Le norme sulle distanze legali si applicano anche nelle zone con vincolo di inedificabilità assoluta

Le costruzioni realizzate nelle aree ad assoluta inedificabilità devono essere accomunate alle zone ove il regolamento edilizio risulta privo di disposizioni in merito alle regole sulle distanze tra fabbricati.

Primo e secondo grado di giudizio. Una proprietaria agiva in giudizio per ottenere la condanna dei vicini di casa alla riduzione in pristino di alcune strutture dagli stessi edificate. In particolare, secondo l’attrice, i vicini avrebbero realizzato una pensilina ed una sopraelevazione del muro di confine senza rispettare in alcun modo le normative sulle distanze legali tra edifici. Si costituivano in giudizio i convenuti domandando il rigetto della domanda attorea e chiedendo, in via riconvenzionale, che il giudice riconoscesse che la stessa attrice aveva edificato la propria abitazione nonché istallato il serbatoio del GPL con totale spregio delle distanze legali. Il Tribunale, all’esito del giudizio, rigettava sia la domanda principale che quella riconvenzionale dei convenuti. L’attrice, data la soccombenza, adiva quindi la Corte d’Appello, deducendo l’errata applicazione della legge da parte del primo giudice e chiedendo quindi la riforma della sentenza del Tribunale. I convenuti, a loro volta, si costituivano istando per il rigetto della domanda attorea e proponendo appello incidentale condizionato all’accoglimento della domanda principale. La Corte d’Appello, tuttavia, rigettava l’appello principale e conseguentemente la domanda condizionata avanzata dai convenuti . La Corte, in particolare, affermava che le case oggetto di causa fossero state edificate su terreno agricolo sottoposto a vincolo di assoluta inedificabilità. In ragione di ciò, tra le parti non sarebbe stata operativa la normativa prevista dal Piano Regolatore locale in materia di distanze legali tra edifici. Distanze legali il principio di diritto della Corte di Cassazione. L’attrice proponeva quindi ricorso in Cassazione avverso la citata sentenza di appello. Detto ricorso era articolato su tre motivi di diritto. In prima battuta la ricorrente affermava la violazione del d.m. numero 1444/1968. L’art. 9 della norma citata, difatti, prevedeva al punto 2 che Nuovi edifici ricadenti in altre zone è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti . La Corte, secondo la ricorrente, avrebbe errato nel considerare detta norma non immediatamente applicabile alle parti a causa dell’assenza di un Piano Regolatore. Il d.m. numero 1444, difatti, ha natura di norma primaria e come tale deve trovare immediata applicazione nei rapporti tra privati. Il secondo motivo di doglianza, invece, era basato sul presunto errato ragionamento della Corte d’Appello, la quale aveva valutato che le case fossero state edificate in zona agricola priva di piano regolatore. Secondo la ricorrente, invece, gli edifici oggetto di causa sarebbero stati costruiti in zona che, seppur periferica, rientrava comunque nel piano regolatore della città. Il terzo motivo del ricorso era incentrato sulla presunta violazione degli artt. 2909 c.c. e 360 c.p.c., laddove la Corte d’Appello contrastava con due precedenti sentenze. Tali sentenze di merito, passate in giudicato, erano state pronunciate per le stesse parti e per giudizi complementari e inerenti gli stessi edifici. Tali decisioni, affermava la proprietaria, erano basate sul presupposto dell’applicabilità dell’art. 9 d.m. numero 1444/1968 e non vi era ragione, quindi, di discostarsi dal precedente giudicato. Con la sentenza numero 5934/2018 la Seconda Sezione della Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto, limitatamente al primo motivo. Secondo la Corte, infatti, il presupposto per l’applicabilità dell’art. 9 d.m. numero 1444/1968 sarebbe stata l’adozione da parte della Pubblica Amministrazione locale, di un piano regolatore in contrasto con la stessa norma citata. La Cassazione, però, afferma che l’inserzione automatica della disciplina delle distanze dettata dall’art. 9 d.m. numero 1444/1968 nello strumento urbanistico comunale opera non solo quando lo strumento urbanistico stesso, individuando le zone territoriali omogenee, violi le distanze minime prescritte dallo stesso art. 9 per ciascuna zona