I lavori su parti che servono la collettività in un supercondominio devono essere pagati da tutti

Ai fini della corretta ripartizione delle spese tra i condomini di un edificio, non è rilevante la titolarità del diritto di proprietà, quanto la funzione della parte di edificio bisognosa degli interventi di ristrutturazione.

Il caso. Un condomino agiva in giudizio impugnando un verbale di assemblea condominiale nella parte in cui gli attribuiva il costo di rifacimento di alcune colonne. La ragione di tale attribuzione era che le colonne, pur appartenendo ad un altro edificio, parte del supercondominio, avevano comunque funzione di garantire la stabilità dell’intera struttura e sorreggere il camminamento che collegava lo stabile con quelli adiacenti. A detta del ricorrente, invece, detti manufatti erano propri del solo condominio proprietario e i lavori di ristrutturazione non dovevano quindi essere corrisposti che dai condomini di quel palazzo. Il Tribunale di prime cure accoglieva la domanda del ricorrente considerando applicabili al fatto di specie i commi 2 e 3 dell’art. 1123 c.c La sentenza veniva appellata dal condominio e la Corte d’Appello, in riforma del primo giudizio, affermava invece come le colonne oggetto dei lavori fossero comunque asservite alla generalità dei condomini e quindi il riparto spese fosse corretto. Spese necessarie per la conservazione e il godimento delle parti comuni. Il condomino soccombente ricorreva quindi in Cassazione con ricorso incentrato su due motivi di diritto. Con il primo motivo egli denunciava la violazione e falsa applicazione dell’art. 1123 c.c. nella parte in cui la Corte d’Appello avrebbe dovuto valutare la sussistenza di un condominio parziale e ripartire le spese solo sui condomini che si giovavano direttamente delle colonne oggetto dei lavori. La ripartizione a tutti gli edifici facenti parte del supercondominio, proseguiva il condomino, sarebbe stata compiuta in violazione della legge. L’art. 1123 c.c. afferma infatti che Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione. Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne. Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità . Con il secondo motivo di diritto, invece, il ricorrente denunciava la violazione dell’art. 1105 C.c. nella parte in cui la delibera assunta dal condominio non sarebbe stata congrua con l’ordine del giorno sulla convocazione. L’ordine del giorno presupponeva una discussione e votazione su situazione lavori di consolidamento delle opere strutturali dell’edificio mentre, a parere del condomino la decisione presa non sarebbe stata la conseguenza logica di tale presupposto. Il colonnato ha funzione di sostegno anche in favore dei condomini adiacenti. Con la sentenza n. 13229 del 16 maggio 2019 la Seconda Sezione della Corte di Cassazione rigettava integralmente il ricorso sopra riassunto. Quanto al primo motivo la Cassazione specificava come il ricorrente non avesse colto nel segno per due ordini di motivi. In prima battuta egli, sostanzialmente, contestando la valutazione data dalla Corte d’Appello in merito alla proprietà e funzione dei manufatti oggetto di causa, stava illegittimamente domandando una revisione sul merito. Tale attività, è noto, è del tutto impossibile nel terzo grado di giudizio, dedicato invece alle valutazioni di legittimità. La Cassazione, inoltre, rigettava il motivo di ricorso per un'altra ragione. A parere degli Ermellini, infatti, la Corte d’Appello aveva correttamente valutato il dovere di corresponsione dei lavori di manutenzione del colonnato. È pur vero, infatti, che questo era di proprietà di un altro stabile, ma la sua funzione di sostegno era svolta anche in favore dei condomini adiacenti. In ragione di ciò, il criterio che doveva applicarsi era quello di cui al comma 1 del citato art. 1123 c.c Affermava infatti la Cassazione che ai fini della corretta ripartizione delle spese tra i condomini di un edificio, riguardanti, nella specie, il risanamento di alcuni pilastri di un complesso immobiliare formato da più