Il mutamento di destinazione delle unità condominiali passa attraverso la deliberazione assembleare

La realizzazione di un’innovazione nelle unità del condominio concerne un’opera di trasformazione che incide sull’essenza della cosa comune, modificandone l’originaria funzione e destinazione, e richiede, pertanto, una deliberazione assembleare a tal fine.

Così si pronuncia la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 15265/19, depositata il 5 giugno. Il caso. La Corte d’Appello di Napoli accoglieva il ricorso proposto da due condomini riguardante il ripristino dello stato dei luoghi oggetto della causa, emettendo un ordine nei confronti dei due convenuti avente ad oggetto la ricostituzione della situazione precedente alla realizzazione di un negozio con accesso autonomo tramite scala esterna in muratura. Avverso tale provvedimento, propongono ricorso per cassazione i due convenuti, lamentando, tra i motivi di ricorso, l’errata qualifica delle opere realizzate, considerate dalla Corte d’Appello quali alterazioni dell’estetica e simmetria del fabbricato rientranti nella categoria delle innovazioni, le quali necessitano delle autorizzazioni condominiali mediante assemblea. Mutamento di destinazione del bene. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso, richiamando, in particolare, la distinzione tra innovazioni e modificazioni, disciplinate rispettivamente dagli artt. 1120 e 1102 c.c Sotto il profilo oggettivo, precisano gli Ermellini, le innovazioni consistono in un’opera di trasformazione, che incide sull’essenza della cosa comune, alterandone l’originaria funzione e destinazione , mentre le modificazioni consistono nella facoltà del condominio di ottenere il migliore utilizzo della cosa, sempre nei limiti previsti dalla legge. Dal punto di vista soggettivo, invece, nell’innovazione rileva l’interesse collettivo di una maggioranza qualificata, espresso con una deliberazione dell’assemblea, elemento che invece difetta nella modificazione, che non si confronta con un interesse generale, bensì con quello del singolo condomino, al cui perseguimento è rivolta . Dopo aver chiarito ciò, la Corte ravvisa che nel caso concreto si realizza un mutamento di destinazione vertente sul godimento del bene, riflettendosi, in termini soggettivi, sull’interesse collettivo a mantenere o meno le destinazioni originarie delle varie unità di cui è composto il condominio e che giustifica pertanto il passaggio attraverso la deliberazione assembleare . Anche per questo motivo, la Suprema Corte respinge il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 21 giugno 2018 – 5 giugno 2019, n. 15265 Presidente Petitti – Relatore Casadonte Rilevato in fatto che - con sentenza n. 4062 la Corte d’appello di Napoli in accoglimento dell’appello proposto dal Condominio ed in riforma della sentenza del Tribunale di Napoli in data 13 novembre 2006, accoglieva la domanda dell’attore appellante ed ordinava ai convenuti appellati P.L. e S.L. di ripristinare lo stato dei luoghi oggetto di causa riportandolo alla situazione precedente come risultante dalle fotografie allegate al fascicolo del Condominio appellante e raffigurante i luoghi in epoca precedente alla realizzazione del negozio con autonomo accesso attraverso la scala esterna di muratura, posti in essere dagli appellati con condanna degli stessi al rimborso delle spese di entrambi i gradi di giudizio - la cassazione della sentenza di secondo grado è chiesta da P.L. e S.L. con ricorso notificato il 28 gennaio 2014 e fondato su tre motivi cui resiste con controricorso il Condominio omissis . Considerato in diritto che - con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dei principi previsti dall’art. 1138 c.c., con riferimento all’art. 3 del regolamento condominiale che, diversamente da quanto sostenuto nella sentenza impugnata, consentirebbe al comma 2, la possibilità di svolgere attività commerciali nello stabile condominiale, escludendo in ogni caso qualsiasi attività incompatibile con le norme igieniche, con la tranquillità dei condomini, con il decoro dell’edificio e con la sicurezza pubblica. Il negozio può essere adibito a scopo di vendita, ad esercizio pubblico o a deposito. È fatto espresso divieto di destinarlo a deposito o alla vendita di merci maleodorante, pericolosa