territoriale, prevedendo una distanza inferiore a quella minima prescritta, ma anche quando lo strumento urbanistico, dopo avere individuato le zone territoriali omogenee, nulla preveda sulle distanze legali relativamente ad esse o ad una di esse così nella sentenza in commento, che richiama altresì Cass. numero 15458/2016 . In accordo alla ratio della norma, proseguiva la Cassazione, il d.m. si deve applicare sia in presenza di distanze inferiori a quelle ivi stabilite sia, a maggior ragione, in caso non vengano previste affatto distanze tra i fabbricati. A conclusione del ragionamento, quindi, la Suprema Corte specificava che le costruzioni realizzate nelle aree ad assoluta inedificabilità devono essere accomunate alle zone ove il regolamento edilizio risulta privo di disposizioni in merito alle regole sulle distanze tra fabbricati, con l’effetto di ricondurre tali costruzioni sotto l’egida dell’art. 41- quinquies L. numero 1150/1942 norma che prevedeva l’obbligo di costruire a distanza legale dagli altri fabbricati, distanza poi indicata con successivo d.m. numero 1444 già citato in precedenza , e non alla disciplina di cui all’art. 873 c.c La Corte d’Appello, quindi, avrebbe errato nel decidere non attenendosi a tali principi di diritto. Sulla base delle predette argomentazioni la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso sulla base del primo motivo e, ritenuti assorbiti gli altri due, cassava la sentenza impugnata e disponeva il rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello per un riesame della vicenda.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 10 gennaio – 12 marzo 2018, n. 5934 Presidente Lombardo – Relatore Dongiacomo Fatti di causa G.M. ha convenuto in giudizio L.R.A. e C.F. chiedendo al tribunale di Roma di accertare che i convenuti avevano realizzato la sopraelevazione del muro di confine ed una pensilina o tettoia in violazione della normativa in materia di distanze legali tra edifici e che gli stessi fossero, per l’effetto, condannati al ripristino dello stato dei luoghi mediante la rimozione delle opere abusive, oltre alla condanna al risarcimento dei danni. L.R.A. e C.F. si sono costituiti e, dopo aver chiesto il rigetto della domanda, perché infondata, hanno chiesto, in via riconvenzionale, che fosse accertato che la sopraelevazione del terreno e l’intera costruzione edilizia della controparte era stata realizzata in violazione delle distanze legali, così come la collocazione di un serbatoio GPL, e che fosse, quindi, ordinata la rimozione ed il ripristino dei luoghi. Il tribunale di Roma, con sentenza del 20/6/2004, ha rigettato la domanda dell’attrice e la domanda riconvenzionale dei convenuti. G.M. ha proposto appello, deducendo la violazione di legge ed il vizio di motivazione. L.R.A. e C.F. hanno chiesto il rigetto dell’appello, perché infondato, e proposto appello incidentale condizionato all’accoglimento dell’appello principale. La corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 6/6/2012, ha rigettato l’appello. La corte, in particolare, per un verso, ha rilevato che le opere per cui è causa sono state edificate su area censita come terreno agricolo sottoposta al vincolo di inedificabilità assoluta e su cui, pertanto, non è operativa la disciplina dei rapporti intersoggettivi di vicinato del PRG che trova applicazione solo in quelle zone ove è prevista una attività edificatoria , tant’è che - ha aggiunto la corte - l’art. 70 del PRG del Comune di Roma, subordinando, nelle zone agricole, la disciplina di ogni nuova edificazione ad uso residenziale alla redazione di un futuro Piano Ambientale di Miglioramento Agricolo, purché se ne dimostri il carattere di integrazione con l’attività di coltura del fondo, esclude la operatività delle norme edificatorie del PRG e delle NTA nelle zone censite come terreno agricolo , e, per altro verso, ha ritenuto che la norma dell’art. 9 del D.M. 2/4/1968, n. 1444, emanato in esecuzione della norma sussidiaria di cui all’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 17/8/1942 introdotto dall’art. 17 della legge 6 agosto 1967 n. 765 che fissa in dieci metri l’obbligo minimo di distanza tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti impone limiti edilizi ai Comuni nella formazione revisione degli appositi strumenti