Il conduttore subentrante in un immobile risponde in proprio in caso di condanna ad un non facere

L’accertamento contenuto nella sentenza costituente titolo esecutivo relativo allo svolgimento all’interno di un immobile di una attività contraria al regolamento di condominio produce effetti anche nei confronti di un nuovo e diverso conduttore che ha conseguito la detenzione dell’immobile solo dopo la formazione del suddetto titolo esecutivo.

Il caso. Gli opponenti, proprietari di un immobile, condotto in locazione da una società che svolgeva attività trasgressiva , in violazione del regolamento condominiale, proponevano opposizione all’esecuzione , ai sensi dell’art. 615 c.p.c., avverso l’atto di precetto di pagamento a loro intimato, da una condomina-opposta, sulla base di un titolo esecutivo costituito da una sentenza che li aveva condannati al pagamento di una somma di denaro, ai sensi dell’art. 614- bis c.p.c., per ogni giorno di inosservanza al divieto di svolgimento, in un appartamento di loro proprietà, di una determinata attività contraria al regolamento condominiale. L’opposizione veniva rigettata dal Tribunale competente, e la pronuncia di primo grado veniva confermato dalla Corte di Appello. Avverso la decisione del giudice del gravame, gli appellanti proponevano ricorso in Cassazione eccependo la violazione dell’art. 2909 c.c., dell’art. 24 Cost., nonché degli artt. 2043 c.c. e 3 e 24, comma 1, Cost, art. 6, comma 1, Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. Inosservanza dell’obbligo di non facere. Per il primo motivo di ricorso, esaminato dai Giudici di legittimità, gli stessi hanno evidenziato la manifesta infondatezza e la parziale inammissibilità della censura mossa dai ricorrenti in ordine al fatto che l’accertamento contenuto nel titolo esecutivo non avrebbe valore in relazione all’attività svolta da una nuova conduttrice dell’immobile, subentrata alla precedente dopo l’emanazione della sentenza di primo grado. La Suprema Corte ritiene che, come correttamente osservato dalla Corte di Appello, la pronuncia di cui al titolo esecutivo consistente nella condanna a cessare lo svolgimento dell’attività ritenuta contraria al regolamento di condominio nell’immobile dei ricorrenti, era stata emessa anche direttamente nei confronti di questi ultimi, così come la condanna al pagamento di una somma di denaro per l’eventuale inosservanza dell’obbligo. Di conseguenza, il titolo aveva efficacia diretta nei loro confronti, anche nella parte relativa al pagamento della somma di denaro per l’inosservanza dell’obbligo di non facere, ai sensi dell’art. 614- bis c.p.c., per il solo fatto che l’attività vietata continuasse ad essere svolto nel loro immobile, e ciò indipendentemente del relativo conduttore la cui la mancata partecipazione al giudizio era irrilevante. Giudicato esterno. Con riferimento all’accertamento della violazione del divieto sanzionato nel titolo con il pagamento di una somma di denaro, la censura risulta inammissibile, in tal senso gli Ermellini si sono espressi condividendo quanto accertato dalla Corte di Appello, ritenendo che l’ attività originariamente svolta dalla prima conduttrice, aveva continuato ad essere svolta nei locali di proprietà dei ricorrenti anche dalla nuova conduttrice che aveva di fatto riaperto la medesima attività contraria al regolamento condominiale. Tali accertamenti venivano operati dalla Corte territoriale sulla base della valutazione del materiale istruttoria acquisito nel corso del giudizio La Cassazione, per orientamento costante, sostiene che l’ interpretazione del titolo esecutivo compiuto dal giudice dell’esecuzione o da quello chiamato a sindacarne l’operato nell’ambito delle opposizioni esecutive, si risolve nell’apprezzamento di un fatto, come tale incensurabile in Cassazione se esente da vizi logici o giuridici, senza che possa diversamente opinarsi alla luce dei poteri di rilievo officioso e diretta interpretazione del giudicato esterno da parte del giudice di legittimità, atteso che, in sede di esecuzione, il provvedimento passato ingiudicato, pur ponendosi come giudicato esterno ” in quanto decisione assunta fuori dal processo esecutivo , non opera come decisione della controversia, bensì come titolo esecutivo e, pertanto, non va inteso come momento terminale della funzione cognitiva del giudice, ma come presupposto fattuale dell’esecuzione, ossia come condizione necessaria e sufficiente per procedere ad essa Cass. ord. 13 giugno 2018, n. 15538 . In conclusione , i motivi di censura sono stati considerati infondati ed inammissibili, il ricorso è stato rigettato, con condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese di lite in favore della parte contro ricorrente.