I singoli condomini sono responsabili per la lesione al decoro architettonico dell’edificio

L’amministratore di condominio non ha legittimazione passiva nell’azione diretta all’accertamento della responsabilità per gli effetti pregiudizievoli derivanti all’edificio da interventi realizzati da singoli condomini con installazioni di manufatti vari sui singoli balconi.

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 29905/18, depositata il 20 novembre. La vicenda. Il Tribunale di Messina veniva adito da un Condominio che chiedeva la condanna di una condomina alla rimozione della chiusura in metallo e vetro realizzata sul balcone prospiciente la via pubblica, oltre al risarcimento del danno per lesione del decoro architettonico dell’edificio. La convenuta, sostenendo la natura precaria della chiusura, non si opponeva alla sua eliminazione a condizione che anche gli altri condomini rimuovessero i diversi manufatti installati sui balconi anch’essi lesivi del decoro architettonico dell’immobile. Il Tribunale accoglieva la domanda principale ma respingeva quella incidentale presentata dalla convenuta per carenza di legittimazione passiva del Condominio. Dopo la dichiarazione di inammissibilità dell’appello, la condomina soccombente ricorre in Cassazione. Lesione del decoro della facciata. Con riferimento al merito della vicenda, la ricorrente si duole del rigetto della domanda riconvenzionale sostenendo che, poiché la facciata dell’edificio costituisce bene comune, la domanda era stata correttamente azionata nei confronti del Condominio posto che l’amministratore avrebbe dovuto attivarsi per tutelarne il decoro nei confronti di tutti i condomini. La doglianza risulta infondata in quanto le dedotte lesioni del decoro della facciata denunciate dalla ricorrente sono state compiuti da altri condomini che avrebbero dovuto essere direttamente evocati in giudizio. L’amministratore non ha infatti alcuna legittimazione passiva a rispondere degli effetti pregiudizievoli derivanti all’edificio da interventi realizzati da singoli condomini. Egli sarebbe invece soggetto legittimato passivo in relazione all’azione volta all’accertamento della sua inerzia nella tutela del decoro dell’edificio, azione che però non è stata sollecitata nel caso di specie. Ritenendo infine inammissibile la doglianza relativa al rigetto dell’istanza di C.T.U., la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 18 luglio – 20 novembre 2018, numero 29905 Presidente Orilia – Relatore Oliva Fatti di causa Con atto di citazione notificato il 4.11.2008 il condominio dell’ omissis evocava in giudizio innanzi il Tribunale di Messina L.R. , proprietaria di un appartamento sito all’interno dello stabile in condominio, per sentirla condannare alla rimozione della chiusura in metallo e vetro realizzata sul balcone prospiciente la via pubblica, nonché al risarcimento del danno derivante dalla lesione del decoro architettonico dell’edificio. Si costituiva la convenuta allegando la natura precaria della chiusura del balcone e dichiarando di non opporsi alla sua eliminazione, a condizione che anche gli altri condomini avessero eliminato i diversi manufatti caldaie, armadi e condizionatori da loro installati sul prospetto condominiale o sui balconi, sul presupposto che anche detti manufatti fossero lesivi del decoro architettonico dell’edificio, spiegando domanda riconvenzionale sul punto. All’esito di C.T.U. il Tribunale accoglieva la domanda principale, sul presupposto che la convenuta ne avesse riconosciuto la fondatezza, mentre respingeva la riconvenzionale per carenza di legittimazione passiva del condominio. Interponeva appello la L. e la Corte di Appello di Messina, con l’ordinanza impugnata, riteneva inammissibile l’impugnazione ai sensi degli articolo 348 bis e ter c.p.c Contro la sentenza di primo grado e l’ordinanza di inammissibilità propone ricorso per cassazione L.R. affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso il condominio omissis . La ricorrente ha depositato memoria. Ragioni della decisione Preliminarmente, va dichiarato inammissibile il ricorso nella parte in cui esso si dirige non soltanto avverso la sentenza di primo grado, ma anche contro l’ordinanza di inammissibilità del gravame pronunciata dalla Corte di Appello di Messina. In argomento, va ribadito il principio secondo cui L’ordinanza di inammissibilità dell’appello resa ex articolo 348 ter c.p.c. è ricorribile per cassazione, ai sensi dell’articolo 111 comma 7 Cost., limitatamente ai vizi suoi propri costituenti violazioni della legge processuale quali, per mero esempio, l’inosservanza delle specifiche previsioni di cui agli articolo 348 bis comma 2 e 348 ter commi 1, primo periodo, e 2, primo periodo, c.p.c. , purché compatibili con la logica e la struttura del giudizio ad essa sotteso Cass. Sez. U, Sentenza numero 1914 del 02/02/2016, Rv.638368 conf. Cass. Sez. 6-1, Ordinanza