Il prezzo di vendita è imposto dalla norma

E' possibile vendere un cespite costruito in regime di edilizia residenziale pubblica il prezzo pattuito dalle parti, se superiore a quello definito dalla norma, non implica la nullità del contratto ma è automaticamente sostituito dal prezzo vincolato. Tale orientamento, più volte confermato dalla Cassazione, tutela il diritto all'acquisto dell'abitazione da parte di soggetti non abbienti.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 4948/16, depositata il 14 marzo. Il caso. Due soggetti privati stipulavano un contratto preliminare di compravendita immobiliare, avente ad oggetto un immobile destinato a civile abitazione. Nella promessa veniva pattuito il versamento del prezzo in rate successive, la prima versata effettivamente al momento della sottoscrizione. Successivamente, parte promissaria acquirente apprendeva che il bene doveva essere venduto a presso fisso inferiore a quello pattuito a causa di un vincolo sullo stesso insistente edilizia residenziale pubblica , pertanto, non provvedeva al versamento delle ulteriori rate e attivava azione ex art. 2932 c.c., chiedendo il trasferimento della proprietà al prezzo vincolato o, in subordine, la risoluzione del preliminare per responsabilità del promissario venditore con restituzione delle somme versate. Il promissario venditore si difendeva e chiedeva che fosse dichiarata la risoluzione del preliminare per inadempimento del promissario acquirente e dichiarato il diritto a trattenere la caparra confirmatoria. Il Tribunale, rilevato che era emerso il disinteresse bilaterale alla stipula del definitivo, dichiarava risolto il contratto e condannava il promissario venditore a restituire le somme incassate. La Corte d'appello, rilevato che il vincolo era stato comunicato alla parte acquirente, che il vincolo decadeva poco dopo la data fissata per la stipula del contratto definitivo, che il termine per la redazione del rogito non era essenziale, dichiarava il contratto preliminare risolto per inadempimento del promissario acquirente e dichiarava legittimato il promissario venditore a trattenere la caparra. Le parti hanno proposto ricorso per cassazione. Il vincolo insistente sull'immobile, ha osservato la S.C., discende dalla l. n. 865/1971 che regolamenta l'edilizia residenziale pubblica. Detto peso, risulta correttamente riportato nel contratto preliminare di vendita. Dunque, il particolare regime di trasferimento della proprietà doveva intendersi conosciuto da entrambe le parti e tanto era sufficiente ad escludere che i promissari acquirenti avessero subito un raggiro. Possibile stipulare il definitivo. I Giudici di legittimità hanno osservato che, successivamente alla scadenza del temine non essenziale fissato per il definitivo, le parti avrebbero potuto stipulare un contratto definitivo alle condizioni stabilite per tempo. Infatti, il vincolo insistente sul cespite, era decaduto pochi giorni dopo la data indicata in contratto preliminare per la stipula del definitivo. Prezzo vincolato. La possibilità di stipulare un contratto successivo è evidente, tuttavia, la Cassazione ha rilevato che nel temine previsto per il definitivo era applicabile il regime di edilizia residenziale pubblica in ragione del quale il trasferimento poteva avvenire al prezzo fissato dalla legge. Inoltre, il prezzo pattuito dalle parti, superiore a quello definito dalla norma, non implicava la nullità del contratto ma doveva intendersi automaticamente sostituito dal prezzo vincolato. Tale orientamento è stato più volte confermato dalla Cassazione che ha così inteso tutelare il diritto all'acquisto dell'abitazione da parte di soggetti non abbienti. In definitiva, i Giudici di legittimità hanno inteso fissare la fattispecie al momento della stipula del preliminare ed alla data fissata per il definitivo, a nulla rilevando le possibilità di vendita/acquisto successive a questo momento e, quindi, ribadito che il cespite costruito in regime di edilizia residenziale pubblica può essere ceduto con trasferimento dello stesso regime di circolazione e prezzo. La causa è stata rinviata ad altro giudice territoriale.