urbanistici, quali i piani regolatori, ma non è immediatamente applicabile, in assenza di questi ultimi, nei rapporti interprivatistici , per cui nella fattispecie non essendo stata disposta dallo strumento urbanistico alcuna disciplina in tema di edificazione nelle zone agricole, che in atto sono inedificabili, non è applicabile la normativa del PRG che riguarda solo le zone in cui è prevista una attività edificatoria per cui trova applicazione la disciplina codicistica , affermando, di conseguenza, che correttamente il Tribunale ha ritenuto che trova applicazione la normativa prevista dall’art. 873 c. c. per quanto riguarda la pensilina o tettoria e quella prevista dall’art. 878 c.c. per quanto riguarda il muro di divisione e che dette opere sono conformi alla predetta previsione normativa . G.M. , con ricorso spedito per la notifica il 14/3/2013 e depositato il 29/3/2013, ha chiesto, per tre motivi, la cassazione della sentenza della corte d’appello, dichiaratamente non notificata. Hanno resistito L.R.A. e C.F., con controricorso spedito per la notifica il 10/4/2013 e depositato in data 11/4/2013. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo, intitolato violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 9 DM 2.4.1968 n. 1444 all’art. 41-quinquies legge 1150 del 17.08.1942 introdotto dall’art. 17 ella legge 6 agosto 1967 n. 765 , art. 32 Costituzione art. 872 e segg. c.c. , la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato l’appello assumendo che le norme sulle distanze tra edifici introdotte dall’art. 9 del D.M. 1444 del 1968 impone limiti edilizi ai Comuni nella formazione o revisione degli appositi strumenti urbanistici, ma non è immediatamente applicabile, in assenza di questi ultimi, nei rapporto interprivatistici, laddove, al contrario, l’art. 9 del D.M. 1444 del 1968, emanato in esecuzione dell’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942, ha natura di norma primaria e deve trovare immediata applicazione ai rapporti tra privati, anche in assenza di strumenti urbanistici, trattandosi di norma volta ad impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario, a salvaguardia del diritto collettivo e individuale, costituzionalmente garantito, alla salute, come affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 120 del 1996. In ogni caso, ha concluso la ricorrente, il muro è stato realizzato in violazione delle NTA del PRG del Comune di Roma, come accertato dal CTU. 2. Con il secondo motivo, la ricorrente, invocando, a norma dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, e, segnatamente, dell’art. 9 del DM 1444/68, degli artt. 41 quinquies, del’art. 15 e dell’art. 7 della legge n. 1150 del 1942, del piano regolatore generale del Comune di Roma e delle norme tecniche di attuazione dello stesso, della deliberazione della Giunta Regionale del Lazio n. 4777 del 3 agosto 1983 approvazione della variante al PRG , dell’art. 1 della legge regionale 2 luglio 1987, n. 36, della deliberazione del Consiglio Comunale di Roma n. 299 del 24 novembre 1992 adozione del piano particolareggiato 49/ O attuazione piano regolatore generale zone O , recupero urbanistico , ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha respinto la domanda sul rilievo della sussistenza, nella zona oggetto degli interventi edili assoggettati a censura, di una situazione di divieto assoluto di edificazione, laddove, al contrario, come segnalato alla corte territoriale, l’area in oggetto, in base alla disciplina vigente all’epoca della realizzazione delle opere di proprietà dei convenuti, non era assoggettata ad alcun vincolo di inedificabiltà ma era già inserita, al momento della edificazione contestata, nel piano di sviluppo individuato come zona O , con la conseguente integrale applicazione delle norme del PRG del Comune di Roma ed, in particolare, delle norme tecniche di attuazione, le quali espressamente consentono la realizzazione di interventi edilizi ai fini residenziali, con integrale recepimento delle prescrizioni dell’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968. 