E’ legittima l’azione del Condominio diretta a tutelare il bene comune nel rispetto dei limiti dell’art. 1102 c.c.

Il condomino che si serve del muro perimetrale per ricavarne maggiore vantaggio nel godimento di una unità immobiliare già strutturalmente e funzionalmente collegata al bene comune, lo fa nell’esercizio del diritto di Condominio, i cui limiti sono segnati dall’art. 1102 c.c., non avvalendosi di una servitù.

Così la Corte di Cassazione, sez. II Civile, con l’ordinanza numero 7884/21 depositata il 19 marzo. Il caso. Un Condominio proponeva innanzi al Tribunale domanda diretta ad ottenere il ripristino dello stato dei luoghi stante l’illegittimità dell’apertura praticata da una condomina nella ringhiera del balcone di sua proprietà, apertura che le consentiva di scendere direttamente nel cortile comune. Si costituiva la convenuta la quale pregiudizialmente eccepiva il difetto di procura alle liti conferito dall’amministratore e, nel merito, affermava la legittimità del proprio operato e di aver già provveduto al ripristino dello stato dei luoghi in modo stabile e definitivo. Il giudice di primo grado accoglieva la domanda dell’attore, ordinando il ripristino dello stato dei luoghi. Avverso tale pronuncia veniva proposto gravame innanzi Corte di Appello che confermava la sentenza di prime cure. Avverso la decisione del giudice del gravame, la condomina proponeva ricorso in cassazione adducendo cinque motivi. Con il primo motivo, la ricorrente eccepiva la violazione e falsa applicazione degli artt. 1102 e 2697 c.c., negando che il varco nella ringhiera del balcone, aperto dalla stessa, determinasse una costituzione di servitù con riguardo al cortile condominiale. Con il secondo motivo, la condomina deduceva l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e l’omesso esame circa un fatto decisivo, sostenendo che, nel corso del giudizio di primo grado, la stessa aveva chiesto di provare mediante testimoni e CTU, che la chiusura della ringhiera era stata già eseguita in epoca antecedente all’atto di citazione, ma tale istanza, reiterata anche in appello, non era stata ammessa. Con il terzo motivo, eccepiva il vizio di procura alle liti conferita dall’amministratore senza spendita del nome del Condominio e della sua qualità di capo condomino. Con il quarto motivo, contestava il difetto di legittimazione attiva dell’amministratore, stante la carenza di apposita deliberazione autorizzativa dell’assemblea. Con il quinto motivo, contestava l’interesse ad agire del Condominio dopo che la ringhiera era stata comunque chiusa con lo specifico collante. Il Condominio resisteva, con controricorso. La procura alle liti può essere conferita dall’amministratore anche in assenza di delibera. La Suprema Corte ritiene opportuno esaminare congiuntamente, in quanto connessi, il terzo e quarto motivo del ricorso questi due motivi sono inammissibili ex art. 360 bis, numero 1, c.p.c. Si afferma che l’azione promossa dal Condominio per ottenere la declaratoria di illegittimità della modifica operata dalla condomina, non è una negatoria servitus giacchè ciascun condomino è libero di servirsi della cosa comune, anche per fine esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilità, sicchè il condomino agisce nell’esercizio del diritto di Condominio, i cui limiti sono segnati dall’art. 1102 c.c. e non avvalendosi di servitù. La Cassazione precisa altresì che la denuncia dell’abuso della cosa comune da parte di un condomino rientra tra gli atti conservativi inerenti alle parti comuni dell’edificio che spetta di compiere all’amministratore, ai sensi dell’art. 1130, numero 4, c.c., senza alcuna necessità di autorizzazione dell’assemblea dei condomini Cass. 25 maggio 2016, numero 10865 . La procura alle liti conferita dall’amministratore è poi valida anche se la persona fisica che la conferisce non indichi espressamente la qualità di rappresentante, purchè tale qualità risulti dall’intestazione o anche dal contesto dell’atto. Il condomino è libero di servirsi della cosa comune senza avvalersi di una servitù. La Suprema Corte esamina congiuntamente il primo, il secondo e quinto motivo del ricorso, in particolare il secondo e il quinto motivo vanno integralmente rigettati atteso che le prove che la ricorrente lamenta non essere state ammesse si rivelano prive di decisività per il primo motivo gli ermellini hanno ritenuto che la modifica eseguita sulla ringhiera del balcone per accedere al cortile condominiale non costituisse uso illegittimo della cosa, pertanto, ne consegue, che non vi è ragione di negare l’interesse ad agire del Condominio per ottenere l’accertamento del dedotto abuso. In conclusione, i motivi di censura sono stati considerati infondati ed il ricorso è stato rigettato, con condanna della ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore della parte contro ricorrente.