La nuova canna fumaria va demolita se pericolosa e in violazione delle distanze

La ratio dell'art. 890 c.c. è quella di evitare che fumi nocivi ed intollerabili emessi dalle canne fumarie invadano le abitazioni e, trattandosi di tetti che coprono il medesimo fabbricato ad altezza diversa, tale scopo può essere raggiunto avendo come riferimento, per il calcolo delle distanze, il c.d. colmo del tetto , cioè la parte più alta dell'intero fabbricato e non già il tetto di copertura della porzione più bassa del medesimo fabbricato.

Il caso. Tizia, lamentando la violazione delle distanze previste dall'articolo 890 c.c. in combinato disposto con l'articolo 32 del Reg. Edilizio, aveva chiesto al giudice adito la rimozione della canna fumaria realizzata da Caio sul tetto dell'edificio e adiacente alla finestra della ricorrente. Quest’ultimo, costituendosi in giudizio, eccepiva che il manufatto era esistente fin dal 1967 e che, nel dicembre del 2003, era stato interessato da un intervento di manutenzione che non ne aveva alterato la precedente funzione. Nel giudizio di primo grado la domanda era stata respinta. Successivamente, la Corte territoriale accoglieva il gravame proposto da Tizia. In particolare, secondo la Corte di merito, ai fini della conformità della canna fumaria alle prescrizioni del Regolamento, l’altezza della canna fumaria non era quella del tetto sul quale la stessa insisteva, bensì quella del colmo della più alta copertura del fabbricato comune. Inoltre, l’intervento edilizio realizzato non poteva essere inteso come una semplice ristrutturazione. Le contestazioni. Avverso il provvedimento in esame, Caio proponeva ricorso in Cassazione eccependo che la Corte territoriale aveva errato nel ritenere che l'intervento edilizio del 2003 costituiva una nuova costruzione quando, di contro, tale mutamento doveva essere ricondotto alla categoria degli interventi di ristrutturazione. Inoltre, il ricorrente contestava il ragionamento della determinazione dell'altezza necessaria all'installazione di una canna fumaria. La qualifica di nuova costruzione. Secondo la S.C., la Corte distrettuale aveva fatto corretta applicazione dei principi di diritto in materia di costruzione . Difatti è ravvisabile una nuova costruzione quando l'opera di modifica si traduce non soltanto nella realizzazione ex novo ” di un fabbricato, ma anche in qualsiasi modificazione della volumetria dell’edificio preesistente che ne comporti un aumento della volumetria Cass. numero 28612/2020 . Dunque, ai fini dell'osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dagli artt. 873 e seguenti c.c. e delle norme dei regolamenti locali integrativi della disciplina codicistica, la nozione di costruzione è unica e non si identifica con quella di edificio, ma si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione al suolo anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso a un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell'opera stessa Cass. numero 24473/2017 . Pertanto, l'intervento edilizio effettuato nel 2003 non poteva essere inteso come una semplice ristrutturazione di una canna fumaria preesistente ma come una nuova costruzione perché non erano rimasti invariati volume e dimensioni del manufatto. Presunzione di pericolosità. A tal proposito, in giurisprudenza, è stato sostenuto che in presenza di un regolamento anche locale che disciplina il profilo delle distanze, vige una presunzione di pericolosità assoluta la quale preclude qualsiasi accertamento concreto Cass. numero 22389/2009, mentre, in difetto di una disposizione regolamentare, si ha pur sempre una presunzione di pericolosità, seppure relativa, che può essere superata ove la parte interessata al mantenimento del manufatto dimostri che mediante opportuni accorgimenti può ovviarsi al pericolo o al danno del fondo vicino. Detto ciò, poiché il fabbricato oggetto di giudizio risultava coperto da due tetti strutturalmente autonomi, secondo la S.C., la Corte di merito aveva correttamente preso in considerazione, per verificare la conformità della canna