Gravi difetti dell’immobile: ne risponde anche il venditore, se ha provveduto alla costruzione dell’opera

L’azione di responsabilità per rovina e difetti di cose immobili, prevista dall’art. 1669 c.c., può essere esercitata non solo dal committente contro l’appaltatore, ma anche dall’acquirente contro il venditore che abbia costruito l’immobile sotto la propria responsabilità, allorché lo stesso venditore abbia assunto, nei confronti dei terzi e degli stessi acquirenti, una posizione di diretta responsabilità nella costruzione dell’opera, e sempre che si tratti di gravi difetti, i quali, al di fuori dell’ipotesi di rovina o di evidente pericolo di rovina, pur senza influire sulla stabilità dell’edificio, pregiudichino o menomino in modo rilevante il normale godimento, la funzionalità o l’abitabilità del medesimo.

Con la pronuncia del 4 febbraio 2014, n. 2436, la Corte di Cassazione affronta la questione dell’applicazione, in via analogica, della disciplina prevista dall’art. 1669 c.c. in tema di azione risarcitoria in caso di appalto, nell’ipotesi di vendita nella quale l’alienante, come nel caso di specie, ha anche realizzato l’immobile poi oggetto di compravendita. Il caso . La pronuncia della Cassazione ha origine dall’azione risarcitoria promossa da alcuni proprietari di unità immobiliari nei confronti della società venditrice nonché realizzatrice delle unità in questione, in presenza di gravi vizi, anche strutturali, di detti immobili. Tali domande venivano accolte in primo grado e confermate in appello, sul presupposto dell’applicabilità, anche in caso di vendita, della disciplina ex art. 1669 dettata per l’appalto. Avverso la decisione della Corte territoriale la società venditrice degli immobili propone ricorso per Cassazione, che viene però rigettato in applicazione del principio espresso nella massima di cui sopra. Appalto o vendita? Preliminarmente il S.C. si sofferma sulla distinzione tra vendita ed appalto, precisando che si ha contratto di appalto e non di vendita quando la prestazione della materia sia un semplice mezzo per la produzione dell’opera ed il lavoro sia lo scopo essenziale del negozio in tal caso, infatti, le modifiche da apportare a cose, pur rientranti nella normale attività produttiva dell’imprenditore, consistono non già in accorgimenti marginali e secondari diretti ad adattarle alle specifiche esigenze del destinatario della prestazione, ma danno luogo ad un opus perfectum, inteso come voluto ed effettivo risultato della prestazione la prestazione dell’opera assume, pertanto, non su un piano quantitativo, ma qualitativo e sotto il profilo teleologico, valore determinante al fine del risultato da fornire alla controparte. La responsabilità dell’appaltatore ha natura extracontrattuale . In tema di responsabilità del costruttore, nell’ipotesi in cui l’immobile presenti gravi difetti di costruzione che, incidendo profondamente sugli elementi essenziali, influiscano sulla solidità e la durata dello stesso, la norma di cui all’art. 1669 c.c., sebbene dettata in materia di appalto, configura una responsabilità extracontrattuale che, essendo sancita per ragioni e finalità di interesse generale, è estensibile al venditore che sia stato anche costruttore del bene venduto. In particolare, precisa la Cassazione, la disposizione dell’art. 1669 c.c. configura una responsabilità extracontrattuale di ordine pubblico, sancito per finalità di interesse generale, che trascende i confini dei rapporti negoziali tra le parti, e pertanto la relativa azione può essere esercitata non solo dal committente nei confronti dell’appaltatore, ma anche dell’acquirente contro il venditore che abbia costruito l’immobile sotto la propria responsabilità, senza che abbia rilievo la specifica identificazione del rapporto giuridico in relazione al quale la costruzione è stata effettuata ne consegue che l’applicazione della suindicata norma nei confronti del venditore è giustificata allorché la posizione