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 17 febbraio – 14 marzo 2016, n. 4948 Presidente Matera – Relatore Criscuolo Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato in data 10/1/2006, F.G. e C.A.M. convenivano in giudizio dinanzial Tribunale di Milano, Ri.Ma. e R.T. chiedendo emettersi, ai sensi dell’articolo 2932 c.c., sentenza di trasferimento della proprietà dell’immobile sito in OMISSIS al prezzo di euro 46.717,14, subordinando l’effetto traslativo al pagamento da parte degli attori della residua somma ancora dovuta, ovvero, in via subordinata, accertare e dichiarare che il preliminare era risolto per inadempimento dei convenuti, con condanna degli stessi alla restituzione degli acconti versati, oltre al risarcimento dei danni. In citazione evidenziavano che con contratto preliminare del 26/9/2005, i convenuti avevano promesso in vendita agli attori l’immobile sopra indicato al prezzo di Euro 175.000,00, e che avevano versato una caparra di Euro 45.000,00 prevedendo per la stipula del definitivo il termine essenziale del 30/3/2006. Tuttavia, solo in seguito, avevano scoperto che l’immobile era vincolato per la vendita ad un prezzo imposto in base a quanto previsto dalla legge n. 865 del 1971 e dalla Convenzione intercorsa tra il CIMEP e la Società Generale Immobiliare, per effetto della quale il bene poteva essere venduto solo applicando i criteri ivi stabiliti, e cioè per un importo pari ad Euro 46.717,14, circostanza questa che era stata dolosamente occultata da parte dei venditori. Si costituivano i convenuti i quali contestavano la fondatezza della domanda proposta, ed in via riconvenzionale chiedevano che, previo accertamento della responsabilità esclusiva degli attori per la mancata stipula del definitivo, fosse dichiarato giusto e legittimo il recesso da loro esercitato, con il conseguente diritto a trattenere la caparra confirmatoria, ovvero che, in subordine, fosse dichiarato l’annullamento del preliminare ai sensi dell’articolo 1427 c.c Il Tribunale di Milano con la sentenza n. 4867 del 2009 dichiarava la risoluzione consensuale del contratto preliminare ritenendo che il comportamento di entrambe le parti evidenziava la perdita di ogni interesse alla conclusione del contratto definitivo, ben prima del termine previsto per il rogito, di modo che non potendo più il giudice pronunciare la risoluzione per colpa di alcuna delle parti, occorreva dare atto dell’impossibilità di esecuzione del contratto, con la condanna dei convenuti alla restituzione in favore degli attori della somma di euro 45.000,00. Avverso tale sentenza proponevano appello i prominenti venditori chiedendone l’integrale riforma, con il conseguente accoglimento della domanda riconvenzionale proposta in primo grado. Si costituivano promittenti acquirenti i quali, oltre a contestare la fondatezza dell’appello proposto, a loro volta avanzavano appello incidentale chiedendo l’accoglimento delle domande di cui all’atto di citazione. Deceduto nelle more Ri.Ma. , si costituivano in qualità di eredi di quest’ultimo R.T. e R.M.G. , le quali aderivano alle difese del loro dante causa. La Corte di Appello di Milano con la sentenza n. 1720 del 14/6/2011 dichiarava legittimo il recesso degli appellanti dal contratto preliminare con il conseguente diritto a trattenere la caparra confirmatoria, rigettando per il resto l’appello incidentale. I giudici di appello ritenevano infondate le deduzioni degli appellati secondo cui gli stessi sarebbero stati vittime di una truffa perpetrata da parte dei venditori, rimarcando che sia nella proposta di acquisto del 13/9/1995 che nel preliminare concluso il 26/9/1995, si faceva riferimento a circostanze che evidenziavano l’effettivo regime giuridico dell’immobile oggetto di compravendita, atteso anche il richiamo nel preliminare al titolo di acquisto dei promittenti venditori, la cui lettura permetteva di evincere la circostanza che l’immobile era stato eretto su di una area concessa in diritto di superficie per novant’anni ed in regime di convenzione con la società costruttrice. Aggiungevano altresì che, a seguito di varie modifiche legislative, il regime vincolato scaturente dalla convenzione avrebbe perso la sua efficacia in data 22/4/2006, così come peraltro emergeva anche dalla previa autorizzazione fornita da parte del Comune di Pieve Emanuele alla cessione in diritto di proprietà delle aree già concesse in diritto di superficie. Peraltro i promittenti venditori in data 14/11/2005 avevano inoltrato al Comune richiesta per ottenere la trasformazione in oggetto, e in data 8/3/2006 avevano stipulato il contratto con il quale era stata loro trasferita la piena proprietà, con conseguente cessazione alla data del 22/4/2006 di tutti vincoli relativi alla determinazione del prezzo di vendita. Da tali elementi la Corte distrettuale ricavava che gli appellati erano stati puntualmente edotti circa il regime giuridico dell’immobile, e che gli appellanti ancor prima della data prevista per la stipula del definitivo erano divenuti pieni proprietari dell’immobile, dovendosi peraltro ritenere che il termine del 30/3/2006, previsto