fumaria alle prescrizioni del Regolamento, non il tetto sul quale la stessa insisteva ma il colmo della più alta copertura del fabbricato comune. La violazione delle distanze. Nella vicenda, a seguito di CTU, la canna fumaria si trovava a mt 3,375 di distanza dalla finestra dell’attrice mentre l'articolo 32 del Reg. Edilizio prevedeva una distanza minima di dieci metri da ogni finestra posta a quota uguale o superiore inoltre detta canna fumaria superava l'altezza della finestra di soli 0,87 metri e non di un metro come prescritto dallo strumento urbanistico. Pertanto, secondo la S.C., era corretta la decisione della Corte di merito di disporre la demolizione, resa peraltro necessaria dalle esigenze di stabilità della canna fumaria. In conclusione, per i motivi esposti, il ricorso di Caio è stato dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 5 marzo – 3 giugno 2021, n. 15441 Presidente Lombardo – Relatore Giannaccari Fatti di causa 1. Con ricorso del 2004, D.G.E. , lamentando la violazione delle distanze previste dall’art. 890 c.c., in combinato disposto con il Reg. Edilizio del Comune di , art. 32, chiedeva ex art. 1170 c.c., artt. 703 e 669 bis c.p.c., la rimozione della canna fumaria realizzata nel dicembre 2003 da Di.Gi.Ev. sul tetto dell’edificio di quest’ultimo e adiacente alla finestra della ricorrente. 1.1. Si costituiva nel giudizio possessorio Di.Gi.Ev. ed eccepiva dall’azione cautelare, rilevando come il manufatto era esistente fin dal 1967 e che, nel dicembre del 2003, era stato interessato da un intervento di manutenzione che non ne aveva alterato la precedente funzione chiedeva, altresì, l’accertamento dell’acquisto per usucapione del diritto a mantenere la canna fumaria in quella posizione e a quella distanza. 1.2. Il Tribunale di Rieti rigettava la domanda svolte dalla D.G.E. , ritenendo insussistente alcuna lesione della situazione possessoria invocata dalla ricorrente. Il giudice di prime cure fondava il proprio orientamento su un’esegesi del Reg. Comunale di , art. 32, - che, testualmente, recita tanto gli impianti collettivi di riscaldamento che quelli singoli, nonché gli scaldabagni e i camini debbono essere muniti di canne fumarie indipendenti, prolungate per almeno un metro al di sopra del tetto o della terrazza la fuoriuscita dei fumi deve verificarsi a non meno di 10 m. da qualsiasi finestra a quota uguale o superiore -, concludendo per la piena conformità del manufatto alla prescrizioni urbanistiche, dimostrata dal fatto che la canna fumaria del convenuto si erge, rispetto alla falda del tetto sul quale è ubicata, per un’altezza ben superiore a quella minima di 1 metro e che la stessa, essendo di 0,87 m. più alta della finestra della D.G.E. , non doveva rispettare da quest’ultima la distanza minima di 10 m. stabilita dal Reg. summenzionato, art. 32. 1.3. Avverso tale statuizione interponeva gravame la D.G.E. , lamentando il carattere fuorviante dell’interpretazione accolta dal Tribunale di Rieti. In particolare, sosteneva parte appellante, come il giudice di prime cure avesse errato nel rapportare l’altezza minima della canna fumaria prescritta dal Regolamento comunale alla porzione di tetto o terrazza nella quale la stessa risulta inserita, dovendosi, di contro, come comprovato dall’elaborato peritale del CTU e dai pareri adottati dall’Azienda U.S.L. di , prendere in considerazione, stante il carattere unico del fabbricato che ospita gli appartamenti di entrambe le parti processuali, il c.d. colmo del tetto , cioè la parte più alta dell’intero fabbricato e non già il tetto di copertura della porzione più bassa del medesimo fabbricato. 