L’integrazione documentale spontanea interrompe il termine per il rilascio del certificato di abitabilità da parte del Comune

In tema di licenza di abitabilità di immobili la fattispecie di assenso delineata dall'art. 4 del d.P.R. n. 425/1994 presuppone sia che il proprietario, all'atto della presentazione della domanda di rilascio del certificato di abitabilità ora, agibilità , offra tutta la documentazione richiesta dal primo comma di detta norma, sia il decorso del tempo idoneo ad integrare la fattispecie legale tipica del silenzio-assenso.

La sentenza n. 7472/15 del 14 aprile resa dalla sezione II Civile della Cassazione, pur facendo applicazione di una normativa da tempo abrogata in materia di procedimenti di autorizzazione all'abitabilità degli immobili, è interessante sotto il profilo delle dinamiche spesso patologiche che abitualmente si innescano all’esito della sottoscrizione di un contratto preliminare di vendita in questo caso, risalente al 1998 . Il caso il primo grado. La promissaria acquirente di un immobile conveniva in giudizio i promittenti venditori per alcuni mappali, comproprietari , affermando 1 di aver versato, in attesa della stipulazione del contratto definitivo, l’importo complessivo di lire 80 milioni, di cui lire 30 milioni per caparra confirmatoria e lire 50 milioni per acconto sul maggior prezzo 2 che erano state riscontrate anomalie nell’immobile tra cui la mancanza del certificato di abitabilità 3 che il legale dei promittenti venditori, aveva comunicato la risoluzione del contratto per inadempimento della attrice promissaria acquirente e la ritenzione della caparra 4 che l’immobile oggetto di preliminare era stato nelle more alienato ad un terzo. Il Tribunale – accertata la legittimità del recesso della promissaria acquirente condannava i promittenti venditori a restituire l’importo di lire 60 milioni circa 30 mila euro , cioè il doppio della caparra, e a restituire l’acconto sul maggior prezzo circa 25 mila euro . La Corte d’appello confermava la decisione. Il recesso della promissaria acquirente era legittimo in assenza del certificato di abitabilità ora, agibilità ? Risposta positiva. Il Comune aveva dichiarato la non abitabilità dell’immobile oggetto di compromesso, avendo accertato l’assenza dei requisiti alla costruzione per essere dichiarata, appunto, abitabile. Per la Corte l’esistenza dei requisiti richiesti dalla costruzione per essere abitabile, essendo soggetta a verifica preventiva, deve essere attuale al momento del contratto, e non già meramente ipotetica ed eventuale, come avevano prospettato i promittenti venditori in tal modo condizionandola al verificarsi di un evento futuro ed incerto. Infatti, compete al venditore trasferire la proprietà di un bene immobile che, per la sua destinazione ad uso abitativo, già presenti all'atto della vendita i requisiti indispensabili ai fini della piena realizzazione della funzione socio-economica del contratto da stipulare. Di conseguenza legittimamente la promissaria acquirente aveva esercitato il recesso dal contratto preliminare ed aveva fatto valere il suo diritto al versamento in proprio favore del doppio della caparra confirmatoria. Il ricorso per cassazione il silenzio-assenso sulla richiesta di abitabilità. I ricorrenti svolgono diversi motivi di ricorso, in pratica quasi tutti dichiarati inammissibili dal Supremo Collegio. Se ne salva in sostanza uno, legato al tema del silenzio assenso in materia di abitabilità. Scopo dei ricorrenti era quello di dimostrare l’illegittimità del recesso dal contratto da parte della promissaria acquirente, dimostrando l’avvenuta applicazione del meccanismo del silenzio-assenso sulla domanda di rilascio della abitabilità. Questione che peraltro attiene ad una normativa abrogata. Infatti, i ricorrenti deducendo violazione o falsa applicazione dell'art. 4 del d.P.R. 22 – 4 1994 n. 425 Regolamento recante disciplina dei procedimenti di autorizzazione all'abitabilità, di collaudo statico e di iscrizione al catasto” abrogato dal d.P.R. n. 380/2001, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia” , affermano che, contrariamente all'assunto della sentenza impugnata, il termine di 45 giorni per la formazione del silenzio-assenso sulla richiesta del certificato di abitabilità decorreva dal 25 – 8 2000 e non dal 21 – 9 2000, posto che, affinché una integrazione documentale da parte del Comune possa interrompere un termine di rilascio in corso, occorre