in contratto per la stipula del definitivo, non avesse carattere essenziale, come confermato dal fatto che le originarie parti attrici insistevano ancora per ottenere il trasferimento della proprietà del bene. Per l’effetto, il rifiuto degli attori di stipulare il contratto definitivo al prezzo previsto nel preliminare, adducendo invece che la vendita dovesse avvenire secondo il prezzo derivante dalla convenzione ormai estinta, era del tutto ingiustificato e determinava quindi il rigetto dell’appello incidentale. Per converso si palesava giustificata la pretesa degli appellanti di accertare la legittimità del loro recesso, con il conseguente diritto a trattenere la caparra confirmatoria ai sensi dell’articolo 1385 secondo comma c.c Per la cassazione di tale pronunzia hanno proposto ricorso F.G. e C.A.M. sulla base di sei motivi. Gli intimati hanno resistito con controricorso. In prossimità dell’udienza i ricorrenti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso si denunzia ai sensi dell’articolo 360 n. 3 c.p.c., la violazione ed erronea applicazione degli articoli 1339 e 1419 comma 2 c.c In particolare, a fronte della stipula di un contratto preliminare avente ad oggetto un immobile realizzato in base ad una convenzione ex articolo 35 della legge n. 865 del 1971, doveva rilevarsi la nullità della pattuizione con la quale veniva previsto un prezzo superiore a quello imposto per legge, con la conseguente sostituzione automatica della diversa previsione frutto dell’applicazione delle norme imperative, palesandosi n tal modo legittima la richiesta dei ricorrenti di ottenere il trasferimento del bene secondo il diverso prezzo scaturente dall’applicazione della Convenzione. Con il secondo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’articolo 360 n. 5 c.p.c., l’omessa, insufficiente ovvero contraddittoria motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui, pur dando atto che la Convenzione intercorsa tra il CIMEP e la società costruttrice dell’edificio, al cui interno è ubicato l’immobile oggetto di causa, avvalendosi di un’area concessa in diritto di superficie, avrebbe cessato di produrre i suoi effetti solo in data 22/4/2006, e cioè successivamente alla scadenza del termine previsto in contratto per la stipula del definitivo, avrebbe egualmente ritenuto possibile il trasferimento del diritto di proprietà al maggior prezzo concordato tra le parti. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 1453 e 1457 c.c. nella parte in cui la Corte distrettuale ha ritenuto non essere essenziale il termine previsto per la stipula del contratto definitivo, in ragione del fatto che i ricorrenti anche in grado di appello avevano ribadito la loro richiesta di ottenere il trasferimento della proprietà, manifestando pertanto un interesse all’esecuzione del contratto, nonostante la scadenza del termine. Deducono in particolare che, attesa la possibilità di poter proporre la domanda di risoluzione in via subordinata rispetto alla domanda di adempimento del contratto, la richiesta di adempimento avanzata dai ricorrenti in via principale non poteva costituire di per sé un indice rivelatore della natura non essenziale del termine previsto per la stipula del definitivo. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta l’omessa, insufficiente ovvero contraddittoria motivazione circa il fatto che i giudici di merito hanno ritenuto il termine per la conclusione del preliminare privo del carattere dell’essenzialità, omettendo di valutare l’interesse degli attori alla stipula del definitivo, così come comprovato dal fatto che gli stessi avevano già receduto dal precedente contratto di locazione relativo all’immobile dagli stessi abitato alla data della stipula del preliminare, e che, non procedendosi alla stipula entro il termine concordato, avrebbero perso la possibilità di poter contrarre un mutuo ventennale, attese le loro condizioni economiche e l’età anagrafica. Con il quinto motivo di ricorso si rileva l’omessa, insufficiente ovvero contraddittoria motivazione della sentenza impugnata laddove ha ritenuto che la mancata stipula del definitivo fosse addebitabile a responsabilità dei ricorrenti. In particolare la Corte distrettuale avrebbe ritenuto noto ovvero conoscibile da parte degli attori l’effettivo regime giuridico dell’immobile oggetto del preliminare, trascurando di prendere in considerazione i diversi elementi di carattere probatorio evincibili dalla sentenza di condanna dei controricorrenti emessa in primo grado dallo stesso Tribunale di Milano, il quale ha accertato la loro responsabilità per il reato di truffa in danno dei ricorrenti. In