da lui assunta nei confronti dei terzi e degli stessi acquirenti abbia evidenziato l’assunzione da parte dello stesso soggetto di una diretta responsabilità nella costruzione dell’opera. Gravi difetti dell’edificio come e perché . Configurano gravi difetti dell’edificio a norma dell’art. 1669 c.c. anche le carenze costruttive dell’opera - da intendere anche come singola unità abitativa - che pregiudicano o menomano in modo grave il normale godimento e/o la funzionalità e/o l’abitabilità della medesima, come allorché la realizzazione è avvenuta con materiali inidonei e/o non a regola d’arte ed anche se incidenti su elementi secondari ed accessori dell’opera quali impermeabilizzazione, rivestimenti, infissi, pavimentazione, impianti etc. , purché tali da compromettere la sua funzionalità e l’abitabilità ed eliminabili solo con lavori di manutenzione, ancorché ordinaria, e cioè mediante opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici o che mediante opere che integrano o mantengono in efficienza gli impianti tecnologici installati. L’azione risarcitoria ex art. 1669 c.c. anche in caso di vendita . Come visto nella massima in epigrafe, il profilo di maggiore interesse della sentenza riguarda l’applicabilità dell’azione risarcitoria ex art. 1669 c.c., dettata per l’appalto, anche nel caso di vendita in particolare, secondo il S.C., nell’ipotesi in cui l’immobile presenti gravi difetti di costruzione che, incidendo profondamente sugli elementi essenziali, influiscano sulla solidità e la durata dello stesso, la norma di cui all’art. 1669 c.c., sebbene dettata in materia di appalto, configura una responsabilità extracontrattuale che, essendo sancita per ragioni e finalità di interesse generale, è estensibile al venditore che sia stato anche costruttore del bene venduto. Pericolo di rovina o gravi di danni quali azioni per appalto e vendita? Mentre le azioni previste dagli artt. 1667 e 1668 c.c. sono connesse al contratto di appalto, per cui competono esclusivamente al committente, l’azione risarcitoria prevista dall’art. 1669 c.c., essendo, come visto, di natura extracontrattuale, opera non solo a favore del committente, ma anche dei suoi aventi causa, tra i quali il successivo acquirente. Appalto sì alla modifica della domanda di riduzione del prezzo . Il committente che, per difetti dell’opera, abbia esperito azione di risoluzione del contratto per inadempimento dell’appaltatore, può successivamente, sia in primo grado che in appello, modificare la domanda in quella di riduzione del prezzo infatti, non soltanto non è estensibile all’appalto il principio, dettato per la vendita dall’art. 1492, comma 2, c.c., dell’irrevocabilità della scelta, operata mediante domanda giudiziale, tra risoluzione del contratto e riduzione del prezzo ma nel caso di inadempimento dell’appaltatore, il divieto posto dall’art. 1453, comma 2, c.c. impedisce al committente che abbia proposto domanda di risoluzione di mutare tale domanda in quella di adempimento, ma non anche di chiedere la riduzione del prezzo e ciò sul presupposto che detta domanda non integra una domanda nuova rispetto a quella originaria di risoluzione perché, sostanzialmente, fondata sulla stessa causa petendi e caratterizzata da un petitum più limitato.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 19 novembre 2013 - 4 febbraio 2014, n. 2436 Presidente Goldoni – Relatore Proto Svolgimento del processo Nel Febbraio del 1989 la società odierna ricorrente, dopo la stipulazione di preliminari di vendita, vendeva a ciascuno degli odierni 17 controricorrenti e degli altri 12 intimati che non si sono costituiti in questo giudizio di cassazione, singole unità immobiliari all'interno di due fabbricati con villette a schiera costruiti dalla stessa società venditrice le suddette unità immobiliari erano state già prese in consegna nel 1987 dai promissari acquirenti, almeno secondo quanto afferma la ricorrente nel suo ricorso. Nel Giugno del 1989 i suddetti