Se manca la buona fede, la parte nei cui confronti è opposta l’eccezione di inadempimento non può rifiutare di dare esecuzione al contratto

In tema di contratti con prestazioni corrispettive, ove venga proposta dalla parte l’eccezione inadimplenti non est adimplendum, il giudice deve procedere ad una valutazione comparativa degli opposti adempimenti, avuto riguardo anche alla loro proporzionalità rispetto alla funzione economico–sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull’equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse.

Per cui qualora rilevi che l’inadempimento della parte nei cui confronti è opposta l’eccezione non è grave ovvero assume scarsa importanza in relazione all’interesse dell’altra parte a norma dell’art 1455 c.c., deve ritenere che il rifiuto di quest’ultima di adempiere la propria obbligazione non sia in buona fede e, quindi, non sia giustificato ai sensi dell’art 1460, comma 2, c.c. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 153, depositata l’ 8 gennaio 2014. L’eccezione di inadempimento. La predetta sentenza nel trattare il tema dell’eccezione di inadempimento nega la possibilità di risolvere il contratto nei casi in cui il rifiuto di adempiere della parte nei cui confronti è opposta l’eccezione non sia giustificato da motivi di una certa gravità, in quanto tale rifiuto assume scarsa importanza in relazione all’interesse dell’altra parte. In particolare, i giudici di legittimità analizzano il combinato disposto degli artt. 1455 e 1460, comma 2, c.c. il primo dei quali prevede che il contratto non si possa risolvere se l' inadempimento di una delle parti assume scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra mentre il secondo articolo statuisce che la parte non può rifiutare di dare corso alla esecuzione del contratto se, avuto riguardo alle circostanze, il suo rifiuto è contrario alla buona fede. Il fatto. La controversia trae origine dalla domanda proposta dal venditore di un autoveicolo il quale, previo accertamento dell’avvenuta vendita dell’auto in questione e dell’inadempimento dell’acquirente, chiedeva che quest’ultima venisse condannata al pagamento del prezzo pattuito. Il Tribunale rigettava la domanda attrice sul presupposto che il contratto stipulato dalle parti fosse da qualificare come preliminare di vendita e sulla mancata ottemperanza degli impegni assunti da parte dell’attore. Quest’ultimo proponeva giudizio di appello che in totale riforma della sentenza di primo grado si concludeva con l’accoglimento della domanda sulla scorta dell’accertamento della natura di contratto definitivo di vendita intercorso tra le parti. L’acquirente, pertanto, proponeva ricorso per Cassazione. In particolare, la ricorrente basava le proprie difese sulla scorta di tre motivi. Con il primo eccepiva la nullità del contratto per mancanza di accordo sulla proposta contrattuale della ricorrente, mai accettata dal venditore il quale avrebbe sottoscritto la scrittura privata da lui predisposta solo dopo quattro mesi e dopo peraltro aver smontato i cerchi in lega e gli impianti stereo, telefonico e autoradio. Tale accettazione pertanto, non poteva secondo l’acquirente essere considerata conforme alla proposta originaria. La Corte dichiarava il motivo in questione inammissibile, atteso che la rilevabilità d’ufficio della nullità di un contratto in sede di legittimità postula, contrariamente al caso di specie, che la soluzione della relativa questione non richieda indagini di fatto non compiute nei precedenti gradi di giudizio. Contratto definitivo o preliminare? Con il secondo motivo la ricorrente deduceva, altresì, che la Corde di Appello, sulla scorta di un’errata interpretazione del testo del contratto avesse erroneamente qualificato come contratto definitivo il negozio intercorso tra le parti che invece integrava un mero preliminare di vendita, posto che lo stesso contratto non prevedeva la consegna immediata della vettura senza motore funzionante e faceva obbligo altresì, all’acquirente di corrispondere l’intero prezzo solo all’atto della vendita. La Corte dichiarava inammissibile anche il predetto motivo poiché aveva ritenuto l’accertamento di fatto eseguito dal giudice di merito volto a stabilire che si trattava di un contratto definitivo, non già di preliminare come sostenuto dalla ricorrente, come il risultato di un’interpretazione condotta nel rispetto delle regole di ermeneutica contrattuale dettate dalla legge e quindi, incensurabile in Cassazione. Nella specie, la Corte di Appello sulla scorta di un’interpretazione letterale e coordinata delle espressioni testuali contenute nell’accordo aveva interpretato la volontà delle parti volta in maniera incontrovertibile a concludere un contratto con effetto traslativo