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 5 novembre – 18 dicembre 2020, n. 29131 Presidente De Stefano – Relatore Tatangelo Fatti di causa M.C.A. e Pr.Ma. hanno proposto opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., avverso l’atto di precetto di pagamento loro intimato da P.S. sulla base di titolo esecutivo costituito da una sentenza che li aveva condannati al pagamento di una somma di danaro ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c., per ogni giorno di inosservanza al divieto di svolgimento, in un appartamento di loro proprietà, di una determinata attività contraria al regolamento di condominio. L’opposizione è stata rigettata dal Tribunale di Milano. La Corte di Appello di Milano ha confermato la decisione di primo grado. Ricorrono M.C.A. , M.L. e M.G. anche nella qualità di eredi di Pr.Ma. , deceduta nel corso del giudizio , sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso P.S. . È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato in parte inammissibile ed in parte manifestamente infondato. È stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta. I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia ex art. 360 c.p.c., n. 3 violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. . I ricorrenti sostengono, in primo luogo, che l’accertamento contenuto nella sentenza costituente titolo esecutivo, relativo allo svolgimento nell’immobile dei ricorrenti - da parte della società allora conduttrice Curmar S.a.s. - di una attività contraria al regolamento di condominio, non potrebbe avere alcun valore con riguardo alla nuova e diversa conduttrice Associazione New Siberia che aveva conseguito la detenzione dell’immobile solo dopo la formazione del suddetto titolo esecutivo, non essendo stata fornita adeguata prova che anche tale nuova conduttrice svolgesse la medesima attività e non potendo in ogni caso essere effettuato il predetto accertamento se non in contraddittorio con quest’ultima, che non era invece parte del giudizio. Sostengono inoltre che il divieto contenuto nel titolo esecutivo riguardava esclusivamente lo svolgimento, nell’immobile di loro proprietà, dell’attività di scambio di coppie , mentre la corte di appello aveva ritenuto sufficiente a integrare la violazione di quel divieto lo svolgimento di qualunque attività sessuale, genericamente trasgressiva , così stravolgendone il senso. Il motivo è in parte manifestamente infondato ed in parte inammissibile. 1.1 È manifestamente infondato nella parte in cui con esso si sostiene che l’accertamento contenuto nel titolo esecutivo non avrebbe valore in relazione all’attività svolta dalla associazione nuova conduttrice dell’immobile. Come infatti correttamente osservato dalla corte di appello, la pronuncia di cui al titolo esecutivo, consistente nella condanna a cessare lo svolgimento dell’attività ritenuta contraria al regolamento di condominio nell’immobile dei ricorrenti, era stata emessa anche direttamente nei confronti di questi ultimi, così come la condanna al pagamento di una somma di danaro per l’eventuale inosservanza dell’obbligo. Di conseguenza, il titolo aveva efficacia diretta nei loro confronti, anche nella parte relativa al pagamento della somma di danaro per l’inosservanza dell’obbligo di non facere , ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c., per il solo fatto che l’attività vietata continuasse ad essere svolta nel loro immobile, e ciò indipendentemente dal relativo conduttore, la cui mancata partecipazione al presente giudizio è dunque del tutto irrilevante. 1.2 Per quanto poi riguarda l’accertamento della violazione del divieto sanzionato nel titolo con il pagamento di una somma di danaro ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c., le censure risultano inammissibili. La corte di appello ha infatti accertato a che il divieto di cui al titolo riguardava non solo l’attività di scambio di coppie ma anche altre attività sessuali altrimenti e variamente trasgressive, ad esempio pornografiche o di prostituzione, ugualmente lesive dei concetti tutelati dal Regolamento b che tale tipo di attività che nel titolo era stato accertato essere in contrasto con il regolamento condominiale , originariamente svolta dalla conduttrice Curmar S.a.s. sotto la ditta Club Siberia , aveva continuato ad essere svolta nei locali di proprietà dei ricorrenti anche dalla nuova conduttrice Associazione New Siberia, che aveva di fatto riaperto il medesimo Club. Si tratta di accertamenti di fatto operati dalla corte territoriale sulla base della valutazione del materiale istruttorio e sostenuti da adeguata motivazione, non apparente nè insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non censurabile nella presente sede. Ciò è a