una espressa richiesta della P.A., che nella specie non vi era stata. L’integrazione documentale spontanea. Ma secondo gli Ermellini correttamente la Corte territoriale ha individuato la ratio della integrazione documentale effettuata di sua spontanea volontà da uno dei promittenti venditori nell'esigenza di mettere la P. A. nelle condizioni di verificare l’esistenza dei requisiti richiesti alla costruzione per essere dichiarata abitabile, considerato che in tema di licenza di abitabilità di immobili la fattispecie di assenso delineata dall'art. 4 del d.P.R. 22 – 4 1994 n. 425 presuppone sia che il proprietario, all'atto della presentazione della domanda di rilascio del certificato di abitabilità, offra tutta la documentazione richiesta dal primo comma di detta norma, sia il decorso del tempo idoneo ad integrare la fattispecie legale tipica del silenzio-assenso. Se quindi detta documentazione è necessaria ai fini della formazione del silenzio assenso in ordine alla attestazione circa la sussistenza dei requisiti urbanistici ed igienico sanitari dell'immobile con le conseguenti ricadute sull'adempimento o meno del promittente venditore di un immobile destinato a civile abitazione a corredare il bene del certificato di abitabilità in relazione all'interesse del promissario acquirente ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la sua funzione economica-sociale ed a soddisfare i bisogni che inducono all'acquisto, ovvero la fruibilità e la commerciabilità del bene, per i quali il certificato di abitabilità deve ritenersi essenziale , è evidente che nessuna rilevanza può essere attribuita al fatto che nella fattispecie l’integrazione della documentazione indispensabile ai fini della formazione del silenzio assenso fosse stata spontaneamente effettuata dal promittente venditore che pertanto con tale suo comportamento aveva mostrato inequivocabilmente di ritenere necessaria detta integrazione ai fini sopra enunciati e non fosse stata richiesta dalla P.A., una volta che non è contestato che i documenti prodotti in data 21 – 9 2000 erano rilevanti per ottenere il rilascio del certificato di abitabilità o, in alternativa, l’attestazione per legge dell’abitabilità, trascorsi 45 giorni dalla data di presentazione della domanda corredata appunto dalla suddetta documentazione. Nel momento in cui i promittenti venditori hanno inviato la diffida alla promissaria acquirente il meccanismo del silenzio-assenso sulla richiesta di abitabilità non si era ancora concluso. Pertanto – precisa la Cassazione deve pienamente condividersi il convincimento del giudice di appello in ordine alla decorrenza dal 21 – 09 2000 del termine di 30 giorni e di quello di 45 giorni dalla data di presentazione della domanda che il citato d.P.R. prevede rispettivamente per il rilascio del certificato di abitabilità da parte del Sindaco e per l’abitabilità da intendersi attestata per silenzio assenso, con la conseguenza che, non essendo stato rilasciato nel frattempo il certificato di abitabilità, la diffida ad adempiere inviata il 18 – 10 2000 e ricevuta dalla promissaria acquirente il 20 – 10 2000 ricadeva logicamente nel periodo di tempo durante il quale l’abitabilità attestata per silenzio-assenso ancora mancava anche per la parte dell'edificio promesso in vendita per la quale i promittenti venditori erano comproprietari. Il ricorso per cassazione è stato rigettato.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 3 febbraio – 14 aprile 2015, n. 7472 Presidente Bursese – Relatore Mazzacane Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 19-1-2001 Vi.Ad. , promissaria acquirente di un compendio immobiliare sito in omissis , identificato al N. C. E. U. con il foglio 8, mappali 460 suo 2, 470, 472 e 1003, che B.T. e V.M. si erano impegnate a venderle al prezzo di L. 210.000.000 di cui lire 30.000.000 a titolo di caparra confirmatoria con contratto del 21-7-1998, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Mantova i suddetti promittenti venditori assumendo - in attesa della stipulazione del contratto definitivo, prevista entro il 20-2-1999, l'esponente aveva versato al B. ed alla V. l'importo complessivo di L. 80.000.000 di cui L. 30.000.000 per caparra confirmatoria e L. 50.000.000 per acconto sul maggior prezzo - in seguito erano state riscontrate varie anomalie nell'immobile, tra le quali la mancanza del certificato di abitabilità - il legale dei promittenti venditori con lettera