3. Con il terzo motivo, la ricorrente, invocando, a norma dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione di legge, in relazione all’art. 2909 c.c. ed all’art. 324 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata in quanto in contrasto con due precedenti pronunce e, segnatamente, la sentenza n. 817 del 2010 e la sentenza n. 1365 del 2011 , adottate dalla medesima corte territoriale e passate in giudicato, che, all’esito di due giudizi intercorsi tra le medesime parti e relativi ad interventi edilizi complementari rispetto a quelli oggetto di censura nel presente giudizio, hanno accolto le domande della ricorrente sull’esplicito presupposto della piena applicabilità, nella zona, delle norme tecniche di attuazione e delle disposizioni sulle distanze portate dalla normativa statale suppletiva, e cioè il D.M. n. 1444 del 1968. 4. Il primo motivo è fondato. In tema di distanze tra costruzioni, la norma di cui all’art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 che fissa in dieci metri la distanza minima assoluta tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti impone determinati limiti edilizi ai Comuni nella formazione o revisione degli strumenti urbanistici ma non è immediatamente operante anche nei rapporti fra i privati Cass. SU n. 5889 del 1997 conf., Cass. n. 6812 del 2000 Cass. n. 25758 del 2014 . Solo in caso di adozione, da parte degli enti locali, di strumenti urbanistici contrastanti con la norma citata, il giudice di merito ha l’obbligo non solo di disapplicare le disposizioni illegittime, ma anche di applicare direttamente la disposizione del ricordato art. 9, divenuta, per inserzione automatica, parte integrante dello strumento urbanistico in sostituzione della norma illegittima disapplicata Cass. n. 4413 del 2001 Cass. n. 4413 del 2001 più di recente, Cass. n. 25758 del 2014, per la quale il d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 - emanato in esecuzione della norma sussidiaria dell’art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, introdotto dalla legge 6 agosto 1967, n. 765 - che all’art. 9 prescrive la distanza minima inderogabile di metri dieci tra pareti finestrate o pareti di edifici antistanti, impone determinati limiti edilizi ai comuni nella formazione o nella revisione degli strumenti urbanistici, ma non è immediatamente operante nei rapporti tra privati . Nel caso di specie, la corte d’appello, dopo aver accertato, in fatto, che le opere per cui è causa sono state edificate su area censita come terreno agricolo sottoposta al vincolo di inedificabilità assoluta e su cui, pertanto, non è operativa la disciplina dei rapporti intersoggettivi di vicinato del PRG che trova applicazione solo in quelle zone ove è prevista una attività edificatoria , ha ritenuto che la norma dell’art. 9 del D.M. 2/4/1968, n. 1444, emanato in esecuzione della norma sussidiaria di cui all’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 17/8/1942 introdotto dall’art. 17 della legge 6 agosto 1967 n. 765 che fissa in dieci metri l’obbligo minimo di distanza tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti impone limiti edilizi ai Comuni nella formazione revisione degli appositi strumenti urbanistici, quali i piani regolatori, ma non è immediatamente applicabile, in assenza di questi ultimi, nei rapporti interprivatistici , per cui nella fattispecie non essendo stata disposta dallo strumento urbanistico alcuna disciplina in tema di edificazione nelle zone agricole, che in atto sono inedificabili, non è applicabile la normativa del PRG che riguarda solo le zone in cui è prevista una attività edificatoria per cui trova applicazione la disciplina codicistica , affermando, di conseguenza, che correttamente il Tribunale ha ritenuto che trova applicazione la normativa prevista dall’art. 873 c.c. per quanto riguarda la pensilina o tettoria e quella prevista dall’art. 878 c. c. per quanto riguarda il muro di divisione e che dette opere sono conformi alla predetta previsione normativa . In effetti, solo una volta che l’ente locale abbia adottato lo strumento urbanistico, contenente disposizioni sulle distanze tra le costruzioni che violino i parametri minimi stabiliti dall’art. 9 del d.m. 2 aprile 1968 n. 1444, il giudice di merito è tenuto a disapplicare le disposizioni del regolamento comunale illegittime e ad applicare direttamente, anche nei rapporti tra privati, la disposizione del detto art. 9, la quale diviene, per inserzione automatica, parte integrante dello strumento