Il creditore non può trattenere i beni dati in garanzia in caso di inadempimento del debitore

La natura giuridica del pegno irregolare comporta che le somme di danaro o i titoli depositati presso il creditore diventano - diversamente che nell’ipotesi di pegno regolare - di proprietà del creditore stesso, che ha diritto a soddisfarsi, pertanto, non secondo il meccanismo di cui agli art. 2796-2798 c.c. che postula l’altruità delle cose ricevute in pegno , bensì direttamente sulla cosa, al di fuori del concorso con gli altri creditori esistendo unicità ovvero accessorietà di rapporti tra pegno irregolare e credito a garanzia del quale esso è stato costituito, l’estinzione del credito stesso è effetto di un’operazione meramente contabile, che resta fuori, pertanto, dall’ambito di operatività dell’istituto della compensazione.

Con la sentenza n. 2479 del 10 febbraio 2015, la Corte di Cassazione precisa la differenza tra pegno regolare e pegno irregolare, chiarendo che solo nel primo caso il creditore può precedere alla vendita dei beni dati in pegno, escludendo la possibilità di soddisfarsi direttamente sui beni in garanzia, che è invece ammissibile in caso di pegno irregolare. Il caso. La vicenda decisa dalla Cassazione ha origine dall’azione esecutiva avviata dalla banca nei confronti di un proprio debitore, il quale aveva costituito dei titoli in pegno a garanzia dell’adempimento. Il debitore si lamenta del fatto che la banca non avrebbe chiesto la vendita dei beni in garanzia né si sarebbe soddisfatta su tali beni, in violazione delle disposizioni in tema di pegno. Il Tribunale, con decisione confermata dalla Corte di Appello e poi dalla Cassazione, precisa che il pegno in questione era regolare e che, di conseguenza, spettava al creditore procedere con il meccanismo di cui agli artt. 2797 ss. – vendita del bene – ovvero procedere in via esecutiva, escludendosi comunque, non essendo il pegno in questione irregolare, che il creditore potesse trattenere i titoli in garanzia a soddisfazione del proprio credito, per il tramite di un’operazione meramente contabile. Pegno regolare o irregolare come distinguerlo. Secondo la giurisprudenza, il dato che rileva ai fini della configurabilità del pegno come irregolare non è la natura del bene, ma è la volontà delle parti di conferire al creditore la facoltà di disporre del bene stesso o, nel caso si tratti di titolo di credito o documento di legittimazione, del relativo diritto come, ad esempio, nel caso di un certificato di deposito, che essendo bene negoziato sul mercato e destinato alla circolazione neppure implica di per sé l’intento di attribuire la disponibilità dei diritti ad esso relativi. Pegno irregolare non opera il divieto di patto commissorio. Rilevanti le conseguenze qualora il pegno sia da ritenersi irregolare. La costituzione di un pegno irregolare, infatti, rende inoperante il divieto di patto commissorio di cui all’art. 2744 c.c., atteso che, a mente del disposto del precedente art. 1851, deve ritenersi consentito al creditore, nell’ipotesi di inadempimento della controparte, di fare definitivamente propria la sola somma corrispondente al credito garantito e, quindi, di compensarlo con suo debito di restituzione del tantundem , nel legittimo esercizio del proprio diritto di prelazione e senza richiesta di assegnazione al giudice dell’esecuzione. Pegno irregolare qual è l’oggetto del negozio. Nel caso di costituzione di pegno irregolare, l’oggetto del negozio, che è costituito da beni non individuati e perciò fungibili, diventa di proprietà del creditore garantito, sul quale pertanto viene a gravare la sola obbligazione di restituzione del tantundem eiusdem generis et quantitatis , ove il credito garantito sia estinto per intero, o quella parte di esso che ecceda l’importo di tale credito o della parte di quest’ultimo non estinta. Pegno regolare e trasferimento della proprietà. Nel caso di pegno regolare, non si realizza il trasferimento della proprietà della cosa né del diritto oggetto di pegno, dato che la garanzia risulta costituita dalla prelazione. Pegno di cosa futura è ammissibile? Il pegno di cosa futura, regolare o irregolare che sia, rappresenta una fattispecie a formazione progressiva, che trae origine dall’accordo delle parti, avente meri effetti obbligatori, e si perfeziona con la venuta ad esistenza della cosa e con la consegna di essa al creditore.