Una nuova unità abitativa nella soffitta accessibile da un solo appartamento: è lesione all’uso paritetico?

Laddove sia prevedibile che gli altri partecipanti non possano fare pari uso della cosa comune, la modifica apportata a quest’ultima da un singolo condomino è da ritenere legittima poiché non è configurabileuna lesione dei diritti degli altri partecipanti se tale impedimento trovi giustificazione nella conformazione strutturale del fabbricato.

Così ribadito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 857/19, depositata il 15 gennaio. L’accesso alla soffitta. La Corte d’Appello di Venezia confermava la pronuncia resa in primo grado che, in mancanza di una valida delibera assembleare ex art. 1120 e 1136, comma 5 c.c., aveva accolto la domanda attorea volta alla demolizione del tetto realizzato dai convenuti in sostituzione della struttura preesistente nell’edificio condominiale. Infatti, come evidenziato dalla ctu, la nuova struttura aveva comportato l’alterazione strutturale del tetto e la realizzazione di una nuova unità abitativa in sostituzione della preesistente soffitta , luogo che era destinato all’accesso comune al tetto dell’edificio. I soccombenti, ricorrono in Cassazione deducendo la falsa applicazione degli artt. 1102, 1120 e 1136 c.c In particolare i ricorrenti lamentano l’erronea attribuzione della qualificazione dell’innovazione apportata al tetto oggetto di lite e sostengono che non poteva darsi tutela all’uso del tetto fatto in precedenza dagli altri condomini poiché era stato attuato mediate illegittimo passaggio attraverso la soffitta e la botola di proprietà dei ricorrenti . La rilevanza della modifica e l’esclusione dell’uso paritetico. Gli Ermellini, ricordando in primo luogo che la nozione di innovazione ex art. 1120 c.c. è differente sia sul piano oggettivo che soggettivo rispetto al concetto di modifiche ex art. 1102 c.c., sottolineano che il condomino proprietario del piano sottostante al tetto comune dell’edificio può trasformare detto locale in terrazza ad uso esclusivo sempre che tale intervento non apporti modifiche significative alla consistenza del bene comune. La S.C., ricordando dunque che l’uso della comune è sottoposto ai limiti dell’art. 1102 c.c., precisa che la nozione di uso paritetico non può essere intesa in termini di assoluta identità di utilizzazione della res , poiché dalla lettura in tal senso della norma de qua , in una dimensione spaziale o temporale, comporterebbe il sostanziale divieto, per ciascun condomino, di fare, della cosa comune, qualsiasi uso particolare a proprio vantaggio . Ne consegue che laddove sia prevedibile che gli altri partecipanti non possano fare pari uso della cosa comune, la modifica apportata a quest’ultima sia da ritenere legittima dal momento che il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i quali, pertanto, costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto . Per tali ragioni, nel caso di specie appare necessario accertare se le modifiche eseguite sul tetto valgano a mutare la destinazione del bene comune tale da escludere il pari uso da parte degli altri condomini, giacché, la costruzione di una nuova unità abitativa ha comportato una definitiva inutilizzazione degli altri condomini. In conseguenza la S.C. accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, ordinanza 17 ottobre 2018 – 15 gennaio 2019, n. 857 Presidente D’Ascola – Relatore Scarpa Fatti di causa e ragioni della decisione D.D.M. e B.D. impugnano, articolando un unico complesso motivo di ricorso, la sentenza della Corte d’Appello di Venezia n. 2006/2016 del 6 settembre 2016. D.D.S. e M.A. resistono con controricorso. La Corte d’Appello di Venezia ha confermato la pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Belluno il 28 maggio 2014, che aveva accolto la domanda di D.D.S. e M.A. volta alla demolizione del tetto realizzato da D.D.M. e B.D. in sostituzione della struttura preesistente nell’edificio di omissis , mancando valida deliberazione assembleare ai sensi degli artt. 1120 c.c. e art. 1136 c.c., comma 5. Il Tribunale rigettò, peraltro, l’ulteriore domanda degli attori diretta all’accertamento dell’esistenza di una servitù di passaggio a carico della proprietà dei convenuti esercitabile attraverso la soffitta ed una botola di accesso al tetto. La Corte d’Appello di Venezia, respingendo il gravame avanzato da D.D.M. e B.D. , ha evidenziato come la CTU espletata aveva dimostrato l’avvenuta alterazione strutturale del tetto, per la sua trasformazione da tre e due falde, l’inserimento di una struttura in acciaio e la realizzazione di una nuova unità abitativa al posto della preesistente