Il piano regolatore del Comune può stabilire distanze maggiori ma non può alterare il metodo di calcolo lineare

In tema di rispetto delle distanze dal confine, ai sensi dell’art. 873 c.c., ai Comuni è riconosciuto il potere di stabilire negli appositi strumenti urbanistici distanze maggiori rispetto a quelle indicate dalla normativa, ma non quello di alterare il metodo di calcolo lineare.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 10580/19, depositata il 16 aprile. Il fatto. Le proprietarie di un immobile convenivano in giudizio una s.r.l. lamentando che essa stesse ultimando, nel terreno confinante con il proprio, un fabbricato in violazione delle norme stabilite dal piano regolatore generale del Comune, sia in riferimento alla distanza tra edifici sia in riferimento alla distanza dal confine e chiedevano la riduzione a distanza legale mediante l’abbattimento del fabbricato con condanna della stessa società a risarcire i danni cagionati. Quest’ultima propone così ricorso. Il rispetto delle distanze. Al riguardo, secondo un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, le distanze tra edifici non si misurano in maniera radicale come avviene per le distanze rispetto alle vedute, ma in modo lineare. Dunque, lo scopo del limite posto dall’art. 873 c.c. è quello di impedire la formazione di intercapedini nocive, sicché tale norma trova giustificazione nel caso che i due fabbricati, sorgenti da bande opposte rispetto alla linea di confine, si fronteggino, ossia che, supponendo di farle avanzare verso il confine in linea retta, si incontrino almeno in un punto. Detto ciò, al Comune è consentito stabilire nei piani regolatori generali distanze maggiori, ai sensi dell’art. 873 c.c., ma non alterare il metodo di calcolo in modo lineare. Sulla base di tale principio, la sentenza impugnata va cassata con rinvio al giudice d’appello per nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 18 settembre 2018 – 16 aprile 2019, n. 10580 Presidente Manna – Relatore Besso Marcheis Fatti di causa 1. P.M. e Pa.Ol.Ma. , proprietarie di un immobile sito in , avevano convenuto in giudizio la società Selva Piana s.r.l., lamentando che la società stesse ultimando, nel terreno confinante con il proprio, un fabbricato violando le norme stabilite dal piano regolatore generale del Comune, sia con riferimento alla distanza tra edifici, sia con riferimento alla distanza dal confine chiedevano pertanto la riduzione a distanza legale mediante abbattimento del fabbricato e la condanna della convenuta a risarcire i danni subiti. Il Tribunale ha accolto la domanda e ha condannato la società Selva Piana a demolire parte del fabbricato di sua proprietà ha invece rigettato la domanda di risarcimento dei danni. 2. La società Selva ha impugnato la sentenza, in particolare censurando la modalità di calcolo della distanza, radiale invece che lineare, adottata la Corte d’appello di Milano ha rigettato l’impugnazione. 3. Avverso la sentenza ricorre in cassazione la società Selva. Le intimate P.M. e Pa.Ol.Ma. non hanno proposto difese. La ricorrente ha depositato memoria. Ragioni della decisione 1. Il ricorso è articolato in quattro motivi a Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, falsa applicazione dell’art. 873 c.c., e per l’effetto del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, e dell’art. 18, delle norme di attuazione del piano regolatore del Comune di il giudice di merito ha falsamente applicato le disposizioni richiamate, avendole applicate a una fattispecie concreta non corrispondente a quella astrattamente prevista dalle medesime, trattandosi nel caso di specie di edifici contrapposti solo di spigolo e non antagonisti. b Il secondo motivo contesta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione degli artt. 872 e 873, e per l’effetto del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, e dell’art. 18 delle norme di attuazione del piano regolatore del Comune di il giudice d’appello avrebbe poi, comunque, errato nell’interpretare le suddette disposizioni, in quanto, secondo la costante interpretazione della Corte di cassazione, le distanze tra edifici non si misurano in modo radiale, come avviene per le distanze rispetto alle vedute, ma in modo lineare. c Il terzo motivo fa valere, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. il giudice d’appello, dopo aver affermato la legittimità del criterio di misurazione delle distanze tra fabbricati a raggio, ha erroneamente, in un obiter dictum, affermato che la distanza di 10 metri non sarebbe stata rispettata anche se calcolata in modo ortogonale. d Il quarto motivo fa valere, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. il giudice d’appello non ha infine considerato che, nella comparsa conclusionale, l’appellante aveva evidenziato come, ai sensi della L.R. n. 12 del 2005, lo strumento urbanistico fosse divenuto privo di efficacia il 31 dicembre 2012 e il Comune di intendesse adottare un nuovo strumento urbanistico, prevedendo la misura lineare e non più radiale della distanza di 10 metri D.M. n. 144 del 1968, ex art. 9, il che è poi avvenuto successivamente al deposito della sentenza impugnata il 21 dicembre 2013. I primi tre motivi, tra loro strettamente connessi, sono fondati. Il giudice d’appello ha osservato che oggetto di censura è unicamente la modalità radiale di misurazione cui sono quindi limitati l’esame e la decisione del gravame , che, in forza del richiamo operato dagli artt. 872 e 873 c.c., i regolamenti edilizi e i piani regolatori generali hanno valore di legge e possono sempre stabilire una distanza maggiore, il che può indifferentemente avvenire sia in virtù della espressa indicazione di una maggiore misura dello spazio che come effetto di una particolare misurazione da essi imposta, così che conclude il giudice - è legittimo il metodo radiale stabilito dall’art. 18, delle norme di attuazione del piano regolatore del Comune di e bene ha fatto il giudice di primo grado ha ritenere violata la distanza minima. L’iter argomentativo del giudice si pone in contrasto con il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui le distanze tra edifici non si misurano in modo radiale come avviene per le distanze rispetto alle vedute, ma in modo lineare anzitutto lo scopo del limite imposto dall’art. 873 c.c., è quello di impedire la formazione di intercapedini nocive, sicché la norma cennata non trova giustificazione se non nel caso che i due fabbricati, sorgenti da bande opposte rispetto alla linea di confine, si fronteggino, anche in minima parte, nel senso che, supponendo di farle avanzare verso il confine in linea retta, si incontrino almeno in un punto così Cass. 2548/1972, più di recente cfr. Cass. 9649/2016 . Ai Comuni, pertanto, è sì consentito, ai sensi dell’art. 873 c.p.c., stabilire negli strumenti urbanistici distanze maggiori, ma non alterare il metodo di calcolo lineare. Il quarto motivo è assorbito dall’accoglimento dei primi tre motivi. 2. La sentenza va pertanto cassata e la causa rinviata al giudice d’appello che la deciderà attenendosi al principio di diritto sopra ricordato il giudice di rinvio provvederà anche in relazione alle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa il provvedimento impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa a diversa sezione della Corte d’appello di Milano, che provvederà anche il relazione alle spese del giudizio di legittimità.