raccomandata del 6-12-2000 aveva comunicato la risoluzione del contratto per inadempimento della promissaria acquirente e la ritenzione della caparra ex art. 1385 c.c - in precedenza con atto notarile del 4-12-2000 l'immobile era stato alienato dal B. e dalla V. a tale M.R. per il prezzo di L. 140.000.000. Tanto premesso, l'attrice chiedeva la condanna in solido dei convenuti al pagamento in proprio favore dell'importo di L. 60.000.000 quale doppio della caparra ricevuta ed alla restituzione dell'importo di L. 50.000.000 quale acconto del prezzo oltre interessi legali. Costituendosi in giudizio il B. e la V. contestavano il fondamento della domanda attrice di cui chiedevano il rigetto in via riconvenzionale chiedevano dichiararsi la risoluzione del contratto preliminare del 21-7-1998 per fatto e colpa della Vi. e la condanna di quest'ultima al risarcimento dei danni nella misura di L. 80.000.000 o in quella diversa risultante in causa e, in subordine accertarsi la legittimità del loro recesso dal contratto, con conseguente diritto a trattenere l'importo di L. 30.000.000 ricevuto a titolo di caparra. Il Tribunale adito con sentenza del 7-6-2004 dichiarava la legittimità del recesso della Vi. dal suddetto contratto preliminare e, per l'effetto, condannava il B. e la V. in solido a i corrispondere all'attrice sia l'importo di Euro 25.822,84 oltre interessi legali dal 19-1-2001 al saldo per acconti versati dalla promissaria acquirente, sia l'importo di Euro 30.987,41 oltre interessi legali dal 19-1-2001 al saldo quale doppio della caparra ricevuta. Proposto gravame da parte del B. e della V. cui resisteva la Vi. la Corte di Appello di Brescia con sentenza del 7-8-2008 ha rigettato l'impugnazione. La Corte territoriale ha anzitutto rilevato che la V. non aveva presentato la domanda di i certificato di abitabilità per la parte dell'edificio di sua proprietà esclusiva identificata dal mappale 460/2 e, nella sentenza di primo grado, dal mappale 460/302 , considerato che l'interessata non aveva provato tale presentazione e che il Comune di Castel d'Ario con raccomandata del 21-9-2000 aveva preso atto che il B. aveva inoltrato domanda di abitabilità ai sensi dell'art. 4 del D.P.R. 22-4-1994 n. 425 con riferimento a quanto censito al catasto urbano al Fg. 8, mappali460, 470, 472, 1003 di questo Comune . ne consegue che la V. non poteva invocare in suo favore, per la parte dell'edificio di OMISSIS di sua esclusiva proprietà, il silenzio assenso del Comune del luogo, non potendosi formare tale silenzio in dipendenza di una domanda non presentata o presentata da soggetto terzo non proprietario di quella parte d'edificio di proprietà esclusiva della V. stessa, e non legittimato con procura scritta ad agire in nome e per conto del proprietario di quel bene nel rapporto con la P.A. pertanto era escluso che tale porzione dell'immobile potesse intendersi attestata già nell'ottobre/novembre 2000 ai fini della stipulazione tra le parti del contratto definitivo di compravendita. Con riferimento poi al B. , la sentenza impugnata ha affermato che quest'ultimo aveva richiesto il certificato di abitabilità al Sindaco, per la parte dell'edificio in comproprietà con la V. identificata dal mappale 460/1 e, nella sentenza impugnata, dal mappale 460/301 , con domanda del 25-8-2000 con successive integrazioni in data 21-9-2000 orbene, contrariamente all'assunto degli appellanti, la circostanza che il deposito di documenti effettuato il 21-9-2000 non era dipeso da precedente formale richiesta del Comune all'interessato non era risolutiva, posto che la ratio della integrazione, richiesta all'interessato o, comunque, effettuata dallo stesso di propria iniziativa, della quale il B. aveva voluto avvalersi, era sempre quella di mettere la P. A. in condizione di verificare l'esistenza dei requisiti richiesti alla costruzione per essere dichiarata abitabile correttamente quindi il Comune di Castel d'Ario, una volta pervenuti i documenti il 21-9-2000 e protocollata la loro presentazione, aveva preso atto della domanda inoltrata dal B. il 25-8-2000 e delle integrazioni in data 21-9-2000, ed aveva comunicato quello stesso giorno l’” avvio del procedimento art. 8 L 7/8/1990 n. 241 , con decorrenza da allora del termine di 45 giorni di cui all'art. 4 n. 3 del D.P.R. 22-4-1994 n. 425, e non già da prima del 21-9-2000 fino a risalire al 25-8-2000, come invece preteso dal B. pertanto, sulla base di tale decorrenza, non