soffitta destinata all’accesso comune al tetto tramite la botola. L’unico motivo di ricorso di D.D.M. e B.D. deduce la falsa applicazione degli artt. 1120 e 1136 c.c. e la violazione dell’art. 1102 c.c., essendo erronea l’attribuzione della qualificazione di innovazione all’opera oggetto di lite e trattandosi soltanto di modifica del tetto comune. Né, secondo i ricorrenti, poteva darsi tutela all’uso del tetto fatto in precedenza da D.D.S. e M.A. , in quanto attuato mediante illegittimo passaggio attraverso la soffitta e la botola di proprietà dei ricorrenti. La sussistenza di un diritto di passaggio di D.D.S. e M.A. tramite la soffitta e quindi la botola per accedere al tetto era stata, invero, esclusa dal Tribunale e sul punto non era stata proposta impugnazione, con conseguente formazione del giudicato. Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso proposto potesse essere accolto per manifesta fondatezza, con la conseguente definibilità del ricorso nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5 , il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio. Le parti hanno presentato memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2. Non sussiste l’inammissibilità del ricorso eccepita dai controricorrenti, in quanto le censure proposte involgono ipotesi di violazione di norme di diritto, mentre la disposizione di cui al quinto comma dell’art. 348 ter c.p.c. si limita ad escludere l’ammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, ove la sentenza d’appello confermi quella di primo grado per le stesse ragioni inerenti alle questioni di fatto. L’intervento di ristrutturazione del tetto comune eseguito, nella specie, dai condomini D.D.M. e B.D. non è riconducibile alla nozione di innovazione ex art. 1120 c.c., ma a quello di modificazione ex art. 1102 c.c. Invero, secondo l’interpretazione di questa Corte, le innovazioni di cui all’art. 1120 c.c. si distinguono dalle modificazioni disciplinate dall’art. 1102 c.c., sia dal punto di vista oggettivo, che da quello soggettivo sotto il profilo oggettivo, le prime consistono in opere di trasformazione, che incidono sull’essenza della cosa comune, alterandone l’originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà riconosciute al condomino, con i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c., per ottenere la migliore, più comoda e razionale utilizzazione della cosa per quanto concerne, poi, l’aspetto soggettivo, nelle innovazioni rileva l’interesse collettivo di una maggioranza qualificata, espresso con una deliberazione dell’assemblea, elemento che invece difetta nelle modificazioni, che non si confrontano con un interesse generale, bensì con quello del singolo condomino, al cui perseguimento sono rivolte Cass. Sez. 2, 04/09/2017, n. 20712 . I precedenti giurisprudenziali, che i ricorrenti invocano, hanno affermato che il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune dell’edificio, può trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo, ma sempre che un tale intervento dia luogo a modifiche non significative della consistenza del bene, in rapporto alla sua estensione, e sia attuato con tecniche costruttive tali da non affievolire la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, quali la coibentazione termica e la protezione del piano di calpestio di una terrazza mediante idonei materiali Cass. Sez. 2, 03/08/2012, n. 14107 si vedano anche Cass. Sez. 6 - 2, 04/02/2013, n. 2500 Cass. Sez. 6-2, 25/01/2018, n. 1850 Cass. Sez. 6-2, 21/02/2018, n. 4256 . È evidente come l’accertamento circa la non significatività del taglio del tetto praticato per innestarvi la terrazza di uso esclusivo, nonché circa l’adeguatezza delle opere eseguite per salvaguardare la funzione di copertura e protezione dapprima svolta dal tetto, è riservato al giudice di merito e, come tale, non è censurabile in sede di legittimità per violazione dell’art. 1102 c.c., ma soltanto nei limiti di cui all’art. 360 c.c., comma 1, n. 5. Non contraddicono insanabilmente l’orientamento giurisprudenziale appena richiamato e pronunce invece menzionate dai controricorrenti nella memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, ovvero, in particolare, Cass. Sez. 2, 15/11/2016, n. 23243, che si conformava a Cass. Sez. 2, 28/02/2013, n. 5039,affermando esse l’illegittimità dellecosiddette altane sul presupposto dell’accertamento in fatto di modifiche strutturali comportanti non una modifica finalizzata al migliore godimento della cosa comune , quanto una diversa ed esclusiva utilizzazione di una parte della porzione comune del tetto con relativo impedimento agli altri condomini dell’inerente uso , con