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 9 febbraio – 19 marzo 2021, n. 7884 Presidente Gorjan – Relatore Scarpa Fatti di causa e ragioni della decisione 1. A.A.M. ha proposto ricorso articolato in cinque motivi avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 54/2016, pubblicata il 15 gennaio 2016. 2. Resiste con controricorso il Condominio OMISSIS . 3. La Corte d’appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale di Torino del 15 aprile 2013 che, accogliendo la domanda del Condominio OMISSIS , aveva ordinato alla condomina A.A.M. di ripristinare lo stato dei luoghi, stante l’illegittimità dell’apertura praticata dalla convenuta nella ringhiera del balcone di sua proprietà, apertura che le consentiva di scendere direttamente nel cortile comune. Disattesa la questione pregiudiziale in ordine alla procura alle liti conferita dall’amministratore P.M. , da intendersi sottoscritta dalla stesso nella qualità , la Corte di Torino ha anche affermato la sussistenza della legittimazione dell’amministratore, ex art. 1130 c.c., alla azione negatoria servitutis esercitata. I giudici di secondo grado hanno evidenziato altresì come la condomina A.A.M. , all’assemblea del 22 maggio 2008, si fosse espressamente impegnata a saldare la ringhiera del proprio balcone, non essendoci comunque prova che la convenuta avesse provveduto a tale saldatura in modo stabile e definitivo. 4. La trattazione del ricorso è stata fissata in Camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e art. 380 bis.1 c.p.c La ricorrente ha depositato memoria. 5. Il primo motivo di ricorso di A.A.M. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1102 e 2697 c.c., nonché degli artt. 112 e 115 c.p.c., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e l’omesso esame circa un fatto decisivo. Il motivo è volto a negare che il varco nella ringhiera del balcone, aperto dalla ricorrente, determinasse una costituzione di servitù, o una violazione dell’art. 1102 c.c., con riguardo al cortile condominiale. Il secondo motivo di ricorso di A.A.M. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1102 e 2697 c.c., nonché degli artt. 112 e 115 c.p.c. e dell’art. 24 Cost., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e l’omesso esame circa un fatto decisivo. Qui la ricorrente deduce che aveva offerto di provare mediante testimoni e CTU sin dal primo grado che la chiusura della ringhiera era già stata eseguita in epoca antecedente alla citazione introduttiva del giudizio tale istanza di prova era stata vanamente reiterata anche in appello, senza essere ammessa. Il terzo motivo di ricorso denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e l’omesso esame circa un fatto decisivo, quanto al vizio della procura alle lite conferita dal geometra P. senza spendita del nome del Condominio e della sua qualità di amministratore. Il quarto motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1130, 1131 e 1136 c.c., degli artt. 112 e 115 c.p.c., ed ancora l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, il vizio logico di ragionamento e l’omesso esame circa un fatto decisivo, con riguardo al difetto di legittimazione attiva dell’amministratore, stante la carenza di apposita deliberazione autorizzativa dell’assemblea. Il quinto motivo di ricorso allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 100, 112 e 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., ed ancora l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, il vizio logico di ragionamento e l’omesso esame circa un fatto decisivo. Si contesta la ravvisabilità dell’interesse ad agire del Condominio dopo che la ringhiera era stata comunque chiusa con uno specifico collante. 5.1. Tutti e cinque i motivi sono accomunati dalla inammissibilità della denuncia del vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione nel vigore del testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 , introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134, tale vizio non è più configurabile. La norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, e cioè di un fatto storico, di un evento naturalistico, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e che abbia, appunto carattere decisivo vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia , mai perciò ravvisandosi il vizio ipotizzato qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice. 5.2.Assumono poi evidentemente rilievo pregiudiziale il terzo ed il quarto motivo di ricorso, che possono esaminarsi congiuntamente, in quanto connessi. Questi due motivi sono inammissibili ex art. 360 bis c.p.c., n. 1. Si ha riguardo a causa concernente un varco creato da una condomina nel balcone dell’unità immobiliare di sua proprietà esclusiva per consentire l’accesso diretto al cortile condominiale. L’azione promossa dal Condominio per ottenere la declaratoria di illegittimità di questa modificazione, a differenza di quanto opinato nella sentenza impugnata la cui motivazione va perciò corretta e di quanto sostenuto nello stesso ricorso, non è, dunque una negatoria servitutis, giacché ciascun condomino è libero