dirsi, diversamente da quanto sostenuto dei ricorrenti, anche con riguardo all’interpretazione dell’effettivo contenuto del titolo esecutivo, in base al costante indirizzo di questa Corte che il ricorso non contiene argomenti idonei ad indurre a rivedere per cui l’interpretazione del titolo esecutivo compiuta dal giudice dell’esecuzione o da quello chiamato a sindacarne l’operato nell’ambito delle opposizioni esecutive, si risolve nell’apprezzamento di un fatto , come tale incensurabile in Cassazione se esente da vizi logici o giuridici, senza che possa diversamente opinarsi alla luce dei poteri di rilievo officioso e di diretta interpretazione del giudicato esterno da parte del giudice di legittimità, atteso che, in sede di esecuzione, il provvedimento passato in giudicato, pur ponendosi come giudicato esterno in quanto decisione assunta fuori dal processo esecutivo , non opera come decisione della controversia, bensì come titolo esecutivo e, pertanto, non va inteso come momento terminale della funzione cognitiva del giudice, ma come presupposto fattuale dell’esecuzione, ossia come condizione necessaria e sufficiente per procedere ad essa Cass., Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 15538 del 13/06/2018, Rv. 649428 - 01 nel medesimo senso Cass., Sez. 3, Sentenza n. 14727 del 21/11/2001, Rv. 550469 - 01 Sez. 3, Sentenza n. 1114 del 24/01/2003, Rv. 559979 - 01 Sez. 3, Sentenza n. 4382 del 25/03/2003, Rv. 561411 - 01 Sez. 3, Sentenza n. 7530 del 12/04/2005, Rv. 582016 - 01 Sez. 3, Sentenza n. 19057 del 05/09/2006, Rv. 592111 - 01 Sez. 3, Sentenza n. 15852 del 06/07/2010, Rv. 613862 - 01 Sez. 3, Sentenza n. 760 del 14/01/2011, Rv. 615928 - 01 Sez. L, Sentenza n. 13811 del 31/05/2013, Rv. 626724 - 01 Sez. 3, Sentenza n. 26890 del 19/12/2014, Rv. 633842 - 01 . Sotto gli aspetti da ultimo indicati, il motivo di ricorso in esame si risolve in sostanza nella inammissibile contestazione di incensurabili accertamenti di fatto operati dai giudici di merito e nella richiesta di nuova e diversa valutazione delle prove, il che non è consentito in sede di legittimità. 2. Con il secondo motivo si denunzia ex art. 360 c.p.c., n. 3 violazione e/o falsa applicazione dell’art. 24 Cost., per compressione del diritto di difesa . Il motivo è inammissibile. Per quanto emerge dalla decisione impugnata, gli opponenti avevano dedotto, in sede di appello, l’irregolarità di una comunicazione del rinvio di una udienza, in quanto contenente l’indicazione del nuovo giudice istruttore nominato al posto del precedente, per esigenze tabellari senza che fosse stata previamente comunicata tale nuova nomina la suddetta irregolarità, avendo loro impedito di partecipare alle successive udienze, ne avrebbe compresso il diritto di difesa, quanto meno in relazione alla ricostruzione del proprio fascicolo di parte smarrito, ricostruzione avvenuta in modo a loro avviso incompleto, in quanto mancante degli atti del procedimento relativo alla sospensione dell’esecuzione disposta ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 1. La corte di appello ha ritenuto che la mancata comunicazione del mutamento del giudice non avesse determinato di per sé alcuna nullità processuale, neanche in relazione alla ricostruzione del fascicolo di parte opponente. I ricorrenti non contestano la decisione nella parte in cui ha escluso che l’omessa comunicazione del mutamento dell’istruttore determinasse nullità del procedimento. Sostengono però che vi fossero ulteriori precedenti irregolarità nelle comunicazioni e per quanto è dato comprendere nel contesto di una esposizione non del tutto chiara , comunque, che la comunicazione recante il nome del nuovo istruttore aveva loro impedito di partecipare alle successive udienze non avendola essi neanche visionata, anche per ragioni di privacy , di svolgere adeguate difese e, in particolare, di procedere alla ricostruzione del proprio fascicolo di parte con gli atti del procedimento cautelare intentato contro la nuova conduttrice dell’immobile per ottenere il rilascio dell’immobile, atti da loro ritenuti decisivi. Orbene, va in primo luogo osservato che, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non solo nel ricorso manca lo specifico richiamo agli atti ed alla fase del giudizio di merito in cui sarebbero state dedotte le ulteriori irregolarità nello svolgimento del giudizio di primo grado non prese in considerazione dalla corte di appello, ma manca anche lo specifico richiamo al contenuto della comunicazione del provvedimento di rinvio dell’udienza che si assume irregolare e sul quale la corte di appello si è pronunciata. D’altra parte, è appena il caso di osservare che, una volta escluso che la mancata comunicazione del mutamento dell’istruttore