Infiltrazioni da parti condominiali: il danno subìto dal proprietario è in re ipsa

Nell’ipotesi in cui si verifichino delle infiltrazioni d’acqua derivanti da parte comune di un edificio condominiale, il danno subito dal proprietario può dirsi in re ipsa, in quanto discende dall’indisponibilità del bene e dall’impossibilità di conseguire integralmente l’utilità da esso ricavabile.

Questo il contenuto dell’ordinanza della Corte di Cassazione n. 21835/20, depositata il 9 ottobre. I due attori, proprietari di due locali cantinati contigui, convenivano in giudizio il Condominio nei quali essi erano situati, per via di alcune infiltrazioni provenienti da parti condominiali dai quali erano conseguiti dei danni di cui chiedevano il risarcimento. Il Tribunale di Palermo condannava il Condominio al risarcimento dei danni subiti dagli attori. Il soccombente Condominio impugnava la decisione dinanzi alla Corte d’Appello di Palermo, la quale, in parziale accoglimento del gravame, rigettava la domanda degli appellati di risarcimento del danno da lucro cessante. Questi ultimi propongono ricorso per cassazione, in quanto la Corte non avrebbe valutato lo stato di fatto dell’immobile in oggetto ovvero la sua adeguatezza o meno a qualsiasi utilizzo, nonché per avere la stessa negato il risarcimento dei danni per carenza di prova, negando la sussistenza del danno in re ipsa derivante dalla perdita della disponibilità del bene in relazione alla sua natura formalmente fruttifera, da liquidarsi in base al cd. danno figurativo, cioè al valore locativo del bene. La Corte di Cassazione dichiara fondati i motivi di ricorso esposti, rilevando che nei casi di occupazione sine titulo di un cespite immobiliare altrui, come nel caso di specie trattandosi di infiltrazioni di acqua derivanti da parte comune di un edificio condominiale , il danno subito dal proprietario per l’ indisponibilità del medesimo può definirsi in re ipsa , purchè inteso in senso descrittivo, cioè di normale inerenza del pregiudizio all’impossibilità stessa di disporre del bene , senza comunque far venir meno l’onere per l’attore quanto meno di allegare, e anche di provare, con l’ausilio delle presunzioni, il fatto da cui discende il lamentato pregiudizio, ossia che se egli avesse immediatamente recuperato la disponibilità dell’immobile, l’avrebbe subito impiegato per finalità produttive , quali il suo godimento diretto o la sua locazione . Avendo la Corte territoriale confuso e sovrapposto la carenza di prova relativa ai tentativi di locare l’immobile con il diverso fatto della sua oggettiva inidoneità a qualsiasi utilizzo e avendo essa negato erroneamente l’esistenza del danno in re ipsa in base ad indici presuntivi e alla natura fruttifera del bene con riferimento al suo valore locativo, i Giudici di legittimità accolgono i motivi di ricorso in oggetto e cassano la decisione impugnata in relazione ad essi.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 2 luglio – 9 ottobre 2020, n. 21835 Presidente Manna – Relatore Bellini Fatti di causa L.G. e S.S. convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Palermo il CONDOMINIO di Via omissis , esponendo di essere proprietari di due locali cantinati contigui, siti nello stabile condominiale, e che in detti immobili si erano verificate infiltrazioni provenienti da parti condominiali, con conseguenze dannose. Chiedevano, dunque, la condanna del convenuto al risarcimento dei danni subiti per la mancata locazione di uno dei due locali seminterrati, a far data dal gennaio 2002, e ad eseguire a regola d’arte i lavori necessari a rimuovere definitivamente le cause dei lamentati danni, oltre al ripristino delle parti danneggiate all’interno dei loro immobili. Il Condominio, eccepita la propria carenza di legittimazione, dovuta al fatto che i danni provenivano da porzioni di esclusiva proprietà dei singoli condomini, eccepiva altresì la prescrizione dell’azione per il loro risarcimento. Con sentenza del 12/05/2009, il Tribunale dichiarava che i danni subiti dagli attori all’interno dei loro immobili erano imputabili al Condominio convenuto, e condannava quest’ultimo al ripristino, a regola d’arte, di tutte le parti danneggiate all’interno dei medesimi ed al pagamento della somma di Euro 334,53 mensili, a far data dal gennaio 2002, oltre a rivalutazione di interessi legali dalle single scadenze al soddisfo, oltre alla refusione delle spese di lite. Contro tale decisione, proponeva gravame il Condominio convenuto davanti alla Corte d’appello di Palermo e resistevano gli attori, ciascuno concludendo come in atti. Con sentenza n. 1948/2014, depositata in data 1/12/2014, la Corte distrettuale, in parziale accoglimento dell’appello, rigettava la domanda di risarcimento del danno da lucro cessante proposta dagli appellati, condannando il Condominio a rifondere ai medesimi la metà delle spese di primo grado e la metà delle spese di Ctu, compensando la restante metà Avverso la sentenza, L.G. e S.S. propongono ricorso in cassazione sulla base di tre motivi, illustrati da memoria resiste il Condominio con controricorso e memoria. Ragioni della decisione 1.1. - Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano l’ omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti art. 360 c.p.c., n. 5 , là dove la Corte distrettuale avrebbe del tutto omesso, ai fini della decisione, la valutazione dello stato di fatto dell’immobile de quo ovvero della inidoneità o meno dell’immobile medesimo a qualsiasi utilizzo. 