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 30 ottobre 2014 – 10 febbraio 2015, n. 2479 Presidente Salmé – Relatore Chiarini Svolgimento del processo Con sentenza del 9 dicembre 2005 il Tribunale di Sassari rigettò l’opposizione di M.C. al precetto intimatogli dalla s.p.a. Meliorconsorzio per il pagamento di L. 108.352.684, somma ancora dovuta per la restituzione dei mutui concessigli nel 1987 per acquisto fondiario e miglioramento agrario, per complessive lire 190 milioni - garantiti da obbligazioni di debito pubblico per lire 95 milioni, costituite in pegno nel 1991. Con sentenza del 28 marzo 2011 la Corte di appello di Cagliari, sez. staccata di Sassari, ha respinto l’appello del M. sulle seguenti considerazioni 1 la tesi dell'appellante secondo la quale la Meliorbanca non poteva agire esecutivamente perché il suo credito si era estinto allorché il mutuatario aveva espresso la sua volontà in tal senso nell'ottobre 1993 e l’Assessorato all'Agricoltura nel giugno 1994 aveva autorizzato la chiusura anticipata del mutuo fondiario e detto istituto a fine luglio 1994 aveva effettuato i complessivi conteggi del residuo credito, sì che avrebbe dovuto avvalersi dei titoli in pegno in suo possesso e soddisfarsi sul ricavato mediante una mera operazione contabile, era da respingere perché il pegno costituito era regolare e perciò, ai sensi degli artt. 2796 - 2798 e 2804 c.c. i titoli potevano esser venduti o richiesti in assegnazione, previa intimazione di pagamento al debitore, ma non ritenuti a soddisfazione del credito 2 pertanto era facoltà del creditore optare per la ordinaria procedura esecutiva anziché per la realizzazione del suo diritto reale di garanzia, come desumibile anche dall'art. 2911 c.c., che ammette il concorso tra le due procedure con il solo limite della loro simultaneità 3 peraltro dalle stesse ammissioni del M. comunque residuava un credito di Meliorbanca di L. 4.523.134 che avrebbe in ogni caso legittimato il ricorso all'ordinaria procedura esecutiva 4 la questione che poteva porsi successivamente al pignoramento, se fosse stata attivata anche la procedura di cui all'art. 2797 c.c. e se il valore dei beni esecutati, cumulato con quello dei titoli dati in pegno, avesse superato l’importo del credito e delle spese art. 496 c.p.c. , era estranea al giudizio e neppure era stata prodotta alcuna documentazione al riguardo 5 quanto all'indirizzo a cui la banca inviò i conteggi per consentirgli di estinguere i mutui, nessun addebito poteva esserle mosso perché li inoltrò nel luogo indicato dal M. nella richiesta. Ricorre per cassazione M.C. cui resiste la s.p.a. Meliorbanca. Il ricorrente ha depositato memoria. Motivi della decisione 1.- Con un unico motivo il ricorrente deduce Art. 360 n. 5 c.p.c. violazione degli artt. 112, 132 secondo comma n. 4 c.p.c. e 118 secondo comma disp. att. c.p.c. Violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c Omessa statuizione sopra un capo di domanda omessa motivazione nella reiezione di censure dell'appellante su punti controversi decisivi per il giudizio per avere i giudici di merito respinto l’opposizione con argomenti di forma e senza esaminare la domanda di responsabilità della banca per il danno che con la sua malafede aveva cagionato al M. . Infatti la banca aveva preparato i conteggi, ma li aveva inviati ad un indirizzo erroneo, diverso da quello indicato nei contratti di mutuo, e neppure corrispondente a quello indicato sulla carta intestata del M. contenente la richiesta