acquirenti denunciavano l'esistenza di vizi e difetti e con citazione del 5/11/1990 convenivano in giudizio la società quale costruttrice e venditrice denunciando gravi vizi e difetti della pavimentazione, tali da rendere i locali non usufruibili gli attori chiedevano la condanna della convenuta che, a loro dire, aveva riconosciuto i vizi e si era impegnata a porvi rimedio a ripristinare lo stato dei luoghi o a risarcire i danni per vizi e difetti occulti della cosa venduta. La convenuta negava di avere riconosciuto i vizi, deduceva che la cosa venduta era idonea all'uso e affermava di non essere tenuta ad alcuna garanzia perché i beni erano stati presi in consegna senza riserva infine eccepiva l'intervenuta prescrizione e decadenza dall'azione redibitoria. Con sentenza del 2002 il Tribunale di Busto Arsizio rigettava le eccezioni di prescrizione e decadenza sia perché dalle espletate prove orali era risultato che il venditore aveva riconosciuto i vizi e si era impegnato a eliminarli, sia perché applicabile alla fattispecie la normativa di cui all'art. 1669 c.c., analogicamente applicabile alla vendita condannava pertanto la convenuta al risarcimento dei danni derivanti dalla difettosa pavimentazione delle unità immobiliari sulla base delle risultanze della CTU. La società J. proponeva appello al quale resistevano gli attori, dieci dei quali proponevano appello incidentale per ottenere un risarcimento maggiore e in coerenza con il supplemento di perizia del 1998 l'appellante riproponeva le eccezioni di prescrizione e decadenza, contestava la valutazione delle prove circa il ritenuto riconoscimento dei vizi, contestava l'applicabilità dell'art. 1669 c.c. alla vendita, eccepiva il difetto di prova sull'esistenza e la quantificazione dei danni. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 22/6/2007 rigettava l'appello principale e accoglieva quello incidentale e, in particolare - rigettava il motivo con il quale era censurata la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto provato il riconoscimento dei vizi e l'impegno ad eliminarli la Corte osservava che era probante la testimonianza P. avvalorata da due missive inviate dalla società - riteneva che, malgrado il contratto fosse qualificabile come vendita, fosse egualmente applicabile l'art. 1669 c.c. ancorché norma dettata in materia di appalto, tenuto conto della natura e incidenza dei vizi della pavimentazione che rendeva necessaria la posa in opera di nuovi sottofondi e pavimenti - rilevando che i vizi non erano palesi escludeva che l'opera potesse considerarsi accettata con la presa in consegna riteneva l'assoluta infondatezza delle censure sulla sussistenza del danni e sulla liquidazione osservando che l'asserita mancata eliminazione dei vizi e difetti non escludeva l'esistenza del danno risarcibile, confermato dalle relazioni di consulenza e, in accoglimento degli appelli incidentali, adeguava il danno degli appellanti incidentali alle risultanze del supplemento di perizia. La società Impresa J.F. s.r.l. propone ricorso affidato a 5 motivi. Resistono con controricorso 18 dei 29 intimati. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo la società ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1470, 1472, 1655 e 1667 c.c. e il vizio di motivazione sostenendo che con gli intimati era intervenuto un contratto di vendita e non di appalto con la conseguenza che avrebbe dovuto essere applicata la normativa in materia di vendita e che la Corte di Appello avrebbe confuso i due contratti e non avrebbe dato adeguata motivazione dell'applicazione della disciplina dell'appalto in tal senso formula i corrispondenti quesiti previsti dall'art. 366 bis c.p.c. ora abrogato, ma applicabile ratione temporis. 