di servirsi della cosa comune, anche per fine esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilità, sicché il condomino che si serve del muro perimetrale per ricavarne maggiore vantaggio nel godimento di un’unità immobiliare già strutturalmente e funzionalmente collegata al bene comune lo fa nell’esercizio del diritto di condominio, i cui limiti sono segnati dall’art. 1102 c.c. e non avvalendosi di una servitù. Allorquando, come nel caso in esame, oggetto della lite sia l’abuso della cosa comune da parte di uno dei condomini, deve riconoscersi all’amministratore il potere di agire in giudizio, al fine di costringere il condomino inadempiente alla osservanza dei limiti fissati dall’art. 1102 c.c In tale ipotesi, l’interesse, di cui l’amministratore domanda la tutela, è un interesse comune, in quanto riguarda la disciplina dello uso di un bene comune, il cui godimento limitato da parte di ciascun partecipante assicura il miglior godimento di tutti. La denuncia dell’abuso della cosa comune da parte di un condonino rientra, pertanto, tra gli atti conservativi inerenti alle parti comuni dell’edificio che spetta di compiere all’amministratore, ai sensi dell’art. 1130 c.c., n. 4, senza alcuna necessità di autorizzazione dell’assemblea dei condomini Cass. Sez. 2, 03/05/2001, n. 6190 Cass. Sez. 2, 12/10/2000, n. 13611 Cass. Sez. 2, 11/12/1972, n. 3561 Cass. Sez. 2, 11/05/1962, n. 943 . L’amministratore di condominio, per conferire procura al difensore al fine di costituirsi in giudizio nelle cause che rientrano nell’ambito delle proprie attribuzioni, neppure necessita di alcuna autorizzazione assembleare Cass. Sez. 2, 25/05/2016, n. 10865 . La procura alle liti conferita dall’amministratore di condominio è poi valida anche se la persona fisica che la conferisce non indichi espressamente la qualità di rappresentante dei partecipanti ex artt. 1130 e 1131 c.c., purché tale qualità risulti dall’intestazione o anche dal contesto dell’atto cui inerisce, attesa la possibilità che nel conferimento della procura alle liti la spendita del nome assuma forme implicite arg. da Cass. Cass. Sez. 3, 05/08/2002, n. 11710 Cass. Sez. 3, 22/06/2007, n. 14599 . 5.3. Vanno quindi esaminati, sempre congiuntamente, il primo, il secondo ed il quinto motivo di ricorso. Esulava dal tema di lite devoluto al giudice d’appello, sulla base delle tre censure contenute nell’atto di gravame interposto da A.A.M. come indicate a pagina 3 della sentenza impugnata ed esposte dalla stessa ricorrente nelle pagine da 5 ad 8 del ricorso , il profilo della legittimità della modificazione eseguita dalla condomina in rapporto ai limiti nell’uso della cosa comune posti dall’art. 1102 c.c., sicché sono inammissibili le questioni che si fanno al riguardo nel primo motivo del ricorso per cassazione. Il secondo ed il quinto motivo sono del pari da respingere in quanto entrambi volti a contrastare in via deduttiva l’accertamento di fatto contenuto nella impugnata sentenza, secondo cui la ringhiera oggetto di lite non risultava essere stata chiusa già prima dell’inizio del giudizio. D’altro canto, le prove che la ricorrente lamenta non essere state ammesse, appunto circa la chiusura della ringhiera con un collante eseguita dalla A. prima del maggio 2010, si rivelano prive di decisività. La domanda azionata dall’amministratore di condomino in base al disposto dell’art. 1102 c.c., ed avente quale fine il ripristino dello status quo ante di una cosa comune illegittimamente alterata da un o condomino, ha natura reale, in quanto si fonda sull’accertamento dei limiti del diritto di comproprietà su un bene. L’attuale ricorrente, ancora col primo motivo di ricorso, ha sostenuto che la modifica eseguita sulla ringhiera del balcone per accedere al cortile condominiale non costituisse affatto un uso illegittimo della cosa comune, sicché non vi è ragione di negare l’interesse del Condominio ad agire comunque per ottenere l’accertamento del dedotto abuso ex art. 1102 c.c Il difetto di interesse ad agire per l’accertamento della illegittimità dell’uso di una cosa comune consistente nell’esecuzione di un’opera innovativa si verifica solo quando prima o nel corso del processo sopravvenga una situazione che elimini ogni posizione di contrasto tra le parti, facendo venir meno la necessità della pronunzia del giudice. Tale situazione non ricorre comunque ove l’autore dell’opera, pur avendo rimosso il manufatto, non accompagni a tale comportamento il riconoscimento, espresso o implicito, della fondatezza della domanda avversa arg. da Cass. Sez. 2, 22/03/2002, n. 4127 . 6. Il ricorso va perciò rigettato. 9. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza in favore del controricorrente. Sussistono i presupposti processuali per il versamento - ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater - da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare le spese sostenute nel giudizio di cassazione dal controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.