abbia determinato una nullità del procedimento come già esposto, tale affermazione della corte di appello non è oggetto di censura nel ricorso , nessun rilievo può avere la mera circostanza che il provvedimento di rinvio dell’udienza sia eventualmente stato comunicato con l’indicazione del nuovo istruttore invece che di quello originario come allegato dai ricorrenti, sebbene senza lo specifico richiamo del contenuto del relativo atto , in quanto ciò non avrebbe impedito agli opponenti di individuare il procedimento e la data della nuova udienza e quindi di partecipare a tutte le successive udienze e, di conseguenza, di ricostruire il proprio fascicolo di parte, come disposto dal giudice. In ogni caso è assorbente la considerazione che si tratta di presunti vizi attinenti al regolare svolgimento del giudizio di primo grado, dei quali non è neanche dedotta la idoneità ove effettivamente sussistenti a determinare la rimessione della causa al primo giudice da parte della corte di appello, ai sensi dell’art. 354 c.p.c Poiché la corte di appello ha comunque deciso la controversia nel merito peraltro prendendo espressamente in considerazione proprio gli atti e i documenti relativi al procedimento cautelare intentato dagli opponenti contro la nuova conduttrice dell’immobile per ottenere il rilascio dell’immobile, cioè i documenti la cui mancata acquisizione avrebbe determinato il concreto pregiudizio conseguente ai presunti vizi del giudizio di primo grado , è evidente che le censure fin qui esposte risultano del tutto irrilevanti ai fini della decisione. 3. Con il terzo motivo si denunzia ex art. 360 c.p.c., n. 3 violazione dell’art. 2043 c.c., dell’art. 3 Cost., e dell’art. 24 Cost., comma 1, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, art. 6, comma 1. . Anche questo motivo risulta in parte manifestamente infondato ed in parte inammissibile. 3.1 È manifestamente infondato nella parte in cui i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 2043 c.c., e degli artt. 3 e 24 Cost., sostenendo che non sarebbe ravvisabile una responsabilità colposa a loro imputabile per l’attività svolta nel proprio immobile dal soggetto conduttore dello stesso, trattandosi di una questione evidentemente non deducibile in sede di opposizione all’esecuzione, in quanto coperta dal giudicato. Nel giudizio di cognizione all’esito del quale si è formato il titolo esecutivo essi sono stati infatti condannati direttamente, in proprio, ad impedire la continuazione di tale attività in quanto contrastante con il regolamento di condominio, nonché al pagamento di una somma di danaro, ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c., per l’eventuale inosservanza dell’obbligo. È manifestamente infondato anche l’assunto per cui la decisione negativa in sede cautelare, nel procedimento da essi promossi ai sensi dell’art. 700 c.p.c., contro il nuovo conduttore dell’immobile per ottenerne il rilascio facendo così cessare l’attività vietata , essendo stata adottata sul presupposto che non vi era prova concreta dello svolgimento da parte di quest’ultimo dell’attività che era stata giudizialmente vietata con la sentenza poi azionata dalla Pesaro, avrebbe determinato un giudicato sul punto, opponibile anche a quest’ultima. È infatti evidente che nessun giudicato può derivare da una pronuncia emessa in sede cautelare, tanto meno nei confronti di un soggetto che non ha partecipato al procedimento. Le argomentazioni svolte sul punto nel ricorso risultano del tutto inconferenti è sufficiente osservare che la prospettata assimilazione del procedimento cautelare di cui si è detto ad un procedimento per l’esecuzione di obblighi di fare risulta del tutto priva del pur minimo fondamento giuridico, sia per la natura dell’azione svolta, sia per le stesse parti il procedimento cautelare è stato promosso dal soggetto tenuto all’adempimento dell’obbligo di non facere , peraltro nei confronti di un terzo e neanche nei confronti del titolare del relativo diritto . 3.2 Le ulteriori considerazioni contenute nel motivo di ricorso in esame non si configurano neanche come censure specifiche rivolte contro la decisione impugnata ma come generiche doglianze in ordine all’esito della controversia ed alle conseguenze ulteriori e successive della vicenda sostanziale, anche estranee al presente giudizio. Esse sono, pertanto, del tutto inammissibili. 4. Il ricorso è rigettato. Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo. Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. P.Q.M. La Corte - rigetta il ricorso - condanna i ricorrenti a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 3.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto , a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.