Parcheggi riservati ai condomini tra vincolo di destinazione e decisioni assembleari

La normativa urbanistica prescrive la destinazione di alcuni spazi a parcheggi, determinando, mediante vincolo pubblicistico, un diritto reale d’uso a favore dei condomini dell’edificio condominiale, fermo restando che qualora manchi un’espressa riserva di proprietà o qualsiasi riferimento inerente ai singoli atti di trasferimento, tali aree devono intendersi parti comuni dell’edificio. Nel caso di specie, l’individuazione di tali spazi era stata rimessa alle decisioni dell’assemblea condominiale, le quali hanno determinato la riduzione degli stessi per via della realizzazione di un’aiuola.

Questo l’oggetto dell’ordinanza della Suprema Corte n. 18029/20, depositata il 28 agosto. L’attuale ricorrente si rivolgeva al Tribunale di Palermo esponendo che la controparte si era obbligata nei confronti del Comune di Palermo a vincolare a parcheggio una porzione dell’area scoperta dell’edificio e che con successiva permuta egli, insieme ad altri, aveva acquistato l’ uso esclusivo di due posti auto nella suddetta area vincolata mediante modalità che sarebbero state specificate nel regolamento di condominio . Tale area, però, si era rivelata insufficiente a garantire il parcheggio oggetto dell’atto di permuta, dunque gli attori chiedevano in giudizio l’accertamento del loro diritto di utilizzo , la consegna dei due posti auto ed il risarcimento del danno. Tuttavia, tanto il Tribunale quanto la Corte d’Appello respingevano le pretese degli attori, sicché uno dei due propone ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando, tra i diversi motivi, il fatto che già prima della stipulazione dell’atto di permuta alcune particelle dell’area erano state alienate ad altri soggetti, riducendo di molto lo spazio residuo da adibire a parcheggio. Il motivo di ricorso sopra prospettato è infondato , in quanto contraddetto dall’ accertamento svolto dal Giudice territoriale. Da tale accertamento, infatti, non solo risultava che la controparte non fosse stata parte dei contratti a causa dei quali si sarebbe ridotta l’area da adibire a parcheggio, ma anche che la regolazione definitiva del diritto di uso dell’area comune tra tutti gli aventi diritto era stata rimessa all’ assemblea di condominio , senza attribuire a terzi la titolarità di un diritto esclusivo su singoli spazi. Quanto sopra esposto, continuano i Giudici di legittimità, è del tutto coerente con la normativa in materia, la quale si limita a prevedere per i fabbricati di nuova costruzione la destinazione obbligatoria di appositi spazi a parcheggio in misura proporzionale alla cubatura totale dell’edificio determinando, mediante vincolo di carattere pubblicistico, un diritto reale d’uso sugli spazi predetti a favore di tutti i condomini dell’edificio, senza imporre all’originario costruttore alcun obbligo di cessione in proprietà degli spazi in questione, fermo però che, ove manchi un’espressa riserva di proprietà o sia stato omesso qualsiasi riferimento, al riguardo, nei singoli atti di trasferimento delle unità immobiliari, le aree in questione, globalmente considerate, devono essere ritenute parti comuni dell’edificio condominiale, ai sensi dell’art. 1117 c.c. . Richiamato tale principio, i Giudici evidenziano che nel caso concreto l’individuazione dei posti assegnati era stata rimessa alla decisione assembleare, la quale aveva deciso di realizzare un’aiuola. Dunque, solo successivamente alla costruzione di quest’ultima gli spazi erano divenuti insufficienti, riconducendosi l’atto di violazione del vicolo di destinazione non al contenuto degli atti dispositivi o al comportamento della controparte, bensì alle determinazioni della stessa assemblea condominiale. Anche per questo motivo, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 17 gennaio – 28 agosto 2020, n. 18029 Presidente Lombardo – Relatore Fortunato Fatti di causa S.D. e P.D. hanno adito il Tribunale di Palermo, esponendo che, con atto del 7.6.1990, C.L. e gli altri condomini si erano obbligati verso il Comune di Palermo a vincolare a parcheggio una porzione dell’area scoperta del complesso sito in omissis , pari mq. 1690,30, corrispondente al 10% del volume di mcomma 16872 della costruzione che, con successiva permuta del 25.10.1995, gli attori avevano - tra l’altro - acquistato dalla C. , l’uso esclusivo di due posti auto scoperti nell’apposita area vincolata, con modalità da specificare con il regolamento di condominio che detta area era risultata insufficiente per garantire il parcheggio, così come concordato con l’atto di permuta. Hanno chiesto di accertare il loro diritto ad utilizzare due posti auto e di ordinarne la consegna, con risarcimento del danno. Si è costituita C.L. , chiedendo di respingere la domanda ed instando per la chiamata in causa