1.5. Con la sentenza quivi impugnata, la Corte d’appello di Roma accoglieva il gravame proposto da parte appellante. La corte di merito osservava che il fabbricato oggetto di giudizio - che ospita gli appartamenti delle due parti in causa - risulta coperto da due tetti strutturalmente autonomi - dei quali quello che copre l’appartamento del D.G.S. è posto più in basso - e, stante la situazione dei luoghi così descritta, l’altezza che deve essere presa in considerazione per verificare la conformità della canna fumaria alle prescrizioni del Regolamento non è quella del tetto sul quale la stessa insiste, bensì quella del colmo della più alta copertura del fabbricato comune, in ossequio a quella che è la ratio legis del Regolamento citato, art. 32, ovvero quella di evitare che fumi nocivi ed intollerabili emessi dalle canne fumarie invadano le abitazioni. La corte accertava quindi la violazione di cui al Reg. Edilizio, art. 32, e, non potendolo condannare, per ragioni di stabilità, al mero prolungamento della canna fumaria in modo da superare di un metro il tetto più alto, condannava l’appellato a rimuoverla. Ciò posto, rigettava l’appello incidentale proposto dal D.G. , non potendo dirsi maturato l’usucapione in suo favore. A tal proposito, osservava come l’intervento edilizio effettuato da quest’ultimo nel 2003 non potesse essere inteso come una semplice ristrutturazione di una canna fumaria preesistente, la quale, per essere intesa come tale, avrebbe dovuto lasciare invariato il volume e le dimensioni del manufatto. Alla luce di ciò, concludeva per la realizzazione, da parte del D.G. , di una nuova costruzione, in quanto tale non soggetta ad usucapione per mancato decorso temporale. 2.Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso D.G.S. sulla base di due motivi. 2.1. Ha resistito con controricorso D.G.E. . 2.3. Il relatore ha formulato proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., di inammissibilità del ricorso. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso, si censura la violazione degli artt. 1168, 1170, 1158 c.c., e della L. n. 457 del 1978, art. 31, nonché la carente o insufficiente motivazione relativa alla statuizione adottata dalla corte distrettuale di rigettare l’appello incidentale proposto dal D.G. volto all’accertamento dell’acquisto per usucapione della canna fumaria, erroneamente ritenendo che la stessa, in seguito all’intervento edilizio del 2003, fosse da intendere, stante le modifiche apportate in termini di volume e dimensione, quale nuova costruzione quando, di contro, siffatto mutamento andrebbe ricondotto alla categoria degli interventi di ristrutturazione edilizia di un’opera esistente, in quanto tale inidoneo ad interrompere il decorso del termine necessario ad usucapire il bene. 1.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1. 1.2. La corte distrettuale, nel qualificare l’intervento edilizio del 2003 della canna fumaria quale nuova costruzione e non già quale opera di ristrutturazione edilizia, ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto in materia di costruzione . 1.3. Come noto, difatti, è ravvisabile una nuova costruzione quando l’opera di modifica si traduce non soltanto nella realizzazione ex novo di un fabbricato, ma anche in qualsiasi modificazione della volumetria dell’edificio preesistente che ne comporti un aumento della volumetria Cass. civ. sez. II, n. 28612 del 15.12.2020 Cass. civ., sez. II, n. 10873 del 25.05.2016 . 1.4. Ai fini dell’osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dall’art. 873 c.c. e seguenti, e delle norme dei regolamenti locali integrativi della disciplina codicistica, la nozione di costruzione è unica e non si identifica con quella di edificio, ma si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione al suolo anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso a un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell’opera stessa Cassazione civile, sez. II, 17/10/2017, n. 24473 . 1.5. Dall’orientamento menzionato si ricava che, conformemente a quanto statuito dalla corte di merito, è ravvisabile una nuova costruzione ogniqualvolta l’opera originariamente esistente subisca variazioni in termini di superficie o volume. 1.6. La corte di merito, con accertamento di fatto incensurabile in sede di legittimità, ha accertato come l’intervento edilizio effettuato da quest’ultimo nel 2003 non potesse essere inteso come una semplice ristrutturazione di una canna fumaria preesistente ma come una nuova costruzione perché non erano rimasti invariati volume e dimensioni del manufatto. 