urbanistico in sostituzione della norma illegittima Cass. SU n. 14953 del 2011, Cass. SU n. 20354 del 2013 Cass. n. 27558 del 2014 . Rileva, tuttavia, la Corte che l’inserzione automatica della disciplina delle distanze dettata dall’art. 9 del d.m. 2 aprile 1968 n. 1444 nello strumento urbanistico comunale opera non solo quando lo strumento urbanistico stesso, individuando le zone territoriali omogenee, violi le distanze minime prescritte dallo stesso art. 9 per ciascuna zona territoriale, prevedendo una distanza inferiore a quella minima prescritta, ma anche quando lo strumento urbanistico, dopo aver individuato le zone territoriali omogenee, nulla preveda sulle distanze legali relativamente ad esse o ad una di esse . Invero, poiché l’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 impone agli enti locali di prevedere distanze minime per ciascuna zona omogenea, anche la mancata previsione delle distanze tra fabbricati costituisce senza dubbio violazione della previsione dell’art. 9. È agevole rilevare, d’altra parte, come sarebbe illogico ritenere sussistente la violazione dell’art. 9 del d.m. 2 aprile 1968 n. 1444 ove lo strumento urbanistico preveda una distanza inferiore a quella minima prescritta dalla legge e non ritenere, invece, la medesima violazione quando lo strumento urbanistico non preveda alcuna distanza affatto, incorrendo così in una più grave violazione della legge. In definitiva, ogni volta che lo strumento urbanistico pianifichi il territorio, qualificandolo secondo le zone territoriali omogenee come definite dal d.m. n. 1444 del 1968, diviene obbligatorio osservare le distanze minime prescritte dall’art. 9 del detto decreto ministeriale per ciascuna zona territoriale. Qualora lo strumento urbanistico recepisca le prescrizioni in materia di distanze tra costruzioni dettate dall’art. 9 del d.m. 2 aprile 1968 n. 1444 ovvero stabilisca distanze più rigorose, si applicheranno le norme del regolamento comunale. Qualora, invece, lo strumento urbanistico non osservi le prescrizioni del detto art. 9, o in quanto prevede distanze minori ovvero in quanto non prevede affatto alcuna distanza tra i fabbricati, si determinerà l’inserzione automatica delle prescrizioni dell’art. 9 nello strumento urbanistico, divenendo così tali prescrizioni - a mezzo dello strumento urbanistico del quale entrano a far parte - immediatamente applicabili anche ai rapporti tra privati Cass. n. 15458 del 2016, in motiv., per la quale Sussiste violazione delle prescrizioni dettate in materia di distanze minime tra fabbricati dall’art. 9 del d. m. 2 aprile 1968 n. 1444 sia qualora il regolamento locale preveda distanze inferiori a quelle minime prescritte sia qualora il detto regolamento non preveda alcuna distanza tra fabbricati relativamente ad una o più zone territoriali omogenee dal medesimo individuate. In tali casi, si determinerà l’inserzione automatica, nello strumento urbanistico, della disciplina dettata dal detto art. 9 e tale disciplina si sostituirà ipso iure alle disposizioni regolamentari illegittime, divenendo così parte integrante del regolamento comunale e immediatamente operante - in virtù della natura integrativa del regolamento rispetto all’art. 873 cod. civ. - anche nei rapporti fra privati Cass. n. 26123 del 2015, in motiv., per cui il caso delle costruzioni realizzate in zona assoggettata a vincolo di inedificabilità assoluta deve essere equiparato al caso in cui il regolamento edilizio sia privo di disposizioni sulle distanze legali, cosicché le dette costruzioni devono ritenersi sottoposte alle disposizioni sulle distanze legali previste dall’art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, introdotto dall’art. 17 della legge n. 765 del 1967 c. d. legge ponte , e non alla disciplina prevista dall’art. 873 cod. civ. . 5. La sentenza impugnata non si è attenuta a tali principi e dev’essere, come tale, cassata, con assorbimento degli altri motivi, con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Roma, anche ai fini della regolazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte così provvede accoglie il ricorso, relativamente al primo motivo, assorbiti gli altri cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Roma, anche ai fini della regolazione delle spese del presente giudizio.