il Condominio. All’esito, il tribunale ha respinto la domanda, ritenendo che la diversa distribuzione dei posti auto, rispetto alle originarie previsioni dell’atto di vincolo, e l’impossibilità di esercitare il diritto erano dipesi dalla scelta dei condomini cui la venditrice era rimasta estranea , di realizzare in loco un’aiuola che aveva ridotto la superficie disponibile. La sentenza è stata confermata in appello. In replica al primo motivo di gravame con cui P.D. anche quale erede di S.D. , nel frattempo deceduta , aveva sostenuto che la C. , sia prima che dopo la conclusione della permuta, aveva già ceduto a terzi la proprietà esclusiva di talune porzioni ricadenti nell’area di parcheggio, riducendo lo spazio residuo, la Corte di Palermo ha rilevato che la resistente non era parte dei predetti contratti di vendita e che nessuno di tali atti contemplava la cessione di diritti esclusivi sull’area di parcheggio ma solo pattuizioni ad effetti obbligatori, essendo rimessa al regolamento condominiale la fissazione delle modalità di uso dell’area stessa, evidenziando poi che la ripartizione era stata condizionata esclusivamente dalla scelta dell’assemblea di realizzare in loco un’aiuola, cui era rimasta estranea la resistente . La cassazione di questa sentenza è chiesta da P.D. con ricorso in tre motivi. Il Condominio del omissis ha depositato controricorso. C.A. , erede di C.L. , non ha svolto difese. Ragioni della decisione 1. Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., degli artt. 1176, 1218, 1223, 1480, 1489 e 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, sostenendo che, prima della permuta del 1995, erano già stati alienati ai coniugi Ca. -M. le partt. , subb. omissis , e ai coniugi G. -Ga. le partt. , sub. , riducendo notevolmente lo spazio residuo da utilizzare a parcheggio, per cui era irrilevante che la resistente non fosse parte dei contratti, dovendo aversi riguardo al fatto che, al momento della cessione del diritto di uso dei posti auto, non vi era più un’intera area di parcheggio da dividere tra i comproprietari mediante la delibera condominiale, essendo venuta meno la situazione di comunione contemplata negli atti di trasferimento. 2. Il motivo è infondato. La tesi del ricorrente è contraddetta dall’accertamento svolto dal giudice distrettuale, non solo riguardo al fatto che la C. non era parte dei contratti conclusi in precedenza, ma soprattutto riguardo alla circostanza che - contestualmente all’individuazione dei posti assegnati agli acquirenti - era stata rimessa all’assemblea condominiale la regolazione definitiva del diritto di uso dell’area comune tra tutti gli aventi diritto, senza attribuire a terzi la titolarità di un diritto esclusivo su singoli ed individuati spazi, ciò sull’implicito - ed indiscusso - presupposto che la vendita delle singole villette avesse determinato la condominialità delle aree comuni. Ciò in coerenza con la speciale normativa urbanistica, dettata dalla L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies, introdotto dalla L. n. 765 del 1967, art. 18, che si limita a prescrivere, per i fabbricati di nuova costruzione, la destinazione obbligatoria di appositi spazi, a parcheggi, in misura proporzionale alla cubatura totale dell’edificio determinando, mediante un vincolo di carattere pubblicistico, un diritto reale d’uso sugli spazi predetti a favore di tutti i condomini dell’edificio, senza imporre all’originario costruttore alcun obbligo di cessione in proprietà degli spazi in questione, fermo però che, ove manchi un’espressa riserva di proprietà o sia stato omesso qualsiasi riferimento, al riguardo, nei singoli atti di trasferimento delle unità immobiliari, le aree in questione, globalmente considerate, devono essere ritenute parti comuni dell’edificio condominiale, ai sensi dell’art. 1117 c.c. Cass. 5831/2017 Cass. 730/2008 . Del tutto logicamente la sentenza ha escluso - su tali premesse e con giudizio in fatto - che le vendite avessero pregiudicato il diritto all’uso di due posti auto, rilevando che, stante la condominialità dell’area, l’individuazione dei posti assegnanti era rimessa alle decisioni dell’assemblea, nell’esercizio del potere di disciplinare le modalità d’uso dei beni comuni ai sensi dell’art. 1136 c.c., Cass. 9877/2012 Cass. 6573/2015 . 