ogni caso, anche gli elementi valorizzati nel provvedimento impugnato per affermare l’effettiva conoscenza del regime vincolato relativo ai beni oggetto di causa, non potevano consentire altresì di poter ritenere conosciuto il vincolo relativo alla determinazione del prezzo di trasferimento. Con il sesto motivo di ricorso si denunzia l’omessa, insufficiente ovvero contraddittoria motivazione della sentenza di appello nella parte in cui ha ritenuto che tutte le somme versate da parte degli attori ai promittenti venditori, per un importo complessivo di euro 45.000,00, avessero natura di caparra confirmatoria, e che, in quanto tali potessero essere legittimamente trattenute dalle controparti. Reputa la Corte che il primo motivo di ricorso sia fondato e che pertanto debba essere accolto. È pacifico in quanto documentalmente provato che, alla data della conclusione del contratto preliminare 26/9/2005 l’immobile oggetto del contratto era sottoposto al regime vincolato di cui all’articolo 35 della legge n. 865 del 1971, trattandosi di appartamento ubicato in un edificio realizzato in base ad una convenzione conclusa ai sensi del comma 7 della norma in oggetto, e sul quale i promittenti venditori vantavano un diritto di superficie. Una delle principali conseguenze dell’applicazione del regime di edilizia convenzionata di cui alla norma indicata, è quella che impone, in caso di alienazione, un prezzo non superiore a quello risultante dall’applicazione di una formula, nel caso di specie, espressamente indicata nella convenzione intercorsa tra il CIMEP e la società costruttrice. Per effetto di tale convenzione, risalente al 22/4/1976, era inizialmente previsto che il diritto di superficie dovesse avere una durata di novant’anni ma, anche a seguito di successivi interventi normativi, il termine in questione è stato ridotto a trent’anni, di modo che la cessazione del regime vincolato, anche per quanto concerne la determinazione del prezzo di alienazione poteva essere anticipata alla data del 22/4/2006. Emerge altresì che le parti avevano previsto per la conclusione del definitivo la data del 30/3/2006, e che i prominenti venditori, avvalendosi della possibilità di convertire il diritto di superficie in diritto di piena proprietà, avevano acquistato tale ultimo diritto con atto stipulato in data 8/3/2006 con il Comune di Pieve Emanuele, ancorché fosse previsto che la cessazione del vincolo stabilito dalla suddetta Convenzione, si sarebbe verificata solamente il 22/4/2006. La presente controversia pertanto trae origine dal fatto che, poiché i ricorrenti - secondo quanto dagli stessi asserito - si sarebbero resi conto solo in un momento successivo alla stipula del preliminare, della circostanza che il preliminare stesso prevedeva un corrispettivo di Euro 175.000,00, di gran lunga superiore rispetto al prezzo scaturente dall’applicazione del regime vincolato, esigevano il trasferimento della proprietà dell’immobile non più alle condizioni economiche inizialmente concordate, ma secondo quelle derivanti dall’applicazione della normativa di cui alla legge n. 865/71. I giudici di appello hanno disatteso la richiesta dei ricorrenti ritenendo che sia la proposta di acquisto, avanzata attraverso l’intervento di un mediatore immobiliare, sia il contratto preliminare contenevano delle indicazioni edilizia convenzionata , superficie a termine idonee a rendere edotti i promittenti acquirenti del fatto che l’immobile era stato eretto su di un’area concessa in diritto di superficie ed in regime di edilizia convenzionata, dovendo pertanto escludersi che questi ultimi fossero stati raggirati dei venditori. Inoltre, poiché nelle more tra la conclusione del preliminare e la data prevista per il definitivo, gli intimati erano divenuti pieni proprietari dell’appartamento, ben potevano procedere al trasferimento dell’immobile, ormai sottratto al regime vincolato, dovendosi in ogni caso ritenere che la cessazione del vincolo alla data del 22/4/2006 era del tutto compatibile con la previsione del termine del 30/3/2006, previsto per la stipula del definitivo, essendo quest’ultimo un termine non essenziale. Ad avviso della Corte le doglianze dei ricorrenti sono meritevoli di accoglimento. Ed infatti, quanto all’invocata violazione delle norme di legge, in relazione all’invalidità della pattuizione con la quale venga concordato tra le parti un prezzo di trasferimento diverso da quello imposto in base al regime di edilizia convenzionata, occorre segnalare il recente intervento delle Sezioni Unite le quali, con la sentenza del 16/09/2015, n. 18135 hanno affermato che, anche in relazione ad immobili