1.2. - Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione di norme di diritto art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 115, 329, 346 c.p.c. , giacché la Corte di appello ha negato il risarcimento dei danni per la mancata prova di due circostanze di cui il Condominio appellante non s’era doluto ossia che l’immobile non fosse libero fatto peraltro pacifico , e che non si fosse tentato di locarli fatto peraltro irrilevante . 1.3. - Con il terzo motivo, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione di norme di diritto art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 2043 e 2056 in relazione agli artt. 1223 e 1226 c.c. e art. 115 c.p.c. , in quanto la Corte di merito, negando il risarcimento dei danni per carenza di prova, ha negato la sussistenza del danno in re ipsa derivante dalla perdita della disponibilità del bene in relazione alla natura formalmente fruttifera di esso, da liquidarsi sulla base di elementi presuntivi semplice con riferimento al cd. danno figurativo cioè al valore locativo del bene. 2. - Il secondo motivo va esaminato prima perché vi si duole di una violazione di giudicato interno. 2.1. - Il motivo non è fondato. 2.2. - La Corte di merito ha correttamente rilevato come il Condominio avesse lamentato che gli attori non avevano provato che l’immobile de quo presentasse danni tali da renderlo inidoneo a qualsiasi utilizzo e tuttavia, come tale doglianza fosse priva di fondamento, giacché gli attori avevano sì dedotto la mancata prova dell’impossibilità di locazione a terzi fatto che rientra nell’ambito generale della inidoneità del bene a qualsiasi utilizzo ma avevano articolato prove testimoniali non ammesse dal Tribunale in considerazione del tardivo deposito della memoria istruttoria con la quale era stata articolata la relativa richiesta sentenza impugnata, pagg. 3-4 . In ogni caso non sussiste alcuna rinuncia del Condominio ed i ricorrenti non hanno dedotto comportamenti che potessero definirsi incompatibili con la volontà di avvalersi dell’appello, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 329 c.p.c 3. - In considerazione della loro connessione logico giuridica, i motivi primo e terzo vanno esaminati e decisi congiuntamente. 3.1. - Essi sono fondati. 3.2. - Questa Corte ha affermato che, nella ipotesi di occupazione sine titulo di un cespite immobiliare altrui id est infiltrazioni di acqua derivanti da parte comune di edificio condominiale, come nella specie il danno subito dal proprietario per l’indisponibilità del medesimo può definirsi in re ipsa, purché inteso in senso descrittivo, cioè di normale inerenza del pregiudizio all’impossibilità stessa di disporre del bene, senza comunque far venir meno l’onere per l’attore quanto meno di allegare, e anche di provare, con l’ausilio delle presunzioni, il fatto da cui discende il lamentato pregiudizio, ossia che se egli avesse immediatamente recuperato la disponibilità dell’immobile, l’avrebbe subito impiegato per finalità produttive, quali il suo godimento diretto o la sua locazione Cass. n. 25898 del 2016 cfr. Cass., sez. un., n. 15238 del 2008 . Da tale pronuncia si trae il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui così come nel caso di occupazione illegittima di immobile, ovvero di limitazione abusiva dell’esercizio del diritto di proprietà il danno subito dal proprietario è in re ipsa, discendendo dalla mancata libera disponibilità del bene, e dalla impossibilità di conseguire integralmente l’utilità da esso ricavabile ex plurimis, Cass. n. 21239 del 2018 Cass. n. 20545 del 2018 Cass. n. 12630 del 2019 Cass. n. 20708 del 2019 . La Corte territoriale ha, viceversa, confuso e sovrapposto la mancata prova dei tentativi di locare l’immobile, con il diverso fatto della oggettiva inidoneità dell’immobile a qualsiasi utilizzazione primo motivo ed ha erroneamete negato la sussistenza di un danno in re ipsa sulla base di indici presuntivi e della natura fruttifera del bene, con riferimento al valore locativo del bene medesimo terzo motivo . 4. - Rigettato il secondo motivo, vanno accolti il primo ed il terzo la sentenza impugnata va cassata e rinviata alla Corte d’appello di Palermo, altra sezione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il motivo di ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Palermo, altra sezione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.