immediato. Infine, con il terzo motivo la ricorrente lamentava che la Corte territoriale aveva erroneamente considerato illegittimo il suo rifiuto di stipulare il contratto definitivo a seguito dell’avvenuta sottrazione di accessori da parte del venditore - in aperta violazione dell’obbligo di consegnare la cosa nello stato in cui si trovava al momento della supposta promessa di vendita. Gli ermellini dichiaravano anche tale motivo inammissibile, atteso che la sentenza di appello aveva posto a carico dell’attore l’obbligo di fornire l’auto degli accessori dallo stesso arbitrariamente sottratti successivamente alla vendita della vettura e, contestualmente, in caso di mancata fornitura di tali pezzi, aveva stabilito una decurtazione del prezzo complessivo di vendita. Con ciò i giudici del gravame hanno implicitamente, ma inequivocabilmente ritenuto, all’esito di una valutazione comparativa dell’importanza e proporzionalità dei rispettivi inadempimenti, che la sottrazione degli accessori da parte del venditore non fosse così grave tanto da giustificare ai sensi dell’art. 1460 c.c. il rifiuto dell’acquirente di adempiere le proprie obbligazioni. Concludendo. Tale valutazione si sottrae inevitabilmente al sindacato di legittimità, poiché costituisce espressione di un tipico apprezzamento in fatto riservato al giudice di merito. Va infine rilevato che la ricorrente non ha mosso alcuna doglianza riguardo al rimedio della riduzione del prezzo di vendita, del quale il giudice di appello si è avvalso al fine di assicurare il ripristino del pieno equilibrio tra le prestazioni rispettivamente assunte dalle parti con il contratto per cui si controverte. La predetta doglianza, non riguardando il merito della questione, ma attenendo la legittimità o meno del rimedio, avrebbe potuto essere sindacata dalla Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 26 novembre 2013 - 8 gennaio 2014, n. 153 Presidente Oddo – Relatore Matera Svolgimento del processo Con atto di citazione del 22-9-2000 C.M. conveniva dinanzi al Tribunale di Bolzano, Sezione Distaccata di Merano, D.C. , esponendo di aver venduto a quest'ultima, con contratto del 16-2-1999, l'autovettura BMW tipo 325 tg. per il prezzo di lire 25.000.000, oltre IVA, impegnandosi a sostenere le spese per la riparazione del motore. L'attore affermava che la D. aveva emesso, a titolo di acconto, un assegno di lire 1.000.000, che però non era stato versato al venditore, ma era stato lasciato a mani del titolare del garage omissis e che successivamente la convenuta aveva procrastinato ingiustificatamente l'adempimento delle obbligazioni assunte, lasciando inevasa anche una lettera di diffida scritta dal legale del C. . Tanto premesso, il C. chiedeva che, previo accertamento dell'avvenuta vendita dell'auto in questione e dell'inadempimento della convenuta, quest'ultima venisse condannata al pagamento del prezzo pattuito, dichiarandosi disposto ad effettuare le formalità necessarie per l'iscrizione al PRA ed a sostenere le spese necessarie per la sistemazione del motore. Nel costituirsi, la convenuta contestava la fondatezza della domanda, sostenendo che era stato il C. a non onorare i suoi impegni, rifiutandosi di sostituire il motore non funzionante della vettura. La D. , inoltre, faceva presente che dall'auto erano stati asportati i cerchi in lega leggera, la radio, l'impianto stereo e l'apparecchio telefonico. Essa, pertanto, chiedeva in via riconvenzionale la risoluzione del contratto per inadempimento dell'attore. Con sentenza in data 9-12-2005 il Tribunale rigettava la domanda attrice. In motivazione, il giudice di primo grado, qualificato il contratto stipulato dalle parti come preliminare di vendita, accertava che l'attore non si era attenuto agli impegni assunti, essendo tuttora il motore inutilizzabile ed essendo stati nel frattempo asportati dal veicolo i cerchi in lega leggera e l'autoradio. Il Tribunale, inoltre, dava atto che la convenuta, nelle conclusioni, aveva rinunciato alla domanda di risoluzione del contratto. Avverso la predetta decisione proponeva appello Fattore. Con sentenza in data 6-11-2007 la Corte di Appello di Trento, Sezione Distaccata di Bolzano, accertata la natura di contratto definitivo di vendita dell'accordo intercorso tra le parti, ordinava alla D. di invitare il C. , entro un mese dal passaggio in giudicato della sentenza, ad effettuare il passaggio di proprietà dell'autovettura condannava la convenuta a pagare all'attore, al momento del passaggio di proprietà, la somma complessiva di Euro 9.334,20, ovvero, ove l'auto non avesse i cerchi in lega e l'autoradio, la somma di Euro 8.334,20 condannava, inoltre, la D. a manlevare il C. di tutte le somme che il medesimo dovesse pagare al titolare del Garage Walter di Marengo per la custodia dell'auto. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso D.C. , sulla base di tre motivi. C.M. ha resistito con controricorso. La ricorrente ha depositato una memoria ex art. 378 c.p.c. e, all'udienza di discussione, brevi osservazioni scritte sulle conclusioni del Pubblico Ministero. Motivi della decisione 1 Con il primo motivo la ricorrente, lamentando la violazione e falsa applicazione degli artt. 1325, 1326 e 1418 c.c., nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, eccepisce la nullità del contratto del 16-12-1999 per mancanza di accordo sulla proposta contrattuale della ricorrente, mai accettata dal venditore. Deduce che il venditore non aveva firmato la scrittura privata da lui predisposta, e solo dopo quattro mesi, dopo avere smontato i cerchi in lega e gli impianti stereo, telefonico e l'autoradio, con lettera del 4-4-2004 del suo legale, aveva dichiarato di accettare la proposta contrattuale della convenuta. Sostiene che tale accettazione non poteva essere considerata conforme alla proposta originaria della D. ed equivaleva, quindi, a tutto concedere, ad una nuova proposta, per cui non si era perfezionato l'accordo. Fa presente che l'eccezione di nullità del contratto costituisce eccezione rilevabile d'ufficio e proponibile in ogni stato e grado del giudizio. Il motivo è inammissibile, prospettando una questione non sollevata nel giudizio di merito, che, richiedendo nuove indagini di fatto, non può essere dedotta per la prima volta in questa sede. Né la ricorrente può utilmente invocare il principio della rilevabilità d'ufficio della dedotta nullità del contratto per cui è causa, atteso che la rilevabilità d'ufficio della nullità di un contratto in sede di legittimità postula che la soluzione della relativa questione non richieda indagini di fatto non compiute nei precedenti gradi di giudizio Cass., 16-11-1996 n. 303 Cass. 22-6-2000 n. 8478 Cass. 29-1-2003 n. 1267 Cass. 15-7-2009 n. 16541 . 2 Con il secondo motivo la ricorrente denuncia l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 c.c Deduce che la Corte di Appello ha erroneamente qualificato come contratto definitivo il negozio de quo, che invece integra un mero preliminare di vendita Sostiene che l'interpretazione data dal giudice di merito risulta smentita dal testo del contratto, che non prevede la consegna immediata della vettura senza motore funzionante, e fa obbligo all'acquirente di corrispondere l'intero prezzo soltanto all'atto della vendita. Rileva che l'onere di sostenere la spesa per la sistemazione del motore poteva essere ragionevolmente posto a carico del C. solo perché, secondo l'intenzione dei contraenti, la vettura restava di proprietà del medesimo fino alla vendita formale e definitiva, allorché sarebbe stato corrisposto l'intero prezzo. Il motivo è infondato. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, il contratto preliminare e il contratto definitivo di compravendita si differenziano per il diverso contenuto della volontà dei contraenti, che è diretta nel primo caso ad impegnare le parti a prestare, in un momento successivo, il loro consenso al trasferimento della proprietà, e nel secondo ad attuare il trasferimento stesso, contestualmente o a decorrere da un momento successivo alla conclusione del contratto, senza necessità di ulteriori manifestazioni di volontà. Lo stabilire se le parti abbiano inteso stipulare un contratto definitivo ovvero un contratto preliminare di compravendita, rimettendo l'effetto traslativo ad una successiva manifestazione di consenso, si risolve in un accertamento di fatto riservato al giudice di merito. Tale accertamento è incensurabile in Cassazione, se è sorretto da una motivazione sufficiente ed esente da vizi logici o da errori giuridici e sia il risultato di un'interpretazione condotta nel rispetto delle regole di ermeneutica contrattuale dettate dagli art. 1362 e s. c.c. Cass. 20-11-2007 n. 24150 Cass. 4-10-2006 n. 21381 Cass. 21-5-2002 n. 7429 . Nella specie, la Corte di Appello, sulla base di argomenti coerenti e razionali, fondati su una interpretazione letterale e coordinata delle clausole contenute nella scrittura del 16-2-1999, ha ritenuto che con tale atto le parti hanno inteso stipulare un contratto definitivo di compravendita. Essa ha rilevato, al riguardo, che dalle espressioni testuali contenute nell'accordo il signor C. vende la vettura e la signora D. compera il suddetto veicolo , si evince che le parti hanno voluto che il contratto avesse effetto traslativo immediato ed ha spiegato che il riferimento, contenuto nella parte finale della scrittura, all' atto di vendita , quale momento in cui avrebbe dovuto essere versato il saldo, andava riferito alle formalità notarili che seguono al perfezionamento