per i quali sia intervenuta la cessione del diritto di superficie, quale quello oggetto di causa, ove la convenzione lo preveda come per l’appunto verificatosi nella fattispecie in esame , il vincolo del prezzo massimo di cessione dell’immobile in regime di edilizia agevolata ex art. 35 della l. n. 865 del 1971, qualora non sia intervenuta la convenzione di rimozione ex art. 31, comma 49 bis, della l. n. 448 del 1998, segue il bene nei passaggi di proprietà, a titolo di onere reale, con efficacia indefinita, attesa la ratio legis di garantire la casa ai meno abbienti, senza consentire operazioni speculative di rivendita. In sostanza, in tema di vendita di alloggi di edilizia convenzionata soggetti al vincolo sulla determinazione del prezzo, tale vincolo non è affatto soppresso automaticamente a seguito della caduta del divieto di alienare ed anzi, in assenza di convenzione ad hoc da redigere in forma pubblica e soggetta a trascrizione , segue il bene nei successivi passaggi di proprietà, a titolo di onere reale, con naturale efficacia indefinita. In tale sentenza la Corte, dando continuità a quanto in precedenza sostenuto da Cassazione 21/12/1994 n. 11032 e Cassazione 10/2/2010 n. 3018, ha ritenuto che la difformità della clausola relativa al prezzo rispetto a quanto imposto dal suddetto regime, avente natura imperativa, comporta, da un lato la nullità della clausola stessa, ma consente, dall’altro, di poter invocare l’applicazione dell’articolo 1339 c.c. con la possibilità quindi di escludere l’efficacia invalidante dell’intero contratto, attesa la sostituzione alla clausola convenzionale di quella corrispondente alla volontà del legislatore, ancorché il concreto ammontare del prezzo non trovi la propria fonte in un atto normativo, ma, come nella fattispecie, in una convenzione di cui all’articolo 35 della legge n. 865 del 1971. L’invocabilità di tale principio per la vicenda in esame evidenzia l’erronea applicazione da parte del giudice di merito delle norme invocate da parte dei ricorrenti. Ed infatti, essendo emerso che il contratto preliminare è stato concluso allorché il bene era ancora pacificamente sottoposto al regime previsto per gli immobili di edilizia convenzionata precedendo anche la presentazione della domanda da parte dei promittenti venditori per la trasformazione del loro diritto di superficie in diritto di piena proprietà e poiché il termine previsto per la stipula del definitivo risultava in ogni caso anteriore rispetto alla data in cui sarebbe venuto a cessare il regime normativo che vincolava anche la determinazione del prezzo, deve ritenersi che, attesa la mancanza di un’espressa manifestazione di volontà delle parti di subordinare gli effetti del contratto all’affrancazione del bene dal regime vincolistico sopra richiamato , la previsione contenuta nel preliminare con la quale veniva fissato un prezzo di vendita superiore rispetto a quello scaturente dall’applicazione del più volte ricordato articolo 35 della legge n. 865/71, deve ritenersi affetta da nullità e sostituita ex lege con la diversa previsione invocata da parte dei ricorrenti. Né tale conclusione appare suscettibile di essere confutata in ragione della possibilità di poter ritenere tollerabile un ritardo di circa venti giorni per l’esecuzione del contratto preliminare, differendo quindi la data di stipula del definitivo a quella del 22 aprile 2006, allorché sarebbe venuto definitivamente a cessare il regime vincolato, trattandosi all’evidenza di un’affermazione che contrasta con lo stesso tenore del contratto stipulato tra le parti, che per l’appunto prevede come data di conclusione del definitivo quella del 30/3/2006, allorquando il bene, sebbene già divenuto di proprietà dei promittenti venditori, per effetto dell’atto di acquisto dell’8/3/2006, era ancora sottoposto, quanto al prezzo di trasferimento, alle limitazioni imposte dall’articolo 35 richiamato. La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano affinché si pronunci anche sulla domanda di esecuzione in forma specifica proposta da parte dei ricorrenti, attenendosi ai suddetti principi. Inoltre in considerazione delle ragioni che hanno portato all’accoglimento del suddetto motivo, ed imponendosi una nuova valutazione della vicenda alla luce della suesposte considerazioni, deve ritenersi che i restanti motivi siano assorbiti, in quanto involgenti statuizioni destinate ad essere travolte dall’intervenuta cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri motivi di ricorso, e per l’effetto cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Milano, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.