All'utilizzatore del bene sono riconosciute tutte le azioni del proprietario

Con la stipula del contratto di leasing all’utilizzatore vengono trasferiti tutti gli oneri attivi e passivi gravanti sul bene, sì che può esercitare a sua tutela tutti i diritti del cessionario. È quanto ribadito dalla sentenza del Tribunale di Piacenza n. 779 del 18 ottobre, che ha risolto una lite relativa ad un sinistro nautico.

Il caso. Il natante dell’attore, detenuto in forza di un leasing e di cui, nelle more del giudizio, era divenuto proprietario, era urtato da un’altra imbarcazione e danneggiato. L’utilizzatore del bene danneggiato adiva, quindi, il tribunale per la refusione dei danni morali e patrimoniali materiali e da vacanza rovinata chiedendo un’ingente somma, accordata in parte dal G.O., citando la danneggiante e la sua assicurazione. Quest’ultima si costituiva, contestava la legittimità ad agire del conduttore e, eccependo un difetto di costruzione dello yacht, chiedeva la chiamata in causa della ditta costruttrice per essere manlevata da ogni responsabilità ed estromessa dalla causa. Il Tribunale, come detto, ha rigettato la prima eccezione della convenuta, ma ha acclarato l’esclusiva responsabilità della costruttrice, condannandola al saldo di tutte le spese risarcimento e competenze legali . L’utilizzatore del bene in leasing ha sempre diritto ad agire per la sua tutela. Chiunque eserciti un potere materiale sulla cosa indipendentemente dal potere domenicale sulla stessa , può subire un pregiudizio patrimoniale dal suo danneggiamento, essendo a suo carico le spese per le relative ed obbligatorie , opere di manutenzione cfr ex multis Cass. civ. sez. III nn. 534/11, 21011/10, 15233/07 . Ciò trova conferma anche nelle norme regolanti le tipologie contrattuali che costituiscono questa peculiare figura negoziale vendita con riservato dominio e locazione . Nel primo caso l’art. 1573 c.c. prevede espressamente che gli obblighi ed i diritti riconosciuti al proprietario siano traslati al terzo cui sia stato ceduto il bene. Lo stesso è sancito dagli artt. 1576-1584 ss c.c. e dalle disposizioni sul possesso e sulla detenzione 1149 ss, azioni possessorie . La garanzia sul bene può essere estesa al produttore? Tra le varie questioni preliminari affrontate la principale è quella sulla possibilità di chiamare in causa ex art. 106 cpc. Il GO., nel riconoscere questa facoltà, rileva come essa sia automatica, ma che non abbia valore di garanzia impropria, avente cioè una causa petendi diversa da quella dedotta dall’attore , bensì è una garanzia propria è un’estromissione con effetto liberatorio. È così colmata la lacuna della citazione ed il terzo chiamato diventa l’unico convenuto. Il rapporto, dunque, è unico cfr. Cass. civ. nn. 6883,25559 e 17974/08, 2471/00 e conformi . Nella fattispecie, stante la Ctu e la relazione della competente Capitaneria di porto, era incontrovertibile che il danno era stato causato da un malfunzionamento del sistema di propulsione del panfilo che aveva vanificato tutti gli sforzi del pilota atti ad evitare l’impatto col natante attoreo. Si ricordi che lo stesso Tribunale ha negato la chiamata in causa della ditta che ha costruito o fornito il pezzo difettoso, anche perché presentata tardivamente nella precisazione delle conclusioni. Indennizzo diretto o domanda risarcitoria? Le parti hanno errato nel sussumere la lite sotto la disciplina del D.lgs. 209/05 e DPR 254/06 recante il regolamento di attuazione , non applicabile a questa materia, regolata dall’art. 2 L.990/1969 ratione temporis vigente . È escluso, dunque, l’indennizzo diretto contro l’assicuratore di unità da diporto nel caso di danni alle sole cose Cass. 1056/1994 . Questa norma, invero, è stata assorbita dall’art. 123 del codice delle assicurazioni che lo nega nelle ipotesi analoghe a quella in esame degli artt. 143-148 e 283.

Anche l'avvocato di uno studio legale associato paga l'IRAP non è detto che il reddito prodotto dal professionista sia esclusivamente frutto della professionalità del singolo collaboratore. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 20499, depositata lo scorso 6 ottobre. La fattispecie. In primo e in secondo grado un avvocato vedeva accolto il ricorso proposto contro il silenzio rifiuto formatosi sull'istanza di rimborso IRAP, poiché, ad avviso dei giudici di merito, mancava il requisito dell'abituale esercizio di un'attività autonomamente organizzata, diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, essendo il professionista inserito in uno studio legale associato. Questo verdetto viene però completamente ribaltato dalla Corte di Cassazione. Lavorare in uno studio associato non esclude l'autonoma organizzazione. In particolare, la Suprema Corte afferma che l'esercizio in forma associata di un'attività liberale é circostanza di per sé idonea a far presumere l'esistenza di un'autonoma organizzazione di strutture e mezzi, nonché dell'intento di avvalersi della reciproca collaborazione e competenze, ovvero della sostituibilità nell'espletamento di alcune incombenze per cui può ritenersi, salvo prova contraria da parte del contribuente, che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente della professionalità del singolo collaboratore. Il reddito prodotto dall'avvocato è ascrivibile anche all'organizzazione costituita dallo studio associato. Nel caso concreto, secondo i giudici di legittimità, la CTR ha sbagliato nell'escludere l'applicabilità dell'IRAP per essere l'avvocato collaboratore di uno studio legale associato, senza poi dare in alcun modo atto degli eventuali elementi di prova che potevano indurre a ritenere che il reddito dallo stesso prodotto non fosse in alcun modo ascrivibile all'organizzazione costituita dallo studio associato. E ciò, soprattutto a fronte delle allegazioni dell'Ufficio, secondo cui il legale aveva percepito redditi cospicui dallo studio associato, con indicazione specifica degli elementi dai quali poteva desumersi tale elevata redditualità, imputabile all'organizzazione. Pertanto, alla S.C. non resta che accogliere il ricorso del Fisco.