del passaggio di proprietà necessarie per un autoveicolo, ma non certo alla stipula di un nuovo e separato contratto di vendita. Non sussistono, pertanto, i vizi denunciati dalla ricorrente, essendo la decisione impugnata sorretta da una motivazione immune da vizi logici e giuridici, che ha fornito una plausibile e ragionevole ricostruzione della volontà delle parti. È evidente, al contrario, che le censure mosse con il motivo in esame, dirette a sostenere la natura di mero preliminare di vendita del contratto stipulato dalle parti, tendono sostanzialmente ad ottenere un nuovo e diverso apprezzamento del contenuto della scrittura privata in contestazione rispetto a quello compiuto dal giudice di merito, in contrasto con i limiti del sindacato di legittimità riservato a questa Corte. 3 Con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1220, 1181, 1337, 1375 e 1477 c.c., nonché dell'omessa e insufficiente motivazione, per avere la Corte di Appello erroneamente ritenuto illegittimo il rifiuto dell'acquirente di stipulare il contratto definitivo, nonché di accettare la consegna della cosa compravenduta, a seguito dell'avvenuta sottrazione di accessori da parte del venditore. Sostiene che il C. , asportando tali accessori, aveva violato l'obbligo di consegnare la cosa nello stato in cui si trovava al momento della promessa di vendita e che, pertanto, appariva fondata l'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., sollevata dalla convenuta. Il motivo è privo di fondamento. Deve premettersi che la ricorrente non ha impugnato la sentenza impugnata, nella parte in cui ha escluso il dedotto inadempimento del C. all'obbligo di sostituire il motore, sul rilievo che, poiché in base al contratto di compravendita l'attore si era obbligato a sopportare le spese necessarie per la sistemazione del motore, spettava alla D. procedere alla relativa riparazione, 9 mentre il venditore era tenuto solo a pagare il costo degli interventi. Le censure mosse dalla D. , al contrario, attengono esclusivamente al mancato accoglimento dell'eccezione di inadempimento proposta dalla convenuta in relazione alla sottrazione di parte accessorie dell'auto da parte del C. . Ciò posto, si rammenta che, ai sensi dell'art. 1460 comma 2 c.c., l'eccezione di inadempimento è ammessa se il rifiuto di adempiere non sia contrario a buona fede. Tale eccezione, pertanto, deve trovare concreta giustificazione nella gravità della prestazione ineseguita, alla quale si correla la prestazione rifiutata. Ne consegue che, nel caso di contratti con prestazioni corrispettive, ove venga proposta dalla parte l'eccezione inadimplenti non est adimplendum , il giudice deve procedere ad una valutazione comparativa degli opposti adempimenti, avuto riguardo anche alla loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull'equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse per cui, qualora rilevi che l'inadempimento della parte nei cui confronti è opposta l'eccezione non è grave ovvero ha scarsa importanza, in relazione all'interesse dell'altra parte a norma dell'art. 1455 c.c., deve ritenere che il rifiuto di quest'ultima di adempiere la propria obbligazione non sia in buona fede e, quindi, non sia giustificato ai sensi dell'art. 1460 comma 2 c.c. Cass. 3-7-2000 n. 8880 Cass. 16-5-2006 n. 11430 Cass. 6-7-2009 n. 15796 . Nella specie, la Corte territoriale, nel porre a carico dell'attore l'obbligo di fornire l'auto dei cerchi in lega e dell'impianto stereo, da lui arbitrariamente tolti dopo la vendita della vettura, e nello stabilire che, in caso di mancata fornitura di tali pezzi, il prezzo complessivo di vendita andava decurtato di Euro 1.000,00, ha implicitamente ma inequivocamente ritenuto, all'esito di una valutazione comparativa dell'importanza e proporzionalità dei rispettivi inadempimenti, che la sottrazione degli accessori innanzi indicati da parte del venditore non valesse a giustificare, ai sensi dell'art. 1460 c.c., il rifiuto dell'acquirente di adempiere le sue obbligazioni. La valutazione espressa al riguardo si sottrae al sindacato di questa Corte, costituendo espressione di un tipico apprezzamento in fatto riservato al giudice di merito. Né, d'altro canto, alcuna doglianza è stata mossa dalla ricorrente riguardo al rimedio della riduzione del prezzo di vendita, del quale il giudice di appello si è avvalso, in concreto, per assicurare nell'ipotesi di mancata fornitura dei cerchi in lega e dell'impianto autoradio da parte del venditore il ripristino del pieno equilibrio tra le prestazioni rispettivamente assunte dalle parti con il contratto per cui si controverte. 4 Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese sostenute dal resistente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.