fabbricati, necessari per sostenere la struttura di un singolo edificio sovrastante, nonché quella del camminamento su un porticato esterno condominiale, non è rilevante la titolarità del diritto di proprietà, quanto la funzione della parte di edificio bisognosa degli interventi di ristrutturazione, con conseguente applicazione del criterio generale stabilito al primo comma dell’art. 1123 c.c., secondo il quale tutti i condomini sono tenuti al pagamento pro quota, quando i pilastri, come accertato nella specie, siano elementi strutturali portanti l’intero complesso . Il secondo motivo di ricorso, parimenti, veniva rigettato in quanto la decisione presa in merito alle spese era considerata la giusta conseguenza logica della discussione istaurata dalla convocazione dell’assemblea e dalla disamina dell’ordine del giorno. In ragione di tali valutazioni, la Cassazione rigettava il ricorso proposto e condannava la parte soccombente alla refusione delle spese di causa, oltre che il versamento dell’importo pari al valore del contributo unificato a titolo di condanna ai sensi dell’art. 13 comma 1- quater d.P.R. n. 115/2002.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 29 gennaio – 16 maggio 2019, n. 13229 Presidente Orilia – Relatore Scarpa Fatti di causa e ragioni della decisione N.U. ha proposto ricorso articolato in due motivi avverso la sentenza n. 470/2014 della Corte d’Appello di Ancona, depositata il 17 giugno 2014. Resiste con controricorso il Condominio omissis . Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1, c.p.c. N.U. , con ricorso del 19 gennaio 2004, aveva impugnato la deliberazione dell’assemblea 27 novembre 2003 del Condominio di via OMISSIS , assumendo, in particolare, che le spese per i lavori di consolidamento delle opere strutturali dell’edificio approvate in quella sede fossero pertinenti ai soli comparti dei numeri civici 37 e 39, e non anche al corpo di fabbrica del civico 31, ove il N. abita. Con sentenza del 12 marzo 2007 il Tribunale di Ancona accolse la domanda del condomino N. , ritenendo l’invalidità della impugnata delibera per violazione dell’art. 1123, commi 2 e 3, c.c. e del regolamento condominiale. La Corte d’Appello di Ancona ha riformato poi la sentenza di primo grado, osservando, quanto alla mancata informazione dei partecipanti sulle questioni in trattazione all’assemblea del 27 novembre 2003, come la stessa era stata convocata con riguardo alla situazione lavori di consolidamento delle opere strutturali dell’edificio , sicché la decisione di ripartire le relative spese in base ai millesimi rappresentava lo sviluppo logico ed ordinario della discussione, anche alla luce delle provvisoria suddivisione di tali spese già deliberata nella precedente assemblea del 27 agosto 2003. La Corte d’Appello ha quindi preso atto delle risultanze della CTU, la quale aveva evidenziato come l’edificio condominiale di via omissis non costituisce un corpo unico, in quanto, pur avendo fondazioni uniche, è separato in tre distinti corpi da giunti tecnici, e come i lavori in oggetto fossero relativi ai pilastri dei numeri civici 32 e 34 bis, dei quali il primo ha funzione di sostegno anche della struttura del numero civico 39 e del soprastante camminamento comune. Da ciò i giudici di secondo grado hanno tratto la conclusione che le spese per i lavori di consolidamento delle opere strutturali dell’edificio Condominio di via OMISSIS rientrassero tra gli oneri di manutenzione e conservazione gravanti su tutti i condomini, ai sensi dell’art. 1123 c.c., comma 1, nonché dell’art. 19 del regolamento condominiale , non trovando applicazione le diverse fattispecie di ripartizione di cui al medesimo art. 1123 c.c., commi 2 e 3. Vanno dapprima superate le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dal controricorrente. La procura rilasciata a margine del ricorso per cassazione con riferimento esplicito al presente giudizio è certamente provvista del requisito della specialità, nel senso richiesto dall’art. 365 c.p.c Inoltre, il ricorso rispetta i requisiti di