essendo stato rilasciato nel frattempo il certificato di abitabilità, la diffida ad adempiere inviata il 18-10-2000 e ricevuta dalla Vi. il 20-10-2000 ricadeva nel periodo durante il quale l'abitabilità - da intendersi attestata per silenzio assenso - ancora mancava anche per la parte dell'edificio promesso in vendita oggetto di comproprietà tra il B. e la V. . Il giudice di appello ha poi evidenziato che il Comune di Castel d'Ario aveva dichiarato in seguito la non abitabilità dell'edificio promesso in vendita, come dedotto negli scritti difensivi degli appellanti e dell'appellata, per l'accertata assenza dei requisiti richiesti alla costruzione per essere dichiarata abitabile. Riguardo poi all'assunto degli appellanti in ordine alla asserita illegittimità del provvedimento del suddetto Comune di sospendere l'efficacia della abitabilità in attesa dell'adeguamento dell'impianto fognario, trattandosi di atto dovuto a lavori eseguiti, la sentenza impugnata ha rilevato come elemento incontestabile che le parti dell'edificio promesse in vendita non erano dotate, nei mesi di ottobre/novembre 2000, della attestazione di abitabilità, e che quindi, prima dell'esistenza dei requisiti richiesti dalla legislazione di settore, l'opera realizzata e la situazione connessa erano illegittime. In definitiva la Corte territoriale ha ritenuto che l'esistenza dei requisiti richiesti alla costruzione per essere abitabile, essendo soggetta a verifica preventiva, deve essere attuale al momento del contratto, e non già meramente ipotetica ed eventuale, come avevano prospettato gli appellanti condizionandola al verificarsi di un evento futuro ed incerto, in quanto compete al venditore trasferire la proprietà di un bene immobile che, per la sua destinazione ad uso abitativo, già presenti all'atto della vendita i requisiti indispensabili ai fini della piena realizzazione della funzione socio -economica del contratto da stipulare di conseguenza legittimamente la Vi. aveva esercitato il recesso dal contratto preliminare ed aveva fatto valere il suo diritto al versamento in proprio favore del doppio della caparra confirmatoria. Per la cassazione di tale sentenza il B. e la V. hanno proposto un ricorso affidato ad otto motivi cui la Vi. ha resistito con controricorso. Motivi della decisione Con il primo motivo i ricorrenti, deducendo violazione o falsa applicazione dell'art. 4 del D. P. R. 22-4-1994 n. 425, affermano che, contrariamente all'assunto della sentenza impugnata, il termine di 45 giorni per la formazione del silenzio - assenso sulla richiesta del certificato di abitabilità decorreva dal 25-8-2000 e non dal 21-9-2000, posto che, affinché una integrazione documentale possa interrompere un termine in corso, occorre una espressa richiesta della P. A., che nella specie non vi era stata in ogni caso la Corte territoriale ha interpretato erroneamente il provvedimento del Comune di Castel d'Ario, laddove si leggeva che la domanda era stata proposta il 25-8-2000, e che i 45 giorni decorrevano dalla proposizione della domanda. Con il quarto motivo i ricorrenti, deducendo omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, sostengono che erroneamente la Corte territoriale ha affermato che le integrazioni spontaneamente effettuate dal B. alla sua domanda di rilascio del certificato di abitabilità presentata il 25-8-2000 avevano comportato che anche per la parte dell'edificio in comproprietà l'abitabilità non era sussistente al momento dell'invio della diffida ad adempiere in data 18-10-2000, ricevuta il 20-10-2000 invero tali considerazioni erano apodittiche in quanto non giustificate da alcun atto di causa, atteso che la l'Amministrazione Comunale si era limitata a prendere atto delle integrazioni, senza prorogare in alcun modo il termine, che anzi aveva fatto espressamente decorrere dalla domanda presentata il 25-8-2000 quindi la diffida era stata tempestiva. Gli enunciati motivi, da esaminare congiuntamente per ragioni di connessione, devono essere disattesi, il primo in quanto infondato ed il quarto in quanto inammissibile. Con riferimento al primo motivo, invero, correttamente la Corte territoriale ha individuato la ratio della integrazione documentale effettuata di sua spontanea volontà dal B. nell'esigenza di mettere la P. A. nelle condizioni di verificare l'esistenza dei requisiti richiesti alla costruzione per essere dichiarata abitabile, considerato che in tema di licenza di abitabilità