correlata perdita per gli altri condomini delle potenzialità di uso del bene comune, definitivamente sottratto ad ogni possibilità di futuro godimento da parte degli altri comproprietari , giacché occupato a beneficio esclusivo del partecipante autore delle opere. Nella specie, per quanto piuttosto accertato in fatto, si ha riguardo ad un intervento di trasformazione del tetto comune da tre e due falde, con inserimento di una struttura in acciaio e la realizzazione di una nuova unità abitativa al posto di una preesistente soffitta, la quale consentiva l’accesso comune al tetto tramite una botola. Essendo incontroversa la proprietà condominiale del tetto, l’accesso comune ad esso è stato inteso dalla Corte d’Appello come conforme alla destinazione tipica e normale del bene. L’illegittimità della modifica dello stato dei luoghi è stata però argomentata dai giudici di secondo grado non con riferimento alla mutata consistenza o funzione del tetto, ma quale effetto del provocato impedimento al passaggio attraverso la botola presente nella soffitta di proprietà esclusiva di D.D.M. e B.D. . Questa Corte, con interpretazione che va qui ribadita, ha affermato che l’esistenza nell’appartamento di proprietà esclusiva sito all’ultimo piano dell’edificio condominiale di una botola sul soffitto per accedere al tetto comune, non conferisce a detto accesso, in mancanza dell’interclusione del fondo dominante, natura di servitù in favore dei condomini cfr. Cass. Sez. 2, 04/11/2008, n. 26493 . Era peraltro stata esclusa dal Tribunale, senza che sul punto venisse proposta impugnazione, l’esistenza di una servitù di passaggio costituita a titolo originario o coattivamente in favore della proprietà di D.D.S. e M.A. ed carico dell’appartamento di proprietà esclusiva di D.D.M. e B.D. . In giurisprudenza si è altresì più volte chiarito come l’uso della cosa comune da parte di ciascun condomino è sottoposto, secondo il disposto dell’art. 1102 c.c., a due fondamentali limitazioni, consistenti nel divieto di alterare la destinazione della cosa comune e nell’obbligo di consentirne un uso paritetico agli altri condomini. Simmetricamente, la norma in parola, intesa, altresì, ad assicurare al singolo partecipante, quanto all’esercizio concreto del suo diritto, le maggiori possibilità di godimento della cosa, legittima quest’ultimo, entro i limiti ora ricordati, a servirsi di essa anche per fini esclusivamente propri, traendone ogni possibile utilità, non potendosi intendere la nozione di uso paritetico in termini di assoluta identità di utilizzazione della res , poiché una lettura in tal senso della norma de qua , in una dimensione spaziale o temporale, comporterebbe il sostanziale divieto, per ciascun condomino, di fare, della cosa comune, qualsiasi uso particolare a proprio vantaggio. Ne consegue che qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non possano fare un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal momento che, in una materia in cui è prevista la massima espansione dell’uso, il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i quali, pertanto, costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto Cass. Sez. 2, 14/04/2015, n. 7466 Cass. Sez. 2, 30/05/2003, n. 8808 Cass. Sez. 2, 12/02/1998, n. 1499 Cass. Sez. 2, 05/12/1997, n. 12344 Cass. Sez. 2, 23/03/1995, n. 3368 . Il più ampio uso del bene comune, da parte del singolo condomino, non configura, così, ex se una lesione o menomazione dei diritti degli altri partecipanti, ove, ad esempio, esso trovi giustificazione nella conformazione strutturale del fabbricato cfr. Cass. Sez. 2, 09/06/1986, n. 3822 . È quindi necessario accertare non la legittimità delle opere attuate da D.D.M. e B.D. nell’unità immobiliare di loro proprietà esclusiva non essendo più in discussione l’esigenza di dare tutela al passaggio realizzato nell’appartamento dei ricorrenti a beneficio della proprietà dei controricorrenti tramite la botola di accesso al tetto , quanto se le modifiche direttamente eseguite sul tetto dagli attuali ricorrenti valgono a mutare la destinazione del bene comune ed ad escluderne il pari uso da parte degli altri condomini, avendo comportato una definitiva sottrazione del tetto ad ogni possibilità di futura utilizzazione degli altri condomini o una compromissione della sua funzione di copertura e protezione delle sottostanti unità immobiliari. Il ricorso va pertanto accolto e va cassata la sentenza impugnata, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia, che deciderà uniformandosi ai richiamati principi e tenendo conto dei rilievi svolti, e provvederà anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.