3. Il secondo motivo denuncia la violazione della L. n. 765 del 1967, art. 18, L. n. 47 del 1985, art. 17, L. n. 122 del 1989, art. 2 e degli artt. 817, 818, 872, 117, 1362 e 1418 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la sentenza omesso di pronunciare sul motivo di appello con cui era stata dedotto che l’area di parcheggio era stata sottratta alla destinazione prevista nei vincoli imposti dalla concessione edilizia o che erano stati violati gli standard minimi delle superfici vincolate, del dimensionamento dei posti auto e dell’ampiezza della strada carrabile di accesso all’area, invocando la responsabilità del venditore nei confronti dell’acquirente per la mancata attuazione della destinazione prevista dalla concessione edilizia. Il motivo è inammissibile. Il ricorso, pur denunciando formalmente una violazione di legge o l’omesso esame di un fatto decisivo, prospetta in realtà un error in procedendo omessa pronuncia su un motivo di appello , che andava dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 , prospettando la nullità della pronuncia impugnata. In caso di violazione dell’art. 112 c.p.c., questa Corte ha già precisato che nel giudizio per cassazione, che ha ad oggetto le sole censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, il ricorso deve essere articolato in specifici motivi immediatamente riconducibili ad una delle cinque ragioni di impugnazione previste dalla disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica dei vizi denunciati. Se quininon è necessario l’espresso richiamo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, è tuttavia richiesto che la parte faccia inequivocabilmente riferimento alla nullità, in modo da consentire la corretta qualificazione del vizio sollevato in sede di legittimità, non potendo limitarsi a sostenere, come nel caso in esame, che la motivazione sia stata illogica o contraddittoria o ad argomentare sulla violazione di legge cfr. Cass. s.u. 17931/2013 Cass. 114949/2019 Cass. 5976/2019 Cass. 2404/2019 Cass. 10862/2018 Cass. 24553/2013 . Per altro verso, l’omessa pronuncia su un motivo di appello integra la violazione dell’art. 112 c.p.c. e non già l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in quanto il motivo di gravame non costituisce un fatto principale o secondario, bensì la specifica domanda sottesa alla proposizione dell’appello. Ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nel testo riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito con L. n. 134 del 2012 , il motivo deve essere dichiarato inammissibile. Cass. 22759/2014 Cass. 6835/2017 . In ogni caso, la sentenza ha chiaramente affermato che, al momento della permuta, la superficie dell’area scoperta era sufficiente a garantire il diritto di parcheggio nonostante la situazione creatasi con le vendite effettuate nel 1994 che non avevano affatto costituito diritti esclusivi in favore di terzi , e che la stessa permuta aveva rimesso la regolazione del diritto di uso alla volontà dell’assemblea, sicché solo a seguito della realizzazione di un’aiuola decisa dall’assemblea, gli spazi erano divenuti insufficienti, riconducendo la violazione del vincolo di destinazione non già al contenuto degli atti dispositivi riguardo alla lamentata insufficienza o sottrazione dell’area alla destinazione a parcheggio o alla condotta della resistente, ma alle successive determinazioni assembleari. Occorre dunque ribadire che, per integrare la violazione dell’art. 112 c.p.c., non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia Cass. 13.10.2016, n. 24155 Cass. 21.7.2006, n. 16788 . 4. Il terzo motivo prospetta la violazione degli artt. 184, 112, 115 e 175 c.p.c. e art. 2697 c.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per aver la Corte di merito omesso di pronunciare sul motivo di appello vertente sulla tardività della produzione in giudizio delle delibere condominiali e delle dichiarazioni di un terzo, documenti che non potevano essere utilizzati, essendo stati depositati dopo la maturazione delle preclusioni processuali. Il motivo è, per più aspetti, da respingere. Come si è detto, l’omessa pronuncia su un motivo di appello non sostanzia la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 e va dedotto congiuntamente alla denuncia di nullità della sentenza. Sotto altro profilo, l’accertamento in fatto riguardante la circostanza che il diritto d’uso riservato alla ricorrente non era stato pregiudicato dagli atti negoziali concernenti lo spazio comune e che nessun inadempimento era imputabile alla venditrice, non consentiva di gravare quest’ultima dell’obbligo di risarcire il danno o di ripristinare lo stato dei luoghi, essendo già nel rogito rimesso al regolamento condominiale la regolazione del parcheggio tra tutti gli aventi diritto, conseguendo - da quanto esposto - l’irrilevanza dell’utilizzazione di documenti tardivamente prodotti, riguardanti le successive delibere con cui lo spazio era stato destinato parzialmente ad aiuola, pregiudicando i diritti del ricorrente. Il ricorso è quindi respinto, con aggravio di spese secondo soccombenza. Si dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, se dovuto. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3000,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali, in misura del 15%. Dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, se dovuto.