numero 14312 del 05/06/2018, Rv.649145 . Nel caso di specie la ricorrente non deduce vizi autonomi, di carattere processuale, dell’ordinanza di inammissibilità dell’appello pronunciata dalla Corte messinese, in quanto il primo motivo - per quanto si dirà infra - ha ad oggetto l’inquadramento sotto il profilo sostanziale della domanda da lei svolta, mentre la seconda censura si appunta specificamente sulla sentenza di primo grado. Ne deriva, come detto, l’inammissibilità del ricorso nella parte in cui esso è rivolto contro l’ordinanza ex articolo 348 ter c.p.c. resa dalla Corte territoriale. Passando all’esame del ricorso avverso la sentenza di prime cure, con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli articolo 1130 e 1131 c.c. in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c. dolendosi del rigetto della domanda riconvenzionale, sul presupposto che essa avrebbe dovuto essere diretta nei confronti dei singoli condomini autori delle violazioni del decoro della facciata, e non invece nei confronti del condominio. Ad avviso della ricorrente, poiché la facciata costituisce bene comune l’amministratore avrebbe dovuto attivarsi per tutelarne il decoro nei confronti di tutti i condomini, e quindi la domanda riconvenzionale sarebbe stata legittimamente proposta nei suoi riguardi, in quanto egli non avrebbe assolto agli obblighi posti a suo carico dalla legge. La censura non è fondata. Le ipotetiche lesioni del decoro della facciata lamentate dalla ricorrente sono infatti state compiute da altri condomini e quindi la predetta avrebbe dovuto evocare direttamente in giudizio, come comproprietaria del bene comune pregiudicato, i singoli responsabili delle violazioni. L’amministratore, invece, non ha alcuna legittimazione passiva a rispondere degli effetti pregiudizievoli derivati all’edificio da interventi realizzati da singoli condomini. Al massimo, il rappresentante dell’ente di gestione sarebbe stato passivamente legittimato in relazione all’azione volta all’accertamento dell’illiceità della sua inerzia nell’agire a tutela del decoro dell’edificio, ma la ricorrente non ha proposto simile domanda, avendo ella - piuttosto - invocato direttamente nei confronti dell’amministratore del condominio l’eliminazione dei manufatti ritenuti lesivi del decoro della facciata dell’edificio. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli articolo 164 numero 4 e 163 numero 3 c.p.c. in relazione all’articolo 360 numero 4 c.p.c., in quanto il Tribunale avrebbe illegittimamente disatteso la domanda di accertamento delle violazioni del decoro del fabbricato commesse dagli altri condomini, proposta dalla ricorrente, ritenendola indeterminata. Ad avviso della ricorrente, la domanda era specifica, posto che erano stati indicati, per tipologia e numero, i manufatti asseritamente lesivi del decoro della facciata. Il motivo è assorbito dal rigetto della prima censura. Con il terzo motivo - che non risulta numerato espressamente ma tuttavia ha una sua propria autonomia - la ricorrente lamenta che per effetto delle violazioni denunciate con le prime due censure il primo giudice aveva respinto l’istanza di C.T.U. che la ricorrente aveva formulato anche per la verifica dell’effetto lesivo del decoro della facciata comune riconnesso ai manufatti oggetto della domanda riconvenzionale. La censura - che sarebbe comunque assorbita dal rigetto del primo motivo - è da ritenere in ogni caso inammissibile in quanto la decisione sull’ammissione delle istanze istruttorie riguarda la valutazione del fatto, che appartiene al giudice di merito ed il cui riesame è precluso in questa sede. In argomento, va ribadito il principio secondo cui L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata Cass. Sez. 3, Sentenza numero 12362 del 24/05/2006, Rv.589595 conf. Cass. Sez. 1, Sentenza numero 11511 del 23/05/2014, Rv.631448 Cass. Sez. L, Sentenza numero 13485 del 13/06/2014, Rv.631330 Cass. Sez. L, Sentenza numero 11933 del 07/08/2003, Rv. 565755 Cass. Sez. L, Sentenza numero 322 del 13/01/2003, Rv. 559636 . In definitiva, il ricorso va rigettato e le spese del grado, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. Poiché il ricorso per cassazione è stato proposto dopo il 30 gennaio 2013 ed è rigettato, si ravvisano le condizioni per dare atto, ai sensi dell’articolo 1 comma 17 della Legge numero 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1-quater all’articolo 13 del Testo Unico di cui al D.P.R. numero 115 del 2002, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente grado, che liquida in Euro 3.000, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15%, iva e cassa avvocati come per legge. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1-quater del D.P.R. numero 115/2002, inserito dall’articolo 1 comma 17 della Legge numero 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’articolo 1-bis dello stesso articolo 13.