di estinzione, e malgrado i funzionari della banca sapessero che il mutuatario aveva urgenza di chiudere la pratica perché divenuta vanamente costosa, pur avvedendosi che il M. non si precipitava a tal fine nel loro ufficio, non erano stati colti dal dubbio che non avesse ricevuto nulla, né avevano controllato di aver spedito bene la comunicazione dei conteggi, né lo avevano avvertito per telefono, mentre dal canto suo il M. , facendo assegnamento sulle assicurazioni ricevute secondo le quali sarebbe stato convocato appena i conteggi fossero stati pronti, non aveva tormentato i funzionari, ignorando che la banca aveva tutto l’interesse al differimento della chiusura dei mutui. Quindi, trascorso un anno, senza neppure avvertirlo, la banca aveva iniziato l’azione esecutiva per una somma che era divenuta nel frattempo 25 volte superiore, come desumibile dai conteggi approntati dalla stessa a fine ottobre 1993 e fine luglio 1994, e pur avendo la medesima di che soddisfarsi con la vendita dei CCT dati in pegno, secondo gli artt. 2797 e 2798 c.c. ed i patti contrattuali. In tal modo al 30 ottobre 1993, in base al valore nominale di una parte dei titoli, la banca sarebbe rimasta debitrice del M. di L. 1.127.511, mentre, utilizzando la restante parte, al 28 luglio 1994 sarebbe residuato un debito di questi pari a L. 4.523.134. Invece, inviando i conteggi non già all'azienda agricola geom. M.C. omissis casella postale XX, come scritto nella carta intestata, bensì a M.C. C.P. omissis , senza l’indicazione S.S. 291 Km.14,00, coincidente con l'accesso all'azienda - come sapevano benissimo i funzionari della banca, avendo effettuato sopralluoghi in essa - e senza nemmeno limitarsi ad indicare il numero della casella postale ed il nome del Comune in cui si trovava, hanno fatto un pasticcio perché il postino, se non sapeva che il plico su cui è indicato il Comune e la casella postale è ivi da recapitare, avrà ritenuto il numero della casella come indicazione accessoria della loc. omissis , sì che non giunse mai a destinazione. L'errore è inescusabile ed esclusivo della banca ed è stato sommariamente esaminato dalla Corte di merito pur avendo cagionato un grave danno al M. , facendo lievitare gli interessi sui mutui che dovevano esser estinti già da un anno, in contrasto con qualsiasi regola morale, di comportamento creditorio e di correttezza bancaria, nonché di buona fede. Questo diverso capo di domanda non è stato esaminato dalla Corte di merito, che si è limitata a ribadire che in caso di pegno regolare, come nella specie, il creditore non può appropriarsi del valore dei titoli, né venderli direttamente. Al riguardo invece è da ritenere che la banca potesse e dovesse soddisfare il credito con il prezzo di tale vendita perché questo era l’intento contrattuale e quindi il corrispondente diritto a far propri i titoli era stato implicitamente attribuito al creditore. Comunque altro addebito alla banca è di non aver fatto nulla per estinguere i contratti, neppure cercare il debitore per avere l'assenso alla vendita o chiederne l'autorizzazione al giudice ai sensi dell'art. 2797 c.c. o all'assegnazione ai sensi dell'art. 2798 c.c., pur sapendo che il cliente aveva urgenza di definire il debito, in contrasto con i doveri di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. e al riguardo nulla ha detto la Corte di merito. Per tutte queste ragioni l’azione esecutiva intentata era iniqua e doveva dichiararsi l’inesistenza di qualsiasi credito della banca. Le censure sono infondate. 