ammissibilità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6, consentendo a questa Corte, in relazione ai motivi proposti, di avere una sufficiente cognizione dei fatti che hanno originato la controversia, dell’oggetto dell’impugnazione e degli atti e documenti su cui essa fonda. I. Il primo motivo di ricorso di N.U. deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1100, 1117 e 1123 c.c., e l’omesso esame circa un fatto decisivo, evidenziandosi come dalla relazione di CTU fosse emerso che l’edificio condominiale di via omissis non è da considerare un corpo unico e che i lavori erano stati effettuati interamente all’interno del numero civico 39, mentre l’atto di trasferimento di alloggio compreso nel corpo 31, intercorso tra la Cooperativa omissis e il N. in data 27 maggio 1982, includeva fra i beni comuni i soli porticati al piano terreno. Il primo motivo di ricorso riporta le considerazioni svolte dal CTU ed assume che le spese per i lavori di rafforzamento delle strutture dovessero essere solo in parte poste a carico dell’intero complesso edilizio 31/39, in quanto le stesse strutture coinvolte nell’intervento manutentivo svolgono una funzione primaria di sostegno del civico 39, nonché una funzione accessoria al 50% di sostegno al camminamento comune. I.1. Il primo motivo di ricorso di N.U. è infondato. Va dapprima ribadito come l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori nella specie, delle considerazioni svolte nella consulenza tecnica d’ufficio non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa nella specie, la consistenza del complesso immobiliare del Condominio di via omissis e la funzione dei pilastri oggetto dei lavori di consolidamento strutturale approvati dall’assemblea del 27 novembre 2003 , sia stato comunque preso in considerazione dal giudice si vada da ultimo Cass. Sez. 2, 29/10/2018, n. 27415 . La Corte d’Appello di Ancona ha affermato in sentenza, invero, che il fabbricato di via OMISSIS non costituisce un corpo unico, essendo separato in tre distinti corpi mediante giunti tecnici, e che i lavori per cui è causa erano relativi ai pilastri dei numeri civici 32 e 34 bis, accertando, tuttavia, che tali pilastri hanno funzione di sostegno non solo della struttura del numero civico 39, ma anche del soprastante camminamento condominiale, e per tale ragione chiamando a concorrere alle spese di consolidamento tutti i condomini, ai sensi dell’art. 1123 c.c., comma 1. È noto come il nesso di condominialità, presupposto dalla regola di attribuzione di cui all’art. 1117 c.c., è ravvisabile in svariate tipologie costruttive, sia estese in senso verticale, sia costituite da corpi di fabbrica adiacenti orizzontalmente, purché le diverse parti siano dotate di strutture portanti e di impianti essenziali comuni, come appunto quelle res che sono esemplificativamente elencate nell’art. 1117 c.c., con la riserva se il contrario non risulta dal titolo . Anzi, la condominialità si reputa non di meno sussistente pur ove sia verificabile un insieme di edifici indipendenti , e cioè manchi un così stretto nesso strutturale, materiale e funzionale, ciò ricavandosi dagli artt. 61 e 62 disp. att. c.c., che consentono lo scioglimento del condominio nel caso in cui un gruppo di edifici . si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi , sempre che restano in comune con gli originari partecipanti alcune delle cose indicate dell’art. 1117 del codice arg. anche dall’art. 1117 bis c.c., introdotto dalle L. n. 220 del 2012 . Peraltro, è agevole ipotizzare come possano esservi, nell’ambito dell’edificio condominiale, delle parti comuni che risultino destinati al servizio o al godimento di una porzione soltanto del fabbricato. Secondo la giurisprudenza, è in siffatte ipotesi automaticamente configurabile la fattispecie del condominio parziale ex lege tutte le volte, cioè, in cui un bene, come detto, risulti, per le sue obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato al servizio e/o al godimento, in modo esclusivo e non, dunque, solo prevalente , di una parte soltanto dell’edificio in condominio, esso rimane oggetto di un autonomo diritto di proprietà, venendo in tal caso meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su quel bene. Mancano i presupposti per l’attribuzione, ex art. 1117 c.c., della proprietà comune a vantaggio di tutti i partecipanti se le cose, i servizi e gli impianti di uso comune, per oggettivi caratteri materiali, appaiano necessari per l’esistenza o per l’uso, ovvero siano destinati all’uso o al servizio non di tutto l’edificio, ma di una sola parte o di alcune parti di esso. Il fondamento normativo, che limita in tal senso la proprietà di cose, servizi ed impianti dell’edificio, si rinviene nell’art. 1123 c.c., comma 3. A tale parziale attribuzione della titolarità delle parti comuni corrispondono conseguenze di rilievo per quanto attiene alla gestione, nonché all’imputazione delle spese. Relativamente alle cose, di cui non hanno la titolarità, per i partecipanti al gruppo non sussiste il diritto di partecipare all’assemblea, dal che deriva che la composizione del collegio e delle maggioranze si modifica in relazione alla titolarità delle specifiche parti oggetto della concreta delibera da adottare. A carico dei medesimi condomini, privi di contitolarità con riguardo a quel dato bene, neppure ovviamente si pone un problema di contribuire alle spese. Peraltro, verificare se un bene rientri, o meno, tra quelli necessari all’uso comune, agli effetti dell’art. 1117 c.c., ovvero appartenga ad un unico condominio complesso, costituito, come nella specie, da più fabbricati, in quanto gruppo di edifici che, seppur indipendenti, hanno in comune alcuni beni, suppone valutazioni in fatto, sottratte al giudizio di legittimità. Allorché il ricorrente censura la sentenza della Corte d’Appello per non aver rilevato che si tratterebbe di edifici del tutto distinti e di beni appartenenti soltanto all’uno o all’altro di essi, si invoca da questa Corte un inammissibile diverso apprezzamento, in via inferenziale, di un fatto di causa esaminato dal giudice di merito, oppure si adduce una falsa percezione della realtà in cui sarebbero incorsi i giudici di secondo grado con riguardo a circostanza la cui inesistenza risulterebbe incontestabilmente accertata, profilo comunque estraneo al contenuto cognitivo del giudizio di legittimità. La soluzione in diritto raggiunta dalla Corte di Ancona, sulla base dei richiamati accertamento di fatto, è peraltro corretta. Tra alcune parti comuni, quali, appunto, i muri, i pilastri, le travi portanti, i tetti, le fondazioni, ecc., e le unità immobiliari di proprietà esclusiva sussiste un legame materiale di incorporazione, che rende le prime indissolubilmente legate alle seconde ed essenziali per la stessa esistenza o per l’uso di queste, dalle quali i beni comuni non possono essere separati Cass. Sez. 2, 18/01/2005, n. 962 Cass. Sez. 2, 07/03/1992, n. 2773 Cass. Sez. 2, 10/05/1996, n. 4391 . Operando, dunque, rispetto ai pilastri, la presunzione di condominialità di cui all’art. 1117 c.c. ovvero, altrimenti detto, secondo l’assunto di Cass. Sez. U, 07/07/1993, n. 7449, rientrando essi nel novero di quelle cose che, per le loro caratteristiche strutturali, non risultano destinate oggettivamente al solo servizio esclusivo di una o più unità immobiliari dell’edificio , non ha rilievo alcuno il rinvio che il ricorrente fa all’atto di trasferimento del proprio alloggio dalla Cooperativa omissis del 27 maggio 1982, giacché innanzitutto non emerge che tale alienazione costituisse il titolo costitutivo del condominio di via Brecce Bianche 31/39, ovvero il primo frazionamento della proprietà dell’edificio dall’originario unico proprietario, e poi perché dal titolo dovrebbe risultare non una espressa inclusione di tali pilastri tra le parti comuni, quanto, semmai, una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente ad uno dei condomini la proprietà di dette parti e di escluderne gli altri. Deve infine ribadirsi che, ai fini della corretta ripartizione delle spese tra i condomini