o infiammabile - il motivo è infondato poiché, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, l’assunto posto a fondamento della decisione impugnata non è il divieto di esercitare attività commerciale, bensì il divieto di modificare la destinazione abitativa degli appartamenti senza il dovuto rispetto delle maggioranze assembleari richieste dalle disposizioni normative e regolamentari - la corte territoriale ha, in particolare, specificato l’inidoneità delle autorizzazioni amministrative ottenute dai signori P. e S. a far venir meno detto divieto, divieto che può essere modificato soltanto con il consenso unanime di tutti i condomini, manifestato in forma scritta - in mancanza di ciò, la corte lo ha ritenuto valido ed efficace - peraltro tale consenso era stato chiesto dai signori P. e S. ma era stato rifiutato dall’assemblea condominiale e tale mancanza non può essere surrogata dall’autorizzazione amministrativa rilasciata dall’ente pubblico per finalità che non riguardano i rapporti interni al condominio - con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dei principi regolatori di cui gli artt. 1120 e 1121 c.c., per avere la Corte d’appello qualificato le opere realizzate dagli odierni ricorrenti quali alterazioni dell’estetica ed alla simmetria del fabbricato ascrivendole nella categoria delle innovazioni, con la necessità delle conseguenti autorizzazioni condominiali a mezzo assemblea - il motivo è infondato avendo la corte territoriale correttamente qualificato l’intervento posto in essere come innovazione di cui all’art. 1120 c.c., che si distingue dalle modificazioni disciplinate dall’art. 1102 c.c., sia dal punto di vista oggettivo, che da quello soggettivo - sotto il profilo oggettivo, la prima consiste in un’opera di trasformazione, che incide sull’essenza della cosa comune, alterandone l’originaria funzione e destinazione, mentre la seconda si inquadra nelle facoltà riconosciute al condomino, con i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c., per ottenere la migliore, più comoda e razionale utilizzazione della cosa - per quanto concerne, poi, l’aspetto soggettivo, nell’innovazione rileva l’interesse collettivo di una maggioranza qualificata, espresso con una deliberazione dell’assemblea, elemento che invece difetta nella modificazione, che non si confronta con un interesse generale, bensì con quello del singolo condomino, al cui perseguimento è rivolta cfr. Cass. 945/2013 id. 18052/2012 id. 20712/2017 - nel caso di specie, si realizza un mutamento di destinazione che incide sulla fruizione del bene e riverbera soggettivamente sull’interesse collettivo a mantenere o meno le destinazioni originarie delle varie unità di cui è composto il condominio e che giustifica pertanto il passaggio attraverso la deliberazione assembleare - con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione delle norme di principio previsti dall’art. 1138 c.c., con riferimento all’art. 5, del regolamento di condominio, laddove la corte d’appello ha ritenuto che le modifiche apportate dai convenuti hanno comportato un evidente pregiudizio della simmetria e del decoro architettonico della facciata del fabbricato - la doglianza è, come eccepito da parte controricorrente, inammissibile perché nonostante sia stata rubricata come violazione di legge e falsa applicazione di legge, in realtà con essa si censura l’apprezzamento svolto dal giudice circa la situazione come modificata a seguito dei lavori svolti nell’appartamento dei ricorrenti e l’idoneità degli stessi di alterare l’estetica del fabbricato, apprezzamento che non appare affatto formulato in violazione dei criteri legali richiamati e che è, pertanto, insindacabile da parte del giudice di legittimità cfr. Cass. 5417/2002 - atteso l’esito sfavorevole di tutti i motivi, il ricorso va respinto e, in applicazione del principio di soccombenza, i ricorrenti vanno condannati, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di lite a favore della controparte nella misura liquidata in dispositivo - ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido tra loro, alla rifusione delle spese a favore del controricorrente che liquida in Euro 4200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge, se dovuti. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.