Non costituisce abuso l'apposizione di una vetrina sul muro comune in corrispondenza del proprio locale commerciale

L'apposizione di una vetrina o mostra sul muro comune perimetrale, da parte di un condomino, in corrispondenza di un proprio locale destinato a esercizio di attività commerciale, non costituisce di per sé abuso della cosa comune idoneo a ledere il compossesso del muro comune che fa capo, come ius possidendi, a tutti i condomini, se effettuata nel rispetto dei limiti di cui all'articolo 1102 c.c

Il caso. La Corte d'Appello, in accoglimento del gravame avanzato contro la sentenza resa in primo grado, aveva accolto le domande proposte dagli attori, riconoscendo a costoro il diritto di utilizzare i muri dell'androne di ingresso del Condominio e dichiarando illegittima l'utilizzazione fatta di tale androne dalle convenute condomine, le quali si erano impossessate degli spazi dei muri per fini commerciali. Le contestazioni. Avverso la pronuncia in esame, le condomine avevano proposto ricorso in Cassazione eccependo che la Corte d’Appello aveva erroneamente ritenuto che gli attori avessero correttamente agito ai sensi dell'articolo 1102 c.c., non potendo altrimenti agire ai sensi dell'articolo 1105, ultimo comma, c.c Inoltre, le ricorrenti contestavano l'omesso esame del fatto decisivo costituito dalla circostanza che le vetrine apposte sui muri condominiali erano asservite all'immobile di proprietà da oltre quarant’anni, sicché alcuna alterazione vi sarebbe stata del preesistente stato di fatto e della destinazione del muro comune. L’utilizzo del muro comune. La Corte d’Appello aveva ritenuto che i muri condominiali posti nell'androne costituivano parti comuni di sicura utilità per i locali terranei destinati ad esercizi commerciali siti nel cortile, pertanto essi non potevano essere utilizzati solo da alcuni condomini con esclusione di altri. Tuttavia, a parere della S.C., la Corte d’Appello non aveva preso in considerazione le circostanze attestanti l'uso di fatto pregresso dei muri dell'androne ad opera delle condomine. Difatti, la nozione di pari uso della cosa comune, cui fa riferimento l'articolo 1102 c.c., non va intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri. Ne consegue che qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima. Detto ciò, con particolare riguardo al muro perimetrale dell'edificio - anche in considerazione delle sue funzioni accessorie di appoggio di tubi, fili, condutture, targhe e altri oggetti analoghi -, l'apposizione di una vetrina da esposizione o mostra sul detto muro da parte di un condomino, in corrispondenza del proprio locale destinato all'esercizio di attività commerciale, non costituisce di per sé abuso della cosa comune idoneo a ledere il compossesso del muro comune che fa capo come jus possidendi ” a tutti i condomini, se effettuata nel rispetto dei limiti di cui all'articolo 1102 c.c. Cass. civ., sez. II, n. 1499/1998 . L’intervento del giudice sulla gestione dei beni comuni. La Corte territoriale aveva dettato le quote di superficie spettanti ai proprietari dei locali terranei per l'uso frazionato dell'androne. In particolare, secondo i giudici di merito, non vi erano provvedimenti da adottare per l'amministrazione della cosa comune sicché, la domanda di determinazione delle modalità di utilizzazione dei muri dell'androne era ammissibile, non essendo perseguibile la diversa via di cui all'articolo 1105, ultimo comma, c.c Diversamente da tale ragionamento, gli Ermellini hanno evidenziato che i condomini possono convenire il giudizio il Condominio per ottenere la sola determinazione in millesimi del valore proporzionale di ciascuna unità immobiliare oppure, ricorrere all'intervento sostitutivo dell'autorità giudiziaria nell'interesse della res, ai sensi dell'articolo 1105, comma 4, c.c., se intendono evitare il pregiudizio che possa derivare alla cosa comune in presenza di una paralisi gestionale. Pertanto non è consentito ricorrere al Giudice per ottenere determinazioni finalizzate al migliore godimento” delle cose comuni come nella specie , in quanto spetta unicamente al gruppo l'espressione della volontà associativa di autorganizzazione contenente i futuri criteri di comportamento vincolanti per i partecipanti della comunione. In conclusione, per i motivi esposti, la S.C. ha ritenuto inammissibile la determinazione giudiziale in sede contenziosa delle superfici