di immobili la fattispecie di assenso delineata dall'art. 4 del D. P. R. 22-4-1994 n. 425 presuppone sia che il proprietario, all'atto della presentazione della domanda di rilascio del certificato di abitabilità, offra tutta la documentazione richiesta dal primo comma di detta norma, sia il decorso del tempo idoneo ad integrare la fattispecie legale tipica del silenzio - assenso se quindi detta documentazione è necessaria ai fini della formazione del silenzio - assenso in ordine alla attestazione circa la sussistenza dei requisiti urbanistici ed igienico - sanitari dell'immobile con le conseguenti ricadute sull'adempimento o meno del promittente venditore di un immobile destinato a civile abitazione a corredare il bene del certificato di abitabilità in relazione all'interesse del promissario acquirente ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la sua funzione economica - sociale ed a soddisfare i bisogni che inducono all'acquisto, ovvero la fruibilità e la commerciabilità del bene, per i quali il certificato di abitabilità deve ritenersi essenziale , è evidente che nessuna rilevanza può essere attribuita al fatto che nella fattispecie l'integrazione della documentazione indispensabile ai fini della formazione del silenzio - assenso fosse stata spontaneamente effettuata dal B. che pertanto con tale suo comportamento aveva mostrato inequivocabilmente di ritenere necessaria detta integrazione ai fini sopra enunciati e non fosse stata richiesta dalla P. A., una volta che non è contestato che i documenti prodotti in data 21-9-2000 erano rilevanti per ottenere il rilascio del certificato di abitabilità o, in alternativa, l'attestazione per legge dell'abitabilità, trascorsi 45 giorni dalla data di presentazione della domanda corredata appunto dalla suddetta documentazione pertanto deve pienamente condividersi il convincimento del giudice di appello in ordine alla decorrenza dal 21-9-2000 del termine di 30 giorni e di quello di 45 giorni dalla data di presentazione della domanda che il citato D. P. R. prevede rispettivamente per il rilascio del certificato di abitabilità da parte del Sindaco e per l'abitabilità da intendersi attestata per silenzio - assenso, con la conseguenza che, non essendo stato rilasciato nel frattempo il certificato di abitabilità, la diffida ad adempiere inviata ti 18-10-2000 e ricevuta dalla Vi. il 20-10-2000 ricadeva logicamente nel periodo di tempo durante il quale l'abitabilità attestata per silenzio - assenso ancora mancava anche per la parte dell'edificio promesso in vendita della quale il B. e la V. erano comproprietari. Con riferimento poi al quarto motivo, il Collegio rileva che nella fattispecie, in presenza di una sentenza impugnata depositata il 7-8-2008, trova applicazione ratione temporis l'art. 366 bis c.p.c. che prescrive a pena di inammissibilità per ciascun motivo, nei casi previsti dall'art. 360 primo comma numeri 1-2-3 e 4, la formulazione di un quesito di diritto che costituisca una sintesi logico - giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regolo juris suscettibile di trovare applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata inoltre detto articolo prescrive, sempre a pena di inammissibilità per ciascun motivo, nel caso previsto dall'art. 360 primo comma numero 5 c.p.c., una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso - in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria - ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione. Orbene l'enunciato motivo, con il quale, come sopra esposto, è stato denunciato un vizio di motivazione, è del tutto privo di un momento di sintesi del fatto controverso, cosicché esso è inammissibile ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c Con il secondo motivo i ricorrenti, deducendo violazione dell'art. 112 c.p.c. ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver affermato che il silenzio assenso non avrebbe potuto formarsi in capo a V.M. in quanto l'istanza del certificato di abitabilità era stata presentata dal marito B.T. senza essere in possesso di procura scritta rilasciata dal coniuge anzitutto tale censura non era stata sollevata dalla controparte, cosicché vi era stata violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato inoltre non sussisteva la necessità di una procura scritta, essendo sufficiente l'esistenza di una procura tacita, da ritenersi presunta in assenza di esplicito dissenso del resto la stessa comunicazione del Comune suddetto del 21-9-2000 faceva ritenere di aver considerato la domanda di abitabilità come riferibile anche alla V. , laddove al penultimo capoverso si leggeva preso atto delle dichiarazioni sostitutive dell'atto di notorietà sottoscritte in data 4 agosto 1999 da B.T. e V.M. , in merito all'esecuzione del secondo solaio ” . Con il terzo motivo i ricorrenti, denunciando violazione dell'art. 1392 c.c., assumono che erroneamente il giudice di appello ha ritenuto che il B. , al fine di poter chiedere al Comune il certificato di abitabilità anche per le parti dell'immobile di proprietà della moglie, avrebbe dovuto essere in possesso di procura scritta, atteso che l'esigenza della forma scritta riguarda gli atti amministrativi, non il cittadino istante comunque il Comune di Castel d'Ario aveva rilasciato il certificato di abitabilità per l'intero immobile interessato ai lavori, cioè anche per la parte di esso di proprietà della B. . Il motivo è corredato dal seguente quesito di diritto nel caso di richiesta di rilascio di autorizzazione edilizia riguardante immobili in comproprietà effettuata da uno solo dei proprietari non è necessaria la procura scritta dell'altro comproprietario, sufficiente essendo anche in presenza di particolari rapporti personali la procura tacita, da considerarsi sussistente in mancanza di espresso dissenso. Pertanto, nel caso di specie, la richiesta di abitabilità avanzata da un unico proprietario dell'intero immobile, in mancanza di espresso dissenso dell'altro proprietario, deve ritenersi valida ed efficace, dovendosi ritenere rilasciata tacitamente la procura da parte dell'altro proprietario . Gli enunciati motivi, da esaminare congiuntamente per ragioni di connessione, devono essere entrambi dichiarati inammissibili. Infatti il secondo motivo, con il quale, come sopra esposto, sono state denunciate violazione di legge e vizi di motivazione, è del tutto privo sia di un quesito di diritto sia di un momento di sintesi del fatto controverso, cosicché esso è inammissibile ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c Quanto al terzo motivo, poi, il quesito di diritto sopra enunciato appare inconferente rispetto alla fattispecie esaminata dalla Corte territoriale, che ha rilevato la mancata proposizione, da parte della V. , della domanda di rilascio del certificato di abitabilità per la parte dell'edificio di sua proprietà esclusiva, mentre il quesito di diritto suddetto pone la diversa questione della richiesta del certificato di abitabilità da parte di uno solo dei comproprietari di un determinato immobile. Con il quinto motivo i ricorrenti, premesso che nel giudizio di primo grado con memoria del 18-1-2003 ex art. 184 c.p.c. essi avevano prodotto il certificato di abitabilità che riportava la seguente dicitura Si dà atto che l'avvenuta presentazione della domanda consente l'utilizzo dei locali , assumono che nel giudizio di appello essi avevano sostenuto che in base a tale espressa previsione l'abitabilità avrebbe dovuto ritenersi sussistente a far tempo dal 25-8-2000, con conseguente tempestività della diffida ebbene il giudice di appello ha omesso la pronuncia su tale questione decisiva. Il motivo è corredato dal seguente quesito di diritto il giudice deve pronunciare su tutte le domande delle parti. Nel caso di specie la Corte avrebbe dovuto pronunciarsi sul punto se la dizione si dà atto che la presentazione della domanda consente l'utilizzo dei locali comportasse la sussistenza dell'abitabilità, essendo questa una circostanza decisiva ai fini del decidere ”. Il motivo è infondato. Invero la trascrizione solo parziale di tale documento non consente di apprezzarne il necessario requisito della decisività, e quindi la sua eventuale idoneità a superare le statuizioni della sentenza impugnata sia in relazione al mancato rilascio del certificato di abitabilità riguardo a quella parte dell'edificio di proprietà esclusiva della V. , sia al fatto che il Comune di Castel d'Ario aveva dichiarato la non abitabilità delle parti dell'edificio promesso in vendita, come emergente anche dagli scritti difensivi degli appellanti e dell'appellata, per l'accertata assenza dei requisiti richiesti alla costruzione per essere abitabile. Con il sesto motivo i ricorrenti, denunciando violazione dell'art. 4 del D.P.R. 22-4-1994 n. 425, premesso che la norma ora richiamata attiene all'abitabilità dei locali che, una volta acclarata, non