1.1 Il motivo è manifestamente infondato perché la Corte di Appello ha riconosciuto che il contratto doveva qualificarsi vendita e non appalto, ma ha applicato l'art. 1669 c.c. in via analogica e in motivata adesione al costante orientamento di questa Corte secondo il quale le disposizioni di cui all'art. 1669, disciplinanti le conseguenze dannose di quei particolari difetti ivi contemplati, configurano una responsabilità di tipo extracontrattuale, sancita per ragioni e finalità di interesse generale, che sebbene collocata nell'ambito della disciplina dell'appalto, è tuttavia estensibile al venditore che sia stato come nel caso qui in esame anche costruttore del bene immobiliare venduto e pertanto tale azione di responsabilità può essere esercitata non solo dal committente contro l'appaltatore, ma anche dall'acquirente contro il venditore che abbia costruito l'immobile v., tra le altre, Cass. 16/2/2012 n. 2238, Cass. 31/3/2006 n. 7634, Cass. 28/4/2004 n. 8140, proprio in una fattispecie nella quale gli acquirenti avevano agito perché le mattonelle del pavimento dei singoli appartamenti si erano scollate e rotte in misura percentuale notevole rispetto alla superficie rivestita Cass. 29/3/02 n. 4622, 10/1/01 n. 12406, conf. n. 9853/98, n. 3146/98, n. 9313/97, n. 8108/97 . Il collegio non ravvisa motivi per doversi discostare dai suddetti principi nel caso di specie in cui è incontroverso che l'impresa venditrice avesse anche costruito l'edificio nel quale erano comprese le unità immobiliari acquistate dagli attori, diviene irrilevante la circostanza che gli appartamenti non fossero ancora esistenti all'atto del precedente contratto preliminare o che il contratto dovesse essere qualificato come vendita di cosa futura ed è altrettanto irrilevante che tra le parti non fosse stato stipulato anche un contratto di appalto, tenuto conto dell'evidenziata natura extranegoziale della responsabilità per l'ipotesi di sussistenza di vizi del genere di quelli indicati dall'art. 1669 cit 2. Con il secondo motivo la società ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1470, 1490, 1655 e 1668 c.c. e il vizio di motivazione e sostiene che l'azione risarcitoria esercitata sarebbe improponibile perché, in caso di inadempimento del venditore per l'esistenza di gravi vizi e difetti, l'acquirente avrebbe potuto chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo, ma non la rimozione dei vizi e difetti ex art. 1688 c.c. a spese dell'appaltatore oltre al risarcimento del danno. La società ricorrente, formulando i quesiti, chiede - che questa Corte accerti e dichiari se in costanza di contratto di futura vendita sia proponibile per il compratore l'azione redibitoria per vizi e difetti, diversa da quella consentita e disciplinata dall'art. 1492 c.c. con gli effetti previsti dall'art. 1493 c.c. - che questa Corte accerti e dichiari se il giudice di secondo grado non abbia omesso di adeguatamente motivare sulla proponibilità di domanda diversa da quella prevista e disciplinata dagli artt. 1492 e 1493 c.c., apoditticamente ritenendola proponibile. 2.1 Il motivo è inammissibile non solo perché la questione non risulta proposta in alcuno dei due gradi del giudizio di merito, ma anche perché non attinge la ratio decidendi per la quale la responsabilità e il diritto al risarcimento del danno sono stati fondati sull'applicazione dell'art. 1669 c.c., correttamente ritenuto applicabile alla fattispecie per le ragioni esposte nel rigettare il primo motivo di ricorso, per effetto del quale al danneggiato è riconosciuto il diritto di chiedere, alternativamente, o l'esecuzione delle opere necessarie ad eliminare i vizi o il pagamento della somma corrispondente al costo di tali opere in applicazione del principio generale per il quale nei limiti stabiliti dall'art. 2058 c.c., il risarcimento può disporsi in forma specifica o per equivalente cfr. Cass. 22/12/1999 n. 14449 Cass. 21/3/1989 n. 1406 . 