1.1 - Ed infatti correttamente la Corte di merito ha ravvisato nella specie il contratto di pegno irregolare essendo incontroverso che a i titoli consegnati al mutuante a garanzia dell'adempimento dell'obbligo di restituzione dei mutui erano individuati b per le modalità attuative del potere di esecuzione del creditore pignoratizio erano stati richiamati gli artt. 2797 e 2798 cod. civ., disciplina tipica dell'esercizio del diritto di prelazione sul bene pignorato c il M. aveva richiesto e la banca aveva predisposto i conteggi per consentigli di adempiere all'obbligo di restituzione, incompatibile con la possibilità del creditore di soddisfare il credito mediante un' operazione contabile di scomputo dall'ammontare di esso del valore dei titoli. Dunque difettava sia la non individuazione dei beni dati in pegno - prima ipotesi prevista dall'art. 1851 cod. civ. - sia il conferimento alla banca della facoltà di disporre del relativo diritto - seconda ipotesi prevista dall'art. 1851 cod.civ., norma riferita all'anticipazione bancaria, ma che costituisce tuttavia la regola generale di ogni altra ipotesi di pegno irregolare, correlata all'art. 1846 cod. civ. - per effetto della quale il creditore garantito diviene titolare della somma portata dal titolo - alienazione in funzione di garanzia - e perciò può disporne, di tal che per il soddisfacimento del suo diritto artt. 1997 e 2784 cod. civ. non deve alienare o farsi assegnare l'oggetto del pegno ai sensi degli artt. 2797 e 2798 cod. civ. che postulano l'altruità delle cose ricevute in pegno , bensì può soddisfarsi direttamente su di esso, al di fuori del concorso con gli altri creditori, realizzandolo automaticamente e direttamente mediante la conservazione di quella titolarità, con un sistema di compensazione sostituzione del credito garantito con il credito rappresentato dai titoli, e con il solo obbligo di restituzione dell'eccedenza. Diversamente invece, nel caso di costituzione di pegno regolare, il creditore ha l’obbligo di custodire il bene fino alla scadenza dell'obbligo di adempiere, e di restituirlo, se questo è assolto Cass. 745 del 1997, 5111 del 2003, 4507 e 21237 del 2004, 9306 e 26164 del 2006, 2456 e 3794 del 2008, 18597 del 2011 . Perciò la qualificazione di pegno regolare e la conseguente applicazione delle norme del codice civile è avvenuta correttamente e, come statuito dalla Corte di merito, nessun abuso ha commesso la banca nell'intimare l'adempimento del debito scaduto, preannunciando una esecuzione ordinaria facoltà del creditore concorrente con l’esercizio dei diritti incorporati nei titoli, previsto dagli artt. 2697 e 2698 cod. civ., di cui la banca non si è avvalsa secondo l'accertamento della Corte di merito - punto 4 della motivazione riassunta in narrativa - non censurato. 1.2- Anche la seconda censura è infondata. Ed infatti correttamente la Corte di merito ha sul punto statuito che, dimostrato dalla banca l'avvenuto inoltro per posta della richiesta di adempimento dell'obbligo di restituire le rate di mutuo rimaste insolute ed i relativi interessi all'indirizzo preventivamente indicato a tal fine dal M. , era da presumere la conoscibilità del relativo contenuto, anche avuto riguardo all'obbligo dell'agente postale di restituire al mittente il plico in caso di mancato recapito, restando pertanto a carico del destinatario l'onere di dedurre e dimostrare l'esistenza di elementi idonei a superare la presunzione di ricezione. Pertanto, proprio in applicazione dei principi di correttezza e buona fede invocati dal ricorrente, e che devono improntare l’esecuzione del contratto in ogni sua fase, era onere del debitore, trascorso un ragionevole lasso di tempo senza ricevere riscontro alcuno alla sua richiesta di adempimento dell'obbligo di estinguere il debito di restituzione della domina mutuatagli, attivarsi per realizzare l’interesse del creditore all'adempimento, atteso che in tema di mutuo fondiario e di miglioramento agrario per ciascuna rata, nel momento in cui l’istituto di credito consegna al mutuatario il relativo importo, sorge l’obbligo del mutuatario di restituzione e di corresponsione dei pattuiti interessi. 2.- Concludendo il ricorso va respinto. Le spese giudiziali seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente a pagare Euro 5.200, di cui Euro 5.000 per compensi, oltre spese generali e accessori di legge.