2. Con il secondo motivo di ricorso, si censura la violazione dell’art. 890 c.c., in combinato disposto con il Reg. Edilizio del comune di , art. 32, nonché la carenza, mancanza ed illogicità della motivazione, per avere la Corte d’appello erroneamente interpretato la previsione normativa dello strumento urbanistico ritenendo che, ai fini della determinazione dell’altezza necessaria all’installazione di una canna fumaria, dovesse aversi riguardo non già al tetto sul quale la canna fumaria insiste bensì alla parte più alta del fabbricato comune. Inoltre, la Corte avrebbe, altresì, errato nel ritenere impossibile un innalzamento della canna fumaria fino al raggiungimento dell’altezza di legge, non essendo siffatta conclusione avvalorata da alcun supporto giuridico o scientifico. 2.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1. 2.2. La canna fumaria assolvendo alla stessa funzione dei camini, soggiace alla disciplina dettata in tema di distanze per fabbriche e depositi nocivi e pericolosi descritta dall’art. 890 c.c Tali elementi, se apposti nei pressi del confine con un fondo alieno, devono osservare le distanze stabilite dai regolamenti e in mancanza quelle necessarie ad assicurare la sicurezza, la solidità e la salubrità dei fondi finitimi. 2.3. In presenza di un regolamento anche locale che disciplina il profilo delle distanze, per costante giurisprudenza di questa Corte condivisa dal collegio, vige una presunzione di pericolosità assoluta la quale preclude qualsiasi accertamento concreto Cassazione civile sez. II, 22/10/2009, n. 22389 mentre, in difetto di una disposizione regolamentare, si ha pur sempre una presunzione di pericolosità, seppure relativa, che può essere superata ove la parte interessata al mantenimento del manufatto dimostri che mediante opportuni accorgimenti può ovviarsi al pericolo o al danno del fondo vicino. 2.4. Il Reg. Comunale di , art. 32, prevede tanto gli impianti collettivi di riscaldamento che quelli singoli, nonché gli scaldabagni e i camini debbono essere muniti di canne fumarie indipendenti, prolungate per almeno un metro al di sopra del tetto o della terrazza la fuoriuscita dei fumi deve verificarsi a non meno di 10 m. da qualsiasi finestra a quota uguale o superiore . 2.5. Poiché il fabbricato oggetto di giudizio - che ospita gli appartamenti delle due parti in causa - risulta coperto da due tetti strutturalmente autonomi - dei quali quello che copre l’appartamento del D.G.S. è posto più in basso - la corte di merito ha correttamente preso in considerazione, per verificare la conformità della canna fumaria alle prescrizioni del Regolamento, non il tetto sul quale la stessa insiste ma il colmo della più alta copertura del fabbricato comune. 2.6. La ratio dell’art. 890 c.c., è quella di evitare che fumi nocivi ed intollerabili emessi dalle canne fumarie invadano le abitazioni e, trattandosi di tetti che coprono il medesimo fabbricato ad altezza diversa, tale scopo può essere raggiunto avendo come riferimento, per il calcolo delle distanze, il c.d. colmo del tetto , cioè la parte più alta dell’intero fabbricato e non già il tetto di copertura della porzione più bassa del medesimo fabbricato. 2.7.La corte di merito, sulla base delle risultanze istruttorie acquisite - elaborato peritale del CTU e nota del 03.06.2003 dell’Azienda Unità Sanitaria Locale di - ha accertato che la canna fumaria si trovava a mt 3,375 di distanza dalla finestra di D.G.E. mentre il Reg. Edilizio, art. 32, prescrive una distanza minima di dieci metri da ogni finestra posta a quota uguale o superiore inoltre detta canna fumaria superava l’altezza della finestra di soli 0,87 metri e non di un metro come prescritto dallo strumento urbanistico. 2.8. Poiché entrambi i requisiti devono essere rispettati, è corretta la decisione della corte di merito di disporre la demolizione, resa peraltro necessaria dalle esigenze di stabilità della canna fumaria. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.