giudici nel ritenere che l’azione della V. fosse diretta a conseguire la sentenza di cui all’art. 2932 c.c. Al contrario - sostiene l’Istituto ricorrente - la domanda mirava ad escludere la qualificazione di pregio dell’immobile ed a sentire dichiarare il diritto ad acquistarlo con il massimo sconto-possibile. Il primo motivo da delibare, in ordine logico, è il quarto, siccome attinente alla giurisdizione. Il motivo è inammissibile. Il giudice, sia nella parte narrativa della sentenza, sia in quella della motivazione, dettagliatamente spiega che la V. aveva proposto domanda diretta a conseguire la sentenza ex art. 2932 c.c., sulla base di un contratto preliminare di compravendita intervenuto tra sé e l’Istituto. In tal ordine di idee, conferma dunque la prima sentenza. L’opposta tesi dell’ente ricorrente che, per escludere la giurisdizione del GO, sostiene, invece, che la domanda era diretta a contestare la classificazione dell’immobile per un verso è assolutamente generica e tautologica, siccome non offre alcun elemento per desumere la circostanza predicata, e, per altro verso, chiede alla corte di legittimità una diversa interpretazione della domanda, senza neppure censurare la violazione dei canoni ermeneutici. Peraltro, la deduzione si manifesta incomprensibile, dal momento che come può dedursi anche dai documenti inseriti in copia nel ricorso la domanda è stata proposta con riferimento alla raccomandata diretta dall’ente alla conduttrice in data 8 settembre 2006, quando l’immobile era classificato come non di pregio , ed all’immediata risposta d’accettazione della conduttrice stessa. Tant’è che la diversa e più onerosa proposta è stata formulata dall’ente con raccomandata del 4 giugno 2007, nella quale era escluso lo sconto in favore del prelazionante e l’immobile era dichiarato esplicitamente come di pregio , in base al DM n. 108 dell’11 maggio 2007. Sicché, la domanda non poteva essere diretta a contestare la classificazione dell’immobile, la quale era, per l’appunto, favorevole alla prelazionante. Quanto ai primi tre motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, essi sono tutti infondati. In estrema sintesi, tendono ad affermare che la conduttrice non poteva pretendere di ottenere il trasferimento del bene alle condizioni contenute in un preliminare superato in base alla successiva qualificazione dell’immobile quale di pregio . Tesi, questa, affatto inconsistente e correttamente respinta dal giudice in base al principio espresso da queste SU con la sentenza n. 9692/13, secondo il quale in favore del conduttore di unità immobiliare residenziale da dismettere sussistono sia un diritto di opzione che un diritto di prelazione ove non sia esercitato il primo . Il prezzo di vendita, con le variabili che lo determinano quali quella della natura di pregio o meno dell’immobile , è un elemento esterno al diritto potestativo di accettazione, sia in relazione al diritto di opzione che di prelazione, e costituisce, invece, elemento imprescindibile dell’offerta cioè di un atto negoziale unilaterale ricettizio, che rientra nella disponibilità del proponente sia pure in maniera sufficientemente vincolata dalla legge, essendo il proponente pur sempre un ente pubblico ovvero una società costituita per la realizzazione di dismissione di beni immobiliari pubblici . Mentre l’opzione - parificata nel regime normativo, ex artt. 1331 e 1329 alla proposta irrevocabile - si sostanzia in un rapporto in base al quale una delle parti si obbliga a rimanere vincolata alla propria dichiarazione, e l’altra ha facoltà di accettarla o meno, nella prelazione, invece, non sorge alcun obbligo immediato a carico del promittente, il quale è libero anche di non stipulare il contratto cui si riferisce la prelazione, obbligandosi solo a preferire, ove esso venga concluso, il promissario. Sennonché in entrambi gli istituti l’individuazione del prezzo di vendita dell’immobile pubblico da dismettere, ancorché da individuarsi sulla base dell’indicazione legislativa del valore di mercato con le ulteriori variabili fissate dalla legge, rientra nella disponibilità dell’offerente e non costituisce un diritto dell’oblato. Solo dopo che l’offerta è stata formulata dal proponente e ricevuta dall’oblato, il prezzo ivi indicato integra una componente dell’oggetto della opzione o prelazione ed esce dalla discrezionalità sia pure solo tecnica dell’offerente. Accertato, dunque, l’avvenuto esercizio, da parte della conduttrice, del diritto d’opzione al prezzo individuato dall’INPS al momento dell’offerta in vendita e, dunque, l’incontro delle due volontà , il giudice ne ha dedotto la formazione di un contratto preliminare di compravendita, dal quale è derivato il diritto della promissaria acquirente di perfezionare l’acquisto al prezzo fissato in quella sede. Si tratta, dunque, di un contratto perfezionatosi al momento stesso dell’accettazione, perfettamente coincidente con la proposta, con conseguente irrilevanza di qualsiasi successiva mutazione della qualifica dell’immobile. Irrilevanza anche ai fini della disposizione dell’art. 1339 c.c., siccome il contratto s’era già perfezionato al momento del subentro della nuova qualifica. Il ricorso deve essere, pertanto, respinto, con condanna del ricorrente a rivalere la controparte delle spese sopportate nel giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 7200,00, oltre spese generali ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.