dell'androne utilizzabili dai condomini proprietari dei locali terranei, cui la Corte d’Appello aveva proceduto, peraltro, senza che al giudizio partecipassero nemmeno i restanti condomini, essendo l'androne oggetto di proprietà comune ai sensi dell'art 1117 c.c Per i motivi esposti, il ricorso è stato accolto per l’effetto, la pronuncia è stata cassata con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 29 gennaio – 28 agosto 2020, n. 18038 Presidente Gorjan – Relatore Scarpa Fatti di causa S.A.P., con atto notificato il 12 aprile 2016, ha proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 29/2016 della Corte d'appello di Salerno, depositata il 14 gennaio 2016. S.A., con atto notificato il 15 aprile 2016, ha a sua volta proposto ricorso articolato in cinque motivi avverso la sentenza n. 29/2016 della Corte d'appello di Salerno. Nei confronti di entrambi i ricorsi resistono con unico controricorso D.M.M., A.P., A.F., S.M., S.S. e S.C. gli ultimi tre anche quali eredi di E.C. . Rimangono intimati, senza svolgere attività difensive, il Condominio omissis , Salerno, la Ago Incantato s.r.l. e G.M La Corte d'appello di Salerno, accogliendo il gravame avanzato in via principale contro la sentenza resa in primo grado in data 6 agosto 2008 dal Tribunale di Salerno, ha accolto le domande proposte da D.M.M., A.P. e A.F. eredi di A.P. , S.M., S.S. e S.C., riconoscendo a costoro il diritto di utilizzare i muri dell'androne di ingresso del Condominio omissis , Salerno, e dichiarando illegittima, agli effetti dell'art. 1102 c.c., l'utilizzazione fatta di tale androne dalle condomine S.A. ed S.A.P., le quali si erano impossessate degli spazi dei muri più appetibili a fini commerciali. La Corte d'appello ha poi proceduto a determinare le superfici dell'androne di cui le parti in causa tutte proprietarie di terranei ubicati all'interno del cortile condominiale, adibiti ad esercizio commerciale possono disporre in ragione del valore millesimali delle rispettive proprietà. La Corte di Salerno ha altresì accolto in parte le domande di rimozione delle vetrine apposte sui muri dell'androne da S.A. ed S.A.P. e condannato le stesse al risarcimento dei danni in favore di ciascuno degli appellanti. E' stata pure accolta la domanda di garanzia svolta da S.A.P. nei confronti di G.M., amministratrice della L'Ago Incantato s.r.l., in forza della scrittura privata inter partes del 31 marzo 1997. Le ricorrenti S.A.P. ed S.A., nonchè i controricorrenti D.M.M., A.P., A.F., S.M., S.S. e S.C. hanno presentato memorie ai sensi dell'art. 378 c.p.c Ragioni della decisione Il ricorso di S.A.P., giacchè notificato per primo, assume caratteri ed effetti d'impugnazione principale, in quanto esso ha determinato la costituzione del procedimento, nel quale debbono confluire, con natura ed effetti di impugnazioni incidentali, le successive impugnazioni proposte contro la medesima sentenza dalle altre parti soccombenti art. 335 c.p.c. . Ne consegue che il ricorso per cassazione notificato da S.A., autonomamente proposto dopo che il primo ricorso era stato già notificato, si converte, riunito a questo, in ricorso incidentale. 1. primo motivo del ricorso di S.A.P. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1102, 1105 e 1130 in relazione agli artt. 1133 e 1135, c.c. e dell'art. 112 c.p.c., per aver la Corte d'appello di Salerno erroneamente ritenuto che gli attori avessero correttamente agito ai sensi dell'art. 1102 c.c., non potendo altrimenti agire ai sensi dell'art. 1105 c.c., u.c Ciò in particolare quanto alla richiesta sostanziale di determinazione degli spazi oggetto di possibile utilizzazione dei muri dell'androne d'ingresso del fabbricato, in ragione dei valori millesimali delle rispettive proprietà. Il secondo motivo del ricorso di S.A.P. denuncia l'omesso esame del fatto decisivo costituito dalla circostanza che le vetrine apposte sui muri condominiali erano asservite all'immobile di proprietà della ricorrente principale da oltre quaranta anni, sicchè alcuna alterazione vi sarebbe stata del preesistente stato di fatto e della destinazione del muro comune. Si elencano a fondamento di tale censura una serie di documenti, come anche la deduzione di prova per testimoni, che avrebbero dimostrato l'esistenza delle vetrine sin dagli anni ‘40. Il terzo motivo del ricorso di S.A.P. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1105 e 1130 e ss. c.c., assumendo che una regolamentazione dell'uso delle parti comuni non può avvenire attraverso una decisione giudiziale resa tra i soli proprietari dei vani terranei, senza il contraddittorio degli altri condomini titolari delle restanti unità immobiliari dell'edificio. La ricorrente principale argomenta perciò l'inammissibilità della domanda giudiziale rivolta alla determinazione da parte del giudice degli spazi comuni da attribuire ad alcuni soltanto dei condomini. Il quarto motivo del ricorso di S.A.P. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 81,112 e 167 c.p.c. e dell'art. 2043 c.c., quanto alla legittimazione ed alla titolarità riconosciute agli attori per la pretesa di risarcimento del danno. 2. Il primo motivo del ricorso di S.A. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1105 e 1102 c.c., nonchè dei principi di cui all'art. 1175 c.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha regolamentato l'utilizzo della parte comune, recidendo la volontà condominiale. Si richiama l'esito dell'assemblea condominiale 17 febbraio 2000, nella quale i condomini manifestarono l'intenzione di incaricare l'amministratore per la redazione di un regolamento d'uso delle parti comuni, al fine che tutti i condomini siano messi nelle condizioni di servirsi dei muri perimetrali e delle altre cose in modo da impedire ad altri di farne uso . Nella specie, l'azione contenziosa intentata da proposte da D.M.M., A.P. e A.F. eredi di A.P. , S.M., S.S. e S.C. avrebbe anticipato e superato l'operato dell'assemblea, e così eluso il disposto dell'art. 1105 c.c Il secondo motivo di ricorso di S.A. denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 1105 c.c. e l'omesso esame circa un fatto decisivo, quanto all'interpretazione della domanda giudiziale introduttiva della presente lite, la quale supponeva l'inerzia del condominio convenuto, e quindi imponeva il riferimento allo strumento di tutela camerale ex art. 1105 c.c., comma 4. Il terzo motivo del ricorso di S.A. denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 1102 c.c., adducendo che la ricorrente avesse avuto una specifica autorizzazione dal condominio per fare uso delle vetrine, come dimostrato dai richiamati documenti. Il quarto motivo del ricorso di S.A. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e ss. in riferimento anche all'art. 1226 c.c., quanto al disposto risarcimento dei danni, mancando il carattere contra ius del comportamento di utilizzo delle parti comuni, nonchè ogni prova di pregiudizio da riparare. Il quinto motivo del ricorso di S.A. deduce l'omesso esame di un punto decisivo , avendo beneficiato del risarcimento anche gli eredi di A.P., i quali avevano installato loro stessi in corso di causa una vetrina di identiche caratteristiche. 3. I primi tre motivi del ricorso di S.A.P. ed i primi tre motivi del ricorso di S.A. vanno esaminati congiuntamente, in quanto connessi, e risultano fondati nei termini di seguito indicati, rimanendo assorbiti il quarto motivo del ricorso di S.A.P. ed il quarto ed il quinto motivo del ricorso di S.A 3.1. Occorre ravvisare un duplice oggetto della lite in esame, alla stregua dell'azione proposta da D.M.M., A.P. poi A.P. e A.F. , S.M., S.S. e S.C. una domanda è volta a sanzionare l'abuso della cosa comune perpetrato dalle condomine S.A.P. ed S.A., mediante rimozione delle vetrine espositive apposte da queste ultime sui muri dell'androne condominiale una domanda è invece volta ad ottenere una determinazione delle proporzionali superfici ed una regolamentazione dell'uso di tali aree dell'androne. La prima domanda va ricondotta all'art. 1102 c.c La Corte d'appello di Salerno ha ritenuto che i muri condominiali posti nell'androne costituiscono parti comuni di sicura utilità per i locali terranei destinati ad esercizi commerciali siti nel cortile, sicchè essi non possono essere utilizzati solo da alcuni condomini con esclusione di altri. I giudici di secondo grado non hanno però dimostrato in motivazione se il principio, esattamente tratto a livello di proclamazione astratta, sia stato applicato ad una fattispecie concreta che effettivamente risulti in esso sussumibile. Questa Corte ha più volte affermato che la nozione di pari uso della cosa comune, cui fa riferimento l'art. 1102 c.c., non va intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione. Ne consegue che qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal momento che in una materia in cui è prevista la massima espansione dell'uso il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i quali pertanto costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto. Pertanto, si è chiarito in giurisprudenza, con particolare riguardo, appunto, al muro perimetrale dell'edificio - anche in considerazione delle sue funzioni accessorie di appoggio di tubi, fili, condutture, targhe e altri oggetti analoghi -, che l'apposizione di una vetrina da esposizione o mostra sul detto muro da parte di un condomino, in corrispondenza del proprio locale destinato all'esercizio di attività commerciale, non costituisca di per sè abuso della cosa comune idoneo a ledere il compossesso del muro comune che fa capo come jus possidendi a tutti i condomini, se effettuata nel rispetto dei limiti di cui all'art. 1102 c.c. Cass. Sez. 2, 12/02/1998, n. 1499 Cass. Sez. 2, 20/02/1997, n. 1554 Cass. Sez. 2, 08/05/1971, n. 1309 . La destinazione della cosa comune - che, a norma dell'art. 1102 c.c., ciascun partecipante alla comunione non può alterare, divenendo altrimenti illecito l'uso del bene - dev'essere determinata attraverso elementi economici, quali gli interessi collettivi appagabili con l'uso della cosa, elementi giuridici, quali le norme tutelanti quegli interessi, ed elementi di fatto, quali le caratteristiche della cosa. In mancanza di accordo unanime o di deliberazione maggioritaria che contenga norme circa l'uso delle parti comuni, la destinazione di queste ultime, rilevante ai fini del divieto di alterazione posto dall'art. 1102 c.c., può risultare anche dalla pratica costante e senza contrasti dei condomini, e cioè dall'uso ultimo voluto e realizzato dai partecipanti alla comunione, che il giudice di merito deve accertare cfr. Cass. Sez. 2, 18/07/1984, n. 4195 . La Corte d'appello di Salerno non ha, allora, preso in considerazione le circostanze attestanti l'uso di fatto pregresso dei muri dell'androne ad opera delle condomine S., circostanze essenzialmente risultanti dai dati processuali richiamati nel secondo motivo del ricorso di S.A.P. e nel terzo motivo del ricorso di S.A., ed ha così valutato soltanto in astratto la conformità della installazione delle vetrine nell'androne alla destinazione della cosa stessa. Tali circostanze sull'uso praticato dell'androne, stando alle allegazioni delle ricorrenti, deporrebbero per la configurabilità di una servitù a carico dei muri comuni ed a vantaggio delle proprietà esclusive S., ove la risalente utilità tratta dall'apposizione delle vetrine apparisse diversa da quella normalmente derivante dalla destinazione impressa alla parte condominiale fruita da tutti i comproprietari ove, invece, la medesima utilità procurata dalle vetrine alle proprietà S. derivasse unicamente dalla natura e dalla pregressa destinazione pratica dei muri comuni, queste ultime si porrebbero quali parametri di riferimento della disciplina, propria della comunione, di cui all'art. 1102 c.c E' invece inammissibile la determinazione giudiziale in sede contenziosa delle superfici dell'androne utilizzabili dai condomini proprietari dei locali terranei del Condominio omissis , cui la Corte d'appello ha proceduto, peraltro, senza che al giudizio partecipassero nemmeno i restanti condomini, essendo l'androne di un edificio oggetto di proprietà comune, ai sensi dell'art. 1117 c.c., per tutti i partecipanti che ne traggano utilità. L'accertamento, da parte del giudice, che l'uso del bene comune, fatto da uno dei partecipanti alla comunione, renda impossibile o menomi l'esercizio del diritto degli altri comproprietari, agli effetti dei limiti stabiliti dall'art. 1102 c.c., legittima ciascuno dei condomini a chiedere la rimozione delle opere che alterino e sconvolgano il rapporto di equilibrio della comunione, al fine di veder tutelato il loro diritto reale sulla cosa comune e di impedire il consolidarsi di una situazione illegittima, oltre che a pretendere l'eventuale risarcimento del danno, così verificando, in negativo, un limite all'esercizio del potere del singolo di servirsi della res, ma non consente una pronuncia conformativa che contenga le norme circa l'uso futuro della cosa stessa. Al di là del passaggio contenuto in Cass. Sez. 2, 01/02/1993, n. 1218, che in realtà riguardava l'efficacia da riconoscere ai regolamenti condominiali comunque adottati in virtù di