di un edificio, riguardanti, nella specie, il risanamento di alcuni pilastri di un complesso immobiliare costituito da più fabbricati, necessari per sostenere la struttura di un singolo edificio sovrastante, nonché quella del camminamento su un porticato esterno condominiale, non è rilevante la titolarità del diritto di proprietà, quanto la funzione della parte dell’edificio bisognosa degli interventi di ristrutturazione, con conseguente applicazione del criterio generale stabilito all’art. 1123 c.c., comma 1, secondo il quale tutti i condomini sono tenuti al pagamento pro-quota, quando i pilastri, come accertato nella specie, siano elementi strutturali portanti l’intero complesso cfr. Cass. Sez. 2, 13/02/2008, n. 3470 . II. Il secondo motivo di ricorso di N.U. denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1105 c.c., e l’omesso esame di fatto decisivo, deducendo l’estraneità della adottata delibera di ripartizione delle spese rispetto alla voce situazione lavori di consolidamento delle opere strutturali dell’edificio , contemplata nell’ordine del giorno dell’assemblea del 27 novembre 2003. II.1. Anche questo secondo motivo è infondato. La Corte d’Appello di Ancona ha affermato che, poiché l’assemblea del 27 novembre 2003 era stata convocata per deliberare sulla situazione lavori di consolidamento delle opere strutturali dell’edificio , la decisione di ripartire le relative spese rappresentava nient’altro che lo sviluppo logico ed ordinario della discussione, anche alla luce di quanto già deliberato nella precedente assemblea del 27 agosto 2003. La decisione della questione di diritto operata dalla Corte d’Appello è conforme all’interpretazione costante della giurisprudenza, consolidatasi prima dell’entrata in vigore dell’art. 66 disp. att. c.c., comma 3, introdotto dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220, e perciò qui non applicabile ratione temporis , secondo cui, affinché la delibera di un’assemblea condominiale sia valida, è necessario che l’avviso di convocazione elenchi, sia pure in modo non analitico e minuzioso, specificamente gli argomenti da trattare sì da far comprendere i termini essenziali di essi e consentire agli aventi diritto le conseguenti determinazioni anche relativamente alla partecipazione alla deliberazione. In particolare la disposizione dell’art. 1105 c.c., comma 3 - che si riteneva applicabile anche in materia di condominio di edifici, in difetto di una analoga prescrizione quale quella ora contenuta nel richiamato art. 66 disp. att. c.c., comma 3, - la quale stabilisce che tutti i partecipanti debbano essere preventivamente informati delle questioni e delle materie sulle quali sono chiamati a deliberare, non comporta che nell’avviso di convocazione debba essere prefigurato lo sviluppo della discussione ed il risultato dell’esame dei singoli punti da parte dell’assemblea. In ogni modo, l’accertamento della completezza o meno dell’ordine del giorno di un’assemblea condominiale - nonché della pertinenza della deliberazione dell’assemblea al tema in discussione indicato nell’ordine del giorno contenuto nel relativo avviso di convocazione - rimane demandato all’apprezzamento del giudice del merito insindacabile in sede di legittimità se, come nel caso della sentenza impugnata, adeguatamente motivato cfr. Cass. Sez. 2, 27/03/2000, n. 3634 Cass. Sez. 2, 22/07/2004, n. 13763 Cass. Sez. 2, 10/06/2014, n. 13047 . Né, anche con riguardo a questa seconda censura, risulta ben invocato il vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, mancando ogni riferimento ad un fatto che abbia carattere decisivo vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia , come anche il rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4. III. Il ricorso va perciò rigettato e il ricorrente va condannato a rimborsare al controricorrente Condominio omissis Brecce Bianche n. 31-39 OMISSIS le spese del giudizio di cassazione. Sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto l’art. 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.