Computo delle distanze: i pilastri che sporgono dal tetto sono parte integrante della facciata del fabbricato

I pilastri facenti parte della falda del tetto, elevandosi dal suolo, formano parte integrante della facciata dell’immobile e per il computo delle distanze occorre effettuare il calcolo dai punti della loro massima sporgenza, seguendo il disposto normativo di cui all’art 873 c.c

Sul tema è tornata ad esprimersi la Corte di Cassazione con ordinanza n. 26846/18 depositata il 23 ottobre. Il caso. La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, respingeva le proposte formulate dagli appellanti volte ad ottenere l’arretramento, per il rispetto della distanza legale, di un pilastro facente parte della falda del tetto e della soletta del balcone con parapetto, propri del manufatto realizzato dall’appellato in sopraelevazione del primo piano dell’immobile. Per la Corte territoriale il fabbricato era stato posto a distanza inferiore a 5 metri dal confine e la sopraelevazione era stata autorizzata dal Comune a condizione che fossero osservate le diposizioni di legge al riguardo, ritenendo irrilevante il minor distacco di un solo pilastro. Per la cassazione della sentenza propongono ricorso gli attuali ricorrenti. La nozione di costruzione. Il motivo di ricorso censura la violazione degli artt. 873 c.c., 20 e 61 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore del Comune, lamentando che la Corte d’Appello abbia ritenuto in modo del tutto errato applicabile il criterio di calcolo delle distanze dalle superfici perimetralmente chiuse. Tale motivo per gli Ermellini è fondato, in quanto richiamano la ormai consolidata giurisprudenza secondo cui la nozione di costruzione è unica e non può subire deroghe da parte di norme secondarie, neanche quando si tratti del computo delle distanze legali. Rientrano nel concetto civilistico di costruzione” le parti dell’edificio, inclusi, come nel caso di specie gli sporti sorretti da pilastri, destinati ad estendere e ampliare la consistenza del fabbricato. Pertanto, il ricorso viene accolto e la sentenza viene cassata.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 3 luglio – 23 ottobre 2018, n. 26846 Presidente Correnti – Relatore Fortunato Fatti di causa La Corte d’appello di Bari, in riforma della sentenza del Tribunale di Bari, sezione di Acquaviva, ha respinto le domande proposte dagli attuali ricorrenti volte ad ottenere l’arretramento, fino al rispetto della distanza legale, di un pilastro facente parte della falda del tetto e della soletta del balcone con relativo parapetto, elementi costruttivi del manufatto realizzato dal D. in sopraelevazione del primo piano dell’immobile sito in omissis , all’angolo tra la Via e la via omissis . Per quanto qui rileva, il giudice d’appello ha osservato che il fabbricato originario del resistente era posto a distanza inferiore a cinque metri dal confine e che la sopraelevazione era stata autorizzata dal Comune a condizione che fossero osservate le prescrizioni dell’art. 20 delle norme tecniche di attuazione dello strumento urbanistico locale che il pilastro realizzato ex novo sosteneva il solaio del nuovo piano in continuità con quelli del piano sottostante su cui era stata costruita una balconata in fondo alla quale, nel rispetto della distanza legale, erano stati realizzati i volumi chiusi al secondo piano che la costruzione del resistente, posta in posizione obliqua rispetto a quella fronteggiante, rispettava il distacco di cinque metri, calcolato dalla parete di ambito del piano sopraelevato . Ha ritenuto irrilevante il minor distacco di un solo pilastro, del piovente del tetto e del piano di calpestio in fondo al quale si ergeva il secondo piano, ritenendo che, in base alle norme tecniche di attuazione del piano regolatore comunale, la distanza dovesse essere calcolata dalle superficie del fabbricato perimetralmente chiuse. Per la cassazione di questa sentenza P.G. , Pa.Po. , D.S.V.A. e Po.Gi. hanno proposto ricorso in due motivi. Il resistente ha depositato controricorso e memoria illustrativa. Ragioni della decisione 1. Il primo motivo censura la violazione degli artt. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma primo n. 4 c.p.c., sostenendo che la sentenza abbia omesso di pronunciare sull’eccezione di inammissibilità dell’appello con cui era stato dedotto che il D. si era limitato a richiamare gli atti e le difese di primo grado, il contenuto della c.t.u. e il provvedimento collegiale emesso nel giudizio di reclamo ex art. 669 tercdecies c.p.c., senza contrapporre le proprie argomentazioni alla motivazione della decisione di primo grado. Il motivo è infondato. Il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, che può invece ritenersi sussistente solo per il mancato esame di domande od eccezioni di merito, potendosi configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte in via di eccezione Cass. 321/2016 Cass. 1876/2018 Cass. 22083/2013 . In ogni caso, il D. aveva chiesto di riformare la prima pronuncia, invocando il criterio di misurazione prescritto dalle norme tecniche di attuazione del piano regolatore secondo cui le distanze andavano calcolate dalle sole superfici chiuse perimetralmente e tali deduzioni enunciavano con sufficiente chiarezza e specificità le questioni devolute e le ragioni - contrapposte a quelle assunte in primo grado - che sostenevano il gravame, le quali investivano un punto decisivo della controversia, da cui poteva conseguire solo la totale riforma della pronuncia e il rigetto delle domande proposte in primo grado. Secondo i principi enucleati da questa Corte con riferimento al disposto dell’art. 342 c.p.c. applicabile nel testo anteriore alla disciplina introdotta dall’art. 54, comma primo, lettera Oa , D.L. 83/2012, convertito con L. 134/2012 , per il rispetto dell’art. 342 c.p.c. era difatti sufficiente che, alle argomentazioni svolte nella decisione impugnata fossero contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, senza tuttavia la necessità di alcun rigore formale, ove fosse stato possibile desumere dall’atto di appello le questioni controverse e le ragioni di dissenso rispetto al decisum di primo grado Cass. 10401/2001 Cass. s.u., 28498/2005 Cass. s.u. 16/2000 Cass. 3805/1998 Cass. 8297/1997 . 2. Il secondo motivo censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 873 c.c., 61 e 20 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore del Comune di Santeramo, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c., lamentando che la Corte distrettuale abbia erroneamente ritenuto applicabile il criterio di calcolo delle distanze dalle superfici perimetralmente chiuse, in contrasto con il principio secondo cui occorre prendere in considerazione i punti di massima sporgenza, con esclusione dei soli elementi decorativi, di rifinitura o accessoria. Il motivo è fondato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, la nozione di costruzione, agli effetti dell’art. 873 cod. civ., è unica e non può subire deroghe da parte delle norme secondarie neppure al limitato fine del computo delle distanze legali, in quanto il rinvio contenuto ai regolamenti locali è circoscritto alla sola facoltà di stabilire una distanza maggiore Cass. 144/2016 Cass. 19530/2005 Cass. 1556/2005 . A tali effetti, deve ritenersi costruzione qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo Cass. 22127/2009 Cass. 400/2005 . Non sono computabili nelle distanze le sole sporgenze estreme del fabbricato che abbiano funzione meramente ornamentale, di rifinitura od accessoria di limitata entità, mentre rientrano nel concetto civilistico di costruzione le parti dell’edificio, inclusi, come nella specie, gli sporti sorretti da pilastri e i corpi avanzati che seppure non corrispondono a volumi abitativi coperti, sono destinate ad estendere ed ampliare la consistenza del fabbricato Cass. 4322/1989 Cass. 5795/1979 Cass. 1566/1972 Cass. 452/1970 La Corte distrettuale doveva quindi tener conto dei pilastri che, elevandosi dal suolo, formano - di regola - parte integrante della facciata del fabbricato Cass. 2838/1969 Cass. 1393/1968 , del piano di calpestio e del piovente del tetto, e calcolare le distanze dai punti della loro massima sporgenza, benché le norme locali contemplassero un diverso criterio di misurazione, il quale, essendo tuttavia in contrasto con la norma primaria art. 873 c.c. , andava disapplicato. Segue quindi rigetto del primo ed accoglimento del secondo motivo di ricorso. La sentenza impugnata è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’appello di Bari, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Bari anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.