3. Con il terzo motivo la società ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1476, 1477, 1490, 1491 e 1495 c.c La società premette - che gli immobili sono stati consegnati con verbali di consegna tra il 15/5/1987 e il 7/7/1987 - che i compratori erano onerati della verifica della prestazione e che da quel momento esercitavano il potere di fatto sulla cosa. Ciò premesso, sostiene che non ricorrevano i presupposti per azionare la garanzia perché - i vizi non rendevano la cosa inidonea all'uso, né era stata provata l'inagibilità dei locali venduti, tenuto conto che i pavimenti sono normalmente calpestati e non rimossi - i vizi non erano stati denunciati se non quando era abbondantemente decorso sia il termine di decadenza degli otto giorni, sia il termine di prescrizione dell'anno, stabiliti dall'art. 1495 c.c La società ricorrente, formulando i quesiti, chiede - se in caso di vendita siano applicabili le garanzie per i vizi di cui all'art. 1490 c.c. nei termini e con le decadenze dell'art. 1495 c.c. e non l'azione di garanzia ex art. 1669 e se la sentenza impugnata non abbia violato le suddette norme non riconoscendo la prescrizione e decadenza dell'azione - se la Corte di Appello non abbia omesso di motivare adeguatamente sull'applicabilità delle menzionate norme, apoditticamente ritenendo ammissibile l'azione di garanzia ex art. 1669 c.c 3.1 Il motivo è infondato per molteplici e autonome ragioni a è stata ritenuta la responsabilità del venditore ex art. 1669 c.c. e pertanto non erano comunque applicabili i termini e le decadenze dell'art. 1495 c.c. b la mera presa in consegna non equivale a rinuncia alla garanzia o accettazione laddove, come nella specie ritenuto dal giudice di appello, i vizi non siano palesi, ma manifestatisi successivamente c la sentenza di appello ha confermato la sentenza di primo grado che aveva accertato che i vizi erano stati riconosciuti e che era stato assunto l'impegno a rimuoverli e inoltre, ha escluso la prescrizione perché l'intendimento di vedere riparati i vizi e di essere ristorati dei danni, tempestivamente espresso dagli acquirenti era stato coltivato fino alla citazione pag. 6 della sentenza di appello d la contestazione della gravità dei vizi, in questa sede di legittimità, è inammissibile per assoluta genericità inoltre introduce una censura i pavimenti erano normalmente calpestati e non rimossi , sulla quale la Corte di Appello ha adeguatamente motivato rilevando che la mancata realizzazione del ripristino attiene all'eliminazione dei vizi e difetti e non alla loro esistenza innegabilmente accertata pag. 7 e 8 della sentenza di appello . 4. Con il quarto motivo la società ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1470 e 1496 c.c. e il vizio di motivazione. La ricorrente contesta la valutazione dei giudici del merito circa l'intervenuto riconoscimento del vizio e aggiunge che, anche a volere ritenere che i vizi fossero stati riconosciuti, sarebbe comunque decorso il termine di prescrizione di un anno dalla consegna. 4.1 Il motivo è infondato perché - in ordine al riconoscimento dei vizi, propone una quaestio facti sulla quale la Corte di Appello ha ampiamente e sufficientemente motivato con argomenti specifici la testimonianza P. , le missive intercorse tra le parti che non sono attinti da altrettanto specifiche censure - in ordine alla prescrizione non rilevano le prescrizioni e decadenze in materia di vendita rispetto all'azione fondata sull'applicazione analogica dell'art. 1669 c.c. e comunque la prescrizione, secondo la motivazione della Corte di Appello non attinta da una censura sufficientemente specifica, sarebbe interrotta dalle trattative tra le parti che dimostravano come la volontà di ottenere il ripristino o il risarcimento fosse stata coltivata fino alla citazione. 