Quando può applicarsi il codice del consumo in materia di spese condominiali?

La Corte di Cassazione chiarisce quando possono applicarsi le norme contenute nel codice del consumo alle convenzioni di ripartizione delle spese condominiali predisposte dal costruttore ovvero dall’originario unico proprietario dell’edificio.

Questo il contenuto della sentenza della Suprema Corte n. 19832/19, depositata il 23 luglio. Il caso. Il Tribunale di Catania rigettava l’appello proposto da un Condominio contro la decisione emessa dal Giudice di pace, avente ad oggetto l’opposizione proposta dalla società costruttrice avverso il decreto ingiuntivo che le intimava di pagare una somma di denaro a titolo di oneri condominiali. Il Giudice dell’appello aveva, infatti, ritenuto che la delibera condominiale sulla quale si fondava il suddetto decreto fosse nulla, poiché contrastante con il regolamento condominiale, ammettendo l’opposizione al decreto ingiuntivo e affermando la validità della clausola contenuta nel suddetto regolamento che esonerava la società dal pagamento degli oneri condominiali su tutte le unità immobiliari di sua proprietà non ancora vendute, se non utilizzate. Contro tale provvedimento, il Condominio propone ricorso per cassazione, lamentando, tra i diversi motivi, la vessatorietà della clausola di esonero per via della sua durata illimitata, perché viola il principio contenuto nell’art. 1123 c.c. producendo un significativo squilibrio tra i condomini. L’applicazione del codice del consumo. La Suprema Corte dichiara inammissibile la doglianza del ricorrente, richiamando il principio già affermato dalla giurisprudenza di legittimità in base al quale le norme del codice del consumo sono applicabili alle convenzioni di ripartizione delle spese condominiali predisposte dal costruttore, o dall’originario unico proprietario dell’edificio condominiale, in quanto oggettivamente ricollegabili all’esercizio dell’attività imprenditoriale o professionale da quello svolta, e sempre che il condomino acquirente dell’unità immobiliare di proprietà esclusiva rivesta lo status di consumatore, agendo per soddisfare esigenze di natura personale, non legate allo svolgimento di attività imprenditoriale o professionale . Ciò affermato, la Corte osserva come nel caso concreto il Tribunale abbia correttamente escluso che la vessatorietà della clausola potesse essere fatta valere nei confronti della società, la quale è soggetto beneficiario dell’esonero dalle spese ma non allo stesso tempo venditore degli immobili in questione. Anche per questo motivo, gli Ermellini rigettano il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 30 gennaio – 23 luglio 2019, n. 19832 Presidente Lombardo – Relatore Picaroni Fatti di causa 1. Il Tribunale di Catania, con sentenza pubblicata il 18 novembre 2014, ha rigettato l’appello proposto dal Condominio omissis , nel Comune di [], avverso la sentenza del Giudice di pace di Giarre n. 312 del 2013 e nei confronti di Cogea s.r.l 1.1. Il giudizio di primo grado, avente ad oggetto l’opposizione proposta Cogea avverso il decreto ingiuntivo che le intimava di pagare Euro 4.799,48 a titolo di oneri condominiali, come da Delib. 27 maggio 2012, era stato definito con pronuncia che dichiarava la cessazione della materia del contendere per alcune delle unità immobiliari di proprietà Cogea, e condannava la stessa Cogea a pagare la minor somma di Euro 272,56. 2. Il giudice d’appello ha ritenuto che la Delib. Condominiale 27 maggio 2012, fosse nulla, perché a maggioranza aveva previsto criteri di riparto degli oneri in contrasto con il regolamento condominiale che, di conseguenza, fosse ammissibile l’opposizione a decreto ingiuntivo che su tale Delib. era fondato che, infine, fosse valida la clausola prevista dal regolamento condominiale richiamato nei contratti di acquisto dei singoli condomini, che esonerava Cogea dal pagamento degli oneri condominiali su tutte le unità immobiliari di sua proprietà rimaste invendute, se non utilizzate. 3. Ricorre per la cassazione della sentenza il Condominio sulla base di due motivi, ai quali resiste Cogea srl. Il ricorso è stato rimesso alla pubblica udienza dalla Sottosezione Sesta, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 3. Ragioni della decisione 1. Il ricorso è infondato. 2. Con il primo motivo il Condominio denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1136 e 1137 c.c., per contestare l’ammissibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo, a fronte della mancata impugnazione della Delib. 27 maggio 2012, sulla quale il decreto ingiuntivo era fondato. 2.1. La doglianza è priva di fondamento. Come correttamente evidenziato dal giudice d’appello, la Delib. Condominiale 27 maggio 2012, è nulla in quanto ha modificato a maggioranza, e non all’unanimità, il criterio convenzionale di riparto delle spese condominiali tra le molte, Cass. 04/08/2017, n. 19651, Cass. 04/08/2016, n. 16321 Cass. 17/01/2003, n. 641 da ultimo, Cass. 04/07/2018, n. 29217 ha ulteriormente precisato che sono nulle, per impossibilità dell’oggetto, le deliberazioni dell’assemblea adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di ripartizione delle spese, e quindi in eccesso rispetto alle attribuzioni dell’organo collegiale . In sede di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di oneri condominiali, non operava pertanto il limite alla rilevabilità anche officiosa dell’invalidità della sottostante Delib., trattandosi di elemento costitutivo della domanda di pagamento Cass. 10/01/2019, n. 470 Cass. 20/12/2018, n. 33039 Cass. 12/09/2018, n. 22157 Cass. 12/01/2016, n. 305 . 3. Con il secondo motivo il Condominio denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 206 del 2005, art. 33 e art. 1123 c.c., comma 1, assumendo la vessatorietà della clausola di esonero di Cogea dalle spese condominiali, in ragione sia della durata illimitata dell’esonero, sia della posizione di consumatore del Condominio. Secondo il ricorrente, la clausola di esonero violerebbe il principio sancito dall’art. 1123 c.c., producendo un significativo squilibrio tra i condomini, con conseguente indebito arricchimento del costruttore, che è uno dei condomini. 3.1. La doglianza è inammissibile. È stato affermato più volte da questa Corte regolatrice che le norme del Codice del consumo sono applicabili alle convenzioni di ripartizione delle spese condominiali predisposte dal costruttore, o dall’originario unico proprietario dell’edificio condominiale, in quanto oggettivamente ricollegabili all’esercizio dell’attività imprenditoriale o professionale da quello svolta, e sempre che il condomino acquirente dell’unità immobiliare di proprietà esclusiva rivesta lo status di consumatore, agendo per soddisfare esigenze di natura personale, non legate allo svolgimento di attività imprenditoriale o professionale ex plurimis, Cass. 07/07/2016, n. 16321 Cass. 24/06/2001, n. 10086 . Tuttavia, nella fattispecie in esame, il Tribunale ha escluso che la vessatorietà della clausola potesse essere fatta valere nei confronti della Cogea, che è il soggetto beneficiario dell’esonero dalle spese, ma non è il soggetto che ha venduto gli immobili, e l’affermazione non è censurata. Costituisce infine questione nuova, e come tale inammissibile, la questione dell’arricchimento indebito di Cogea. Il Tribunale non l’ha trattata nella sentenza impugnata e il Condominio ricorrente non ha dimostrato di averla prospettata nel giudizio di appello ex plurimis, Cass. 13/06/2018, n. 15430 Cass. 18/10/2013, n. 23675 . 4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese del presente giudizio, nella misura indicata in dispositivo. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.