riguarda i proprietari degli immobili, assumono che l'avvenuto riconoscimento di abitabilità dei locali prescinde dall'autore della richiesta del certificato di abitabilità quando, come nella fattispecie, tutte le istanze erano state presentate esclusivamente dal B. in forza del rapporto di coniugio con l'altra proprietaria, e soprattutto tenendo presente che il Comune di Castel d'Ario aveva sempre risposto alle domande presentate considerando anche i mappali dell'altro coniuge in quanto facenti parte della stessa unità immobiliare. I ricorrenti poi aggiungono che il silenzio - assenso ha mero valore certificativo, cosicché il certificato di abitabilità non è neppure necessario, non avendo funzione costitutiva da ciò deriverebbe che l'abitabilità, non essendo intervenuto alcun provvedimento negativo, era certamente sussistente al momento della diffida. Il motivo è corredato dal seguente quesito di diritto L'abitabilità ha valore oggettivo e meramente certificativo e riguarda tutti i locali per i quali è stata richiesta. Nel caso di specie vale per tutti i locali indicati nella domanda proposta da B.T. e di proprietà anche della moglie V.M. . Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato. Sotto un primo profilo deve rilevarsi che il quesito enunciato è inconferente rispetto alla fattispecie laddove, come è stato già rilevato, la Corte territoriale ha affermato che la V. non aveva presentato la domanda di certificato di abitabilità per la parte dell'edificio di sua proprietà esclusiva, e che il Comune di Castel d'Ario aveva dichiarato in seguito la non abitabilità delle parti dell'edificio promesso in vendita per l'accertata assenza dei requisiti richiesti dalla costruzione per essere dichiarata abitabile di qui l'inammissibilità del motivo. Il motivo è comunque infondato nella parte in cui si sostiene la non necessità del rilascio del certificato di abitabilità in maniera apodittica e non supportata da apprezzabili ragioni giuridiche, trascurando di considerare che il venditore di un immobile destinato ad abitazione ha l'obbligo di consegnare all'acquirente il certificato di abitabilità, senza il quale l'immobile stesso è incommerciabile Cass. 23-1-2009 n. 1701 . Con il settimo motivo i ricorrenti, deducendo insufficiente o contraddittoria motivazione, sostengono che, contrariamente all'assunto della sentenza impugnata, occorre distinguere l'ipotesi di impossibilità di attestare l'abitabilità per carenza assoluta dei requisiti da quella di sussistenza concreta dei requisiti medesimi con certezza dell'attestazione contraddittoriamente poi la Corte territoriale ha ritenuto che l'esistenza dei requisiti richiesti per dichiarare la costruzione abitabile deve essere attuale al momento del contratto, considerato che tale convincimento era proprio quello affermato dagli esponenti, ovvero che all'atto della suddetta diffida tali requisiti erano incontestabilmente sussistenti. Tale motivo, con il quale è stato denunciato un vizio di motivazione, è del tutto privo di un momento di sintesi del fatto controverso, cosicché esso è inammissibile ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c Con l'ottavo motivo i ricorrenti, denunciando violazione dell'art. 1460 secondo comma c.c., premesso che nel contratto preliminare era previsto che l'impianto fognario avrebbe dovuto essere sistemato dai promittenti venditori con la posa dei cosiddetti sifoni firenze , rilevano che detta clausola era stata utilizzata dalla promissaria acquirente per far intervenire il Comune con ti provvedimento di sospensione dell'abitabilità, prima sussistente, per giustificare il rifiuto ad adempiere ebbene tale comportamento di mala fede era stato del tutto trascurato dal giudice di appello. Il motivo è corredato dal seguente quesito di diritto La promittente acquirente avendo agito in malafede non avrebbe potuto rifiutarsi di concludere il contratto definitivo . Il motivo è inammissibile per l'assoluta inidoneità del suddetto quesito - privo della enunciazione di una qualsiasi questione giuridica, essendo circoscritto alla prospettazione di una mera valutazione della fattispecie oggetto della controversia - a consentire alla Corte di enunciare una regola juris suscettibile di trovare applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Il ricorso deve quindi essere rigettato le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento di Euro 200,00 per esborsi e di Euro 3.000,00 per compensi.