sentenza, merita, piuttosto, conferma l'orientamento, espresso da Cass. Sez. 2, 07/06/2011, n. 12291, secondo cui il regolamento di condominio è, in ogni caso, atto di produzione essenzialmente privata anche nei suoi effetti tipicamente organizzativi, incidenti, cioè, sulle sole modalità di godimento delle parti comuni dell'edificio. Ne consegue che - come si ritiene in dottrina - il giudice può eventualmente decidere sulla impugnazione ex art. 1137 c.c. della delibera che abbia rifiutato di approvare il regolamento, quando esso deve essere obbligatoriamente formato a norma dell'art. 1138 c.c., comma 1, ovvero annullare la norma regolamentare che sia stata impugnata a norma dell'art. 1107 c.c., ma non può modificare quest'ultima nel senso di dettare una diversa regola in sostituzione di quella annullata. A differenza di quanto sostenuto dalla Corte d'appello di Salerno per la quale la domanda di determinazione delle modalità di utilizzazione dei muri dell'androne era ammissibile, non essendo perseguibile la diversa via di cui all'art. 1105 c.c., u.c. , poichè nel caso in esame . non vi erano provvedimenti da adottare per l'amministrazione della cosa comune . , deve invece ribadirsi che i condomini possono 1 convenire il giudizio il condominio, in persona dell'amministratore, per ottenere la sola determinazione in millesimi del valore proporzionale di ciascuna unità immobiliare, agli effetti degli artt. 68 e 69 disp. att. c.c. 2 oppure ricorrere all'intervento sostitutivo dell'autorità giudiziaria nell'interesse della res, ai sensi dell'art. 1105 c.c., comma 4 dettato in materia di comunione, ma applicabile anche al condominio degli edifici per il rinvio posto dall'art. 1139 c.c. , se intendono evitare il pregiudizio che possa derivare alla cosa comune in presenza di una paralisi gestionale, perchè non si prendono i provvedimenti necessari per l'amministrazione della stessa o non si forma una maggioranza, ovvero perchè la deliberazione adottata non viene eseguita. La previsione, ad opera del medesimo art. 1105 c.c., comma 4, dello specifico rimedio del ricorso, da parte di ciascun partecipante, all'autorità giudiziaria perchè adotti gli opportuni provvedimenti in sede di volontaria giurisdizione ivi compresi gli atti di conservazione , preclude, dunque, al singolo partecipante alla comunione di rivolgersi al giudice in sede contenziosa per ottenere provvedimenti di gestione della res, ai fini della sua amministrazione nei rapporti interni tra i comunisti così Cass. Sez. 3, 08/09/1998, n. 8876 Cass. Sez. U, 19/07/1982, n. 4213 . Non è, tuttavia, altrimenti consentito ricorrere al giudice per ottenere determinazioni finalizzate al migliore godimento delle cose comuni, ovvero come nella specie fatto dalla Corte d'appello di Salerno, che ha dettato le quote di superficie spettanti ai proprietari dei locali terranei per l'uso frazionato dell'androne l'imposizione di un regolamento contenente norme circa l'uso delle stesse, spettando unicamente al gruppo l'espressione delle volontà associativa di autorganizzazione contenente i futuri criteri di comportamento vincolanti per i partecipanti della comunione. 4. L'accoglimento dei motivi di censura concernenti la legittimità dell'uso delle cose comuni oggetto di causa comporta l'assorbimento del quarto motivo del ricorso di S.A.P., nonchè del quarto ed il quinto motivo del ricorso di S.A., i quali attengono alle conseguenziali statuizioni risarcitorie, e dunque implicano questioni che potranno essere riesaminate nel giudizio di rinvio. Conseguono l'accoglimento, nei termini di cui in motivazione, dei primi tre motivi del ricorso di S.A.P. e dei primi tre motivi del ricorso di S.A., con assorbimento del quarto motivo del ricorso di S.A.P., nonchè del quarto e del quinto motivo del ricorso di S.A La sentenza impugnata va perciò cassata, nei limiti delle censure accolte, con rinvio ad alla Corte d'Appello di Salerno in diversa composizione, che deciderà uniformandosi agli enunciati principi e provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie i primi tre motivi del ricorso di S.A.P. ed primi tre motivi del ricorso di S.A., dichiara assorbiti il quarto motivo del ricorso di S.A.P., nonchè il quarto e del quinto motivo del ricorso di S.A., cassa la sentenza impugnata limitatamente alle censure accolte e rinvia alla Corte d'Appello di Salerno in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.