5. Con il quinto motivo la società ricorrente deduce la violazione degli artt. 1667, 1668 e 1669 c.c. e il vizio di motivazione contraddittoria. La ricorrente sostiene - che, inquadrata la responsabilità come responsabilità derivante dal contratto di appalto, la Corte di Appello avrebbe dovuto applicare la decadenza di cui all'art. 1667 c.c. - che non poteva essere riconosciuta la responsabilità ex art. 1669 c.c., perché i vizi non rendevano inadatta l'opera alla sua destinazione - che sarebbe maturata anche la prescrizione di cui al secondo comma dell'art. 1669 c.c La società ricorrente, formulando i quesiti, chiede - se nell'appalto l'art. 1669 e i maggiori termini di decadenza e prescrizione possano trovare applicazione in presenza di ogni tipo di vizi dell'opera o solamente in caso di gravi difetti o di pericolo di rovina, rimanendo esclusi i vizi di minore entità che consentano l'uso al quale l'opera è destinata e se, in tale ipotesi, trovino applicazione i più brevi termini di prescrizione e decadenza dell'art. 1667 c.c. - se la Corte di Appello non abbia violato e falsamente applicato le norme suddette mancando i presupposti che ne avrebbero consentito l'applicazione, così contraddittoriamente motivando. 5.1 Il motivo è manifestamente infondato in quanto - la Corte di Appello non ha ritenuto che tra le parti fosse stato concluso un contratto di appalto, ma che agli acquirenti, i quali avevano concluso con il costruttore un contratto di vendita, dovesse essere accordata, analogicamente, la tutela extracontrattuale di cui all'art. 1669 c.c. di conseguenza gli articoli che disciplinano il contratto di appalto ad esclusione dell'art. 1669, applicabile analogicamente a favore degli acquirenti non vengono qui in rilievo la domanda con cui l'acquirente di un immobile, in base ai difetti costruttivi del medesimo, chiede la condanna del costruttore venditore al pagamento delle somme necessarie per l'eliminazione di detti difetti, costituisce, infatti, domanda di risarcimento del danno in forma specifica da responsabilità extracontrattuale e non domanda di adempimento del contratto di appalto - la contestazione sulla natura e rilevanza dei vizi ai fini dell'applicabilità dell'art. 1669 c.c. è assolutamente generica e si fonda sull'erroneo presupposto che i vizi rilevanti ai sensi della richiamata norma siano solo quelli che rendano la costruzione totalmente inidonea all'uso alla quale è destinata, mentre i gravi difetti considerati dall'art. 1669 c.c., come peraltro osservato anche dalla Corte di Appello pag. 5 della sentenza, con richiamo a un precedente di questa stessa Corte , sono anche quelli che incidano su elementi accessori dell'opera da intendere anche come singola unità abitativa v. Cass. 28/4/2004 n. 8140 , come la pavimentazione purché, anche senza influire sulla stabilità dell'edificio, riducano in modo rilevante il normale godimento, la funzionalità o l'abitabilità dell'immobili v. tra le più recenti, Cass. 16/2/2012 n. 2238 la motivazione è comprensibile e sufficiente - l'art. 1669 c.c., ritenuto applicabile dalla Corte di Appello, deroga ai termini di denunzia e prescrizione dell'art. 1667 c.c. prevedendo un termine di un anno dalla scoperta per la denunzia e il termine di un anno dalla denunzia per evitare la prescrizione e dalla motivazione della Corte di Appello - la prescrizione dell'azione ex art. 1669 c.c. non risulta mai eccepita davanti ai giudici del merito, la censura è formulata in modo assolutamente generico l'esatta applicazione della norma avrebbe dovuto indurre .alla reiezione della domanda anche per la prescrizione ex art. 1669 secondo comma c.c. senza la formulazione di un corrispondente quesito e non contrasta la motivazione della Corte di Appello secondo la quale i vizi erano stati riconosciuti e l'intendimento di vedere riparati i vizi e di essere ristorati dei danni, tempestivamente espresso dagli acquirenti, era stato coltivato fino alla citazione sicché sino a tale data la prescrizione non era compiuta pag. 6 della sentenza di appello . 6. In conclusione il ricorso deve essere rigettato con la condanna della società ricorrente, in quanto soccombente, al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la società Impresa J.F. s.r.l. a pagare ai controricorrenti le spese di questo giudizio di cassazione che liquida in Euro 6.000,00 per compensi oltre Euro 200,00 per esborsi.