Come superare la presunzione di comunione del sottoscala?

Per stabilire se sussista un titolo contrario alla presunzione di comunione del sottoscala, occorre fare riferimento all’atto costitutivo del condominio e al primo atto di trasferimento dell’unità immobiliare dal proprietario originario ad altro soggetto. Se da tali atti non risulta alcun trasferimento di proprietà, tale parte può ritenersi rientrante nel novero di quelle comuni.

Lo ha chiarito la Suprema Corte con ordinanza n. 22442/19 depositata il 9 settembre. Il caso. Il Condominio conveniva in giudizio il proprietario di alcuni locali al piano terra e chiedeva la rimozione del bagno costruitovi da quest’ultimo nell’area comune. Intervenuto in giudizio un terzo condomino, il Tribunale ne rigettava la domanda insieme a quella del Condominio e accoglieva l’eccezione di usucapione proposta dai convenuti, eredi del proprietario defunto. La Corte territoriale, confermando in parte la sentenza di primo grado, accoglieva l’appello del condomino relativo alla restituzione del sottoscala condominiale all’uso comune. Avverso tale pronuncia, i convenuti eredi propongono ricorso per cassazione. Presunzione di comunione ex art. 1117 c.c Posto che deve ritenersi pacifico, secondo la Cassazione, che il sottoscala rientri tra le parti comuni dell’edificio condominiale ex art. 1117 c.c., quale proiezione delle scale, incombe su chi ne rivendica l’acquisto per usucapione l’onere di provare di aver avocato a sé tale parte con un atto di frazionamento. Infatti, ribadisce il Collegio, al fine di stabilire se sussista o meno un titolo contrario alla presunzione di comunione, occorre fare riferimento all’atto costitutivo del condominio e al primo atto di trasferimento dell’unità immobiliare dal proprietario originario ad altro soggetto. Pertanto, prosegue la Corte, se in occasione della prima vendita la proprietà del bene potenzialmente rientrante tra quelli comuni risulti riservata ad uno solo dei contraenti, deve escludersi che lo stesso possa farsi rientrare in tale novero. Nella fattispecie, dall’esame dei titoli di proprietà e della C.T.U., era emerso che i costruttori si erano riservati la proprietà di alcuni sottoscala, tranne di quello oggetto di lite, destinato a rimanere parte comune. Pertanto, in assenza di un titolo contrario idoneo a superare la condominialità, la Corte d’Appello ha correttamente ritenuto il sottoscala parte comune del Condominio. Secondo la Cassazione il ricorso non è dunque meritevole di accoglimento e deve essere rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 8 febbraio – 9 settembre 2019, n. 22442 Presidente Gorjan – Relatore Giannaccari Fatti di causa Con citazione del 28.11.2000, il Condominio di omissis conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Napoli G.L. , proprietario di alcuni locali siti al piano terra, lamentando che il medesimo si era impossessato di un’area di proprietà condominiale, costruendovi un bagno, di cui chiedeva la rimozione. Si costituiva il G. e resisteva alla domanda, eccependo l’usucapione dell’area. Nel corso del giudizio decedeva il G. e si costituivano, in qualità di eredi, G.A. e S.A. . Nel giudizio interveniva anche il condomino A.V. . Il Tribunale di Napoli rigettava la domande del condominio ed accoglieva l’eccezione di usucapione proposta dal convenuto G. . Proposto appello dal Condominio e da A.V. , la Corte d’Appello di Napoli, parzialmente riformando la sentenza di primo grado, dichiarava la carenza di legittimazione passiva del condominio con riferimento alla domanda di rivendica e rigettava la domanda accoglieva l’appello dell’A. e condannava G.A. e S.A. alla rimessione in pristino, mediante restituzione all’uso comune del sottoscala condominiale. Secondo la corte territoriale, il sottoscala rientrava tra le parti comuni dell’edificio condominiale, in quanto proiezione delle scale, non avendo il G. fornito prova della sua proprietà esclusiva. Dall’esame dei titoli di proprietà e dalla CTU era emerso che la ditta costruttrice si era riservata la proprietà di alcuni sottoscala ma non di quello della scala X, ove era situato quello oggetto di lite, che era, pertanto, di proprietà comune. Quanto all’eccezione di usucapione, la corte rilevava che l’originario stato dei luoghi era stato mutato nel corso degli anni mentre inizialmente veniva usato come garage, successivamente parte del garage era stata inglobata nel negozio del G. . Secondo il giudice d’appello, l’utilizzo da parte del G. del locale garage non era idoneo a fondare un possesso ad usucapionem, ma era espressione di un compossesso compatibile con l’utilizzo degli altri condomini. L’acquisto del bene ad usucapionem decorreva, quindi, dal momento in cui il garage era stato inglobato nel locale di proprietà esclusiva del G. ma, tale esercizio di fatto del potere esclusivo sul bene non si era protratto per venti anni. Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso G.A. e S.G. sulla base di quattro motivi. Ha resistito con controricorso A.V. . È rimasto intimato il condominio. In prossimità dell’udienza, le parti hanno depositato memorie illustrative. Ragioni della decisione Va preliminarmente rilevato che A.V. non ha rispettato il termine di dieci giorni prima dell’udienza camerale, fissata in data 8.2.2019, per il deposito delle memorie difensive, depositate tardivamente in data 1.2.2019, sicché di esse non si potrà tenere conto ai fini della decisione. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 457, 459, 474 e 565 c.c., artt. 102, 110, 299 e 354 c.p.c., per omessa integrazione del contraddittorio in primo grado nei confronti di G.M. , erede di G.L. . La qualità di erede del litisconsorte pretermesso risulterebbe dallo stato di famiglia e da altri documenti, che venivano prodotti, ex art. 372 c.p.c., in sede di giudizio di legittimità. Il motivo è inammissibile sotto diversi profili. È, in primo luogo, inammissibile la produzione di nuovi documenti in cassazione per dimostrare la necessità d’integrazione del contraddittorio nei precedenti gradi di giudizio Cassazione civile sez. VI, 12/10/2017, n. 24048 . Le ipotesi di nullità della sentenza che consentono, ex art. 372 c.p.c., tale produzione sono limitate a quelle derivanti da vizi propri dell’atto per mancanza dei suoi requisiti essenziali di sostanza e di forma e non si estendono, pertanto, a quelle originate, in via riflessa o mediata, da vizi del procedimento, quantunque idonei, in astratto, a spiegare effetti invalidanti sulla sentenza Cass. Civ., sez. 06, del 28/02/2012, n. 3024 Cass. Civ., sez. 01, del 19/09/2006, n. 20260 Cass. Civ., sez. LL, del 02/07/2014, n. 15073 . Il motivo è, inoltre, inammissibile per carenza di interesse, in quanto, qualora la parte soccombente si dolga della mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari, deve dimostrare di poter trarre vantaggio dalla partecipazione al giudizio dei litisconsorti pretermessi, per essere risultate infondate tutte le altre censure mosse alla sentenza impugnata Cassazione civile sez. III, 30/01/2009, n. 2461 . Conseguentemente, se, come nel caso in esame, il ricorso non merita accoglimento, è inutile e contrario ai principi di economia processuale, disporre l’integrazione del contraddittorio. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, per avere la corte territoriale accertato la natura condominiale del sottoscala attraverso l’erronea interpretazione delle risultanze della CTU e, conseguentemente, dello stato dei luoghi. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1102, 1140, 1158 e 2967 c.c., art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti per avere la corte territoriale, sulla base di un’errata interpretazione delle risultanze testimoniali, affermato che, prima dell’accorpamento dell’area al terraneo di proprietà esclusiva, i condomini avessero utilizzato l’area a titolo di compossesso. I motivi, che vanno esaminati congiuntamente per la loro connessione, non sono fondati. È pacifico che il sottoscala rientri tra le parti comuni dell’edificio condominiale, ex art. 1117 c.c., in quanto proiezione delle scale. Incombe, pertanto, a chi rivendichi l’acquisto uti singuli di detta porzione di immobili l’onere di provare che questa venne avocata a sé dal venditore col primo atto di frazionamento. Questa Corte, con orientamento consolidato al quale intende dare continuità, ha affermato che, al fine di stabilire se sussista un titolo contrario alla presunzione di comunione di cui all’art. 1117 c.c., occorre fare riferimento all’atto costitutivo del condominio e, quindi, al primo atto di trasferimento di un’unità immobiliare dell’originario proprietario ad altro soggetto. Pertanto, se in occasione della prima vendita la proprietà di un bene potenzialmente rientrante nell’ambito dei beni comuni risulti riservata ad uno solo dei contraenti, deve escludersi che tale bene possa farsi rientrare nel novero di quelli comuni Cassazione civile sez. II, 09/08/2018, n. 20693 Cass. Civ., n. 11812 del 2011 Cass. Civ., n. 13450 del 2016 Cass. Civ., n. 5831 del 2017 . La corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio di diritto affermato da questa Corte e, con accertamento di fatto incensurabile in sede di legittimità, ha accertato che G.L. aveva acquistato dalla SICE s.r.l., con atto del 14.10.1963 per notar T. , diversi locali terranei facenti parti del fabbricato in OMISSIS , con altro atto in pari data aveva acquistato alcuni quartini del medesimo fabbricato, nonché il locale garage, confinante - tra l’altro - con il locale in questione. Dall’esame dei titoli di proprietà e dalla CTU, riservata al giudice di merito, era emerso che la ditta costruttrice si era riservata la proprietà di alcuni sottoscala ma non di quello della scala X, ove era situato quello oggetto di lite, che era, pertanto di proprietà comune. Ulteriore conferma della condominialità del bene veniva ravvisato nel contenuto del regolamento di condominio, che annoverava tra le proprietà esclusive della società costruttrice i box sottostanti al primo rampante delle scale ma non della scala , che, doveva, pertanto ritenersi comune pag.11-13 della sentenza impugnata . In assenza del titolo contrario idoneo a superare la condominialità del sottoscala, il giudice d’appello ha ritenuto che si trattasse di bene comune. Le censure del ricorrente si risolvono nella critica alle risultanze probatorie e, segnatamente, alla prova testimoniale ed alla CTU. Quanto alle contestazioni mosse alla CTU, il giudice di legittimità non ha il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, e, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, salvo che non abbia omesso un fatto decisivo per il giudizio. Le critiche di parte, che tendano al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in tal caso in mere allegazioni difensive, che non possono configurare il vizio di motivazione previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5. Esso ricorre, alla luce del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, quando la motivazione manchi del tutto, prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico , nella motivazione apparente , nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili , nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 . Nella specie, la corte territoriale ha ampiamente motivato sugli aspetti che avevano investito il motivo d’appello pag. 12-13 della sentenza impugnata , mettendo in relazione lo stato dei luoghi con le risultanze dei titoli di proprietà e dei dati catastali. Detta vicenda processuale è finalizzata ad un riesame nel merito, inammissibile in sede di legittimità. Con il quarto motivo di ricorso, si deduce l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e la violazione e falsa applicazione delle medesime disposizioni, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 per avere la corte erroneamente affermato che non si fosse concluso il ventennio necessario per il maturare dell’usucapione, mentre i lavori di accorpamento alla proprietà esclusiva sarebbero cominciati nel 1980, dopo il terremoto, e l’atto di interruzione della prescrizione, avvenuto il 28.11.2000, sarebbe stato posto in essere dal condominio, soggetto non legittimato all’esercizio dell’azione di rivendica. Il giudice d’appello avrebbe dovuto considerare, quale valido atto interruttivo, l’atto di intervento del condomino A. , che era avvenuto il 14.6.2001, quando l’usucapione era già maturata. Il motivo non è fondato. Incombe su chi invoca l’acquisto per usucapione o ne eccepisce l’acquisto, l’onere di provare sia il momento iniziale del possesso ad usucapionem, sia la decorrenza del ventennio. La corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio di diritto in tema di onere della prova, ritenendo che fosse onere del G. provare l’inizio della decorrenza dell’usucapione, coincidente con l’inizio dei lavori per l’accorpamento del vano scala. Ha, quindi, ritenuto che, poiché i testi avevano genericamente fatto riferimento al periodo post-terremoto, fosse inverosimile che l’inizio dei lavori risalisse al 1980 e che nel 2000 il termine ad usucapire fosse decorso. Tale accertamento non è stato scalfito dal motivo di ricorso, con il quale non viene censurata la decorrenza della prescrizione, ma unicamente la validità dell’atto di interruzione. Il ricorso va, pertanto, rigettato. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4500,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese vive, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, Iva e cap come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.