Il cd. condominio minimo è composto da due soli partecipanti con diritti di comproprietà sui beni comuni nella stessa proporzione. Trattasi di un istituto relativamente giovane che non trova definizione nel codice civile il cui regime giuridico è frutto di un’interpretazione dottrinale e giurisprudenziale.
Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza numero 5329/17 depositata il 2 marzo. Il caso. Il caso riguarda una lite tra due condomini di un condominio minimo circa la validità di una delibera adottata durante una assemblea condominiale. Il Giudice di Pace aveva posto detta delibera quale titolo per l’emissione di un decreto ingiuntivo. A questa ingiunzione vi si opponeva l’ingiunto ed il Tribunale di Sanremo accoglieva l’opposizione, revocando il decreto ingiuntivo e riformando la sentenza del Giudice di Pace. Le motivazioni poste alla base della decisione riformata dal Tribunale consistevano in due punti focali la sentenza era appellabile, seppur pronunciata secondo equità, in quanto emessa in violazione dei principi regolatori della materia condominiale quindi in violazione dell’espressa ipotesi prevista dall’articolo 339, comma 3, c.p.c. che stabilisce che «le sentenze del Giudice di Pace pronunciate secondo equità sono appellabili esclusivamente per violazione [] dei principi regolatori della materia» inoltre, la delibera condominiale posta a base del decreto ingiuntivo era affetta da nullità radicale se non da inesistenza, perché è stata adottata da uno solo dei condomini e vertendo in ipotesi di cd. condominio minimo occorreva necessariamente l’unanimità della decisione. Da considerarsi unanime la decisione adottata anche da un solo soggetto purché frutto della partecipazione di entrambi i comproprietari. La decisione della Corte di appello veniva poi confermata dalla Suprema Corte, la quale nel respingere il ricorso rilevava che nel condominio minimo si applicano le regole del codice civile sul funzionamento dell’assemblea. Ciò però, allorché l’assemblea si costituisca regolarmente con la partecipazione di entrambi i condomini e la decisione si deliberi con decisione unanime. Da intendersi con tale espressione quindi il risultato della partecipazione di entrambi i comproprietari alla discussione. Se non è possibile pervenire ad una decisione unanime bisogna azionare il procedimento camerale previsto dall’articolo 1105 c.c Nell’ipotesi in cui non sia possibile pervenire ad una decisione unanime, sia che si tratti di una decisione contrastante, sia che all’assemblea - benché regolarmente convocata - si presenti uno solo dei partecipanti del condominio minimo come nella fattispecie esaminata dalla Suprema Corte , è necessario ricorrere all’autorità giudiziaria ai sensi dell’articolo 1105 c.c In caso contrario la decisione è da intendersi quale mera manifestazione unilaterale di volontà e non una delibera condominiale. In questo caso non sarà possibile applicare al condominio minimo le regole codicistiche mancando l’unanimità della decisione quale elemento essenziale a tal fine.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 12 gennaio – 2 marzo 2017, numero 5329 Presidente Bianchini – Relatore Orilia Ritenuto in fatto 1 Il Tribunale di Sanremo, con sentenza 22.11.2012, ha accolto l’appello proposto da O.D.M.G. nei confronti di R.B.A. e della sas Immobiliare via di Va.Fa. & amp C contro la sentenza 205/09 del locale Giudice di Pace e, riformandola, ha revocato il decreto ingiuntivo numero 18/08 emesso dal Giudice di Pace in data 29.1.2008 per Euro 734,20 a titolo di spese condominiali oltre interessi e spese legali , dichiarando il R.B. tenuto alla restituzione in favore della Immobiliare via di Va.Fa. & amp C. sas della somma di Euro 1.422,21. Il Tribunale ha motivato la sua decisione osservando, per quanto ancora interessa - che le eccezioni di inammissibilità dell’appello sollevate dal R.B. erano infondate sia perché si trattava di sentenza appellabile in quanto, seppur pronunciata secondo equità, era stata emessa in ipotesi di violazione dei principi regolatori della materia condominiale e quindi in una delle ipotesi espressamente previste dal terzo comma dell’articolo 339 cpc , sia perché risultava soddisfatto il requisito di specificità dei motivi di impugnazione richiesto dall’articolo 342 cpc - che il titolo posto a base del decreto ingiuntivo emesso nei confronti del R.B. era rappresentato da una delibera condominiale affetta da nullità radicale se non addirittura da inesistenza, perché - vertendosi in ipotesi di condominio cd. minimo in quanto composto solo dal R.B. e dalla O.d.M. occorreva necessariamente l’unanimità della decisione mentre nel caso di specie la delibera era stata adottata da uno solo dei partecipanti il R.B. , stante l’assenza dell’altra - che era da considerarsi nuova, e dunque inammissibile, la richiesta, avanzata dall’appellato, di poter ripetere le somme anticipate in via di urgenza - che, di conseguenza, andava evidenziato, a titolo di mero accertamento, l’obbligo del R. di restituire le somme ricevute dopo la sentenza di primo grado, precisandosi che la restituzione andava disposta in favore della società immobiliare per avere questa in precedenza rimborsato, in adempimento di specifici obblighi contrattuali, la O.d.M. che aveva a sua volta provveduto al pagamento degli importi in favore del R. in esecuzione della pronuncia di primo grado . 2 Contro tale sentenza ricorre per cassazione il R.B. con cinque motivi a cui resistono con controricorso la O.d.M. e la società Immobiliare. Il ricorrente e l’O.d.M. hanno depositato memorie ai sensi dell’articolo 378 cpc. Considerato in diritto 1 Col primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli articolo 339 comma 3 e 113 comma 2 cpc in relazione all’articolo 360 numero 3 cpc per avere il Tribunale ritenuto ammissibile l’appello formulato alla O.d.M. benché si trattasse di sentenza pronunciata secondo equità e, dunque, non appellabile. Il motivo è infondato. L’articolo 339 terzo comma cpc indica i casi di appellabilità per le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità e tra questi elenca espressamente il caso di violazione dei principi regolatori della materia . I giudici di merito hanno accertato che con l’appello si era evidenziato proprio la violazione dei principi regolatori della materia condominiale ed in particolare della formazione della volontà del condominio e quindi la censura non coglie nel segno. 2 Col secondo motivo il ricorrente deduce ai sensi dell’articolo 360 numero 3 cpc, violazione e falsa applicazione dell’articolo 342 cpc dolendosi del rigetto dell’eccezione di inammissibilità del gravame sollevata per difetto di specificità dei motivi. Tale censura è inammissibile. Come, infatti, più volte affermato da questa Corte, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione - che trova la propria ragion d’essere nella necessità di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte - vale anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali si denuncino errori da parte del giudice di merito ne consegue che, ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione dell’articolo 342 cod. proc. civ. conseguente alla mancata declaratoria di nullità dell’atto di appello per genericità dei motivi, deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi formulati dalla controparte v. Sez. 3, Sentenza numero 86 del 10/01/2012 Rv. 621100 Sez. 5, Sentenza numero 12664 del 20/07/2012 Rv. 623401 Sez. L, Sentenza numero 9734 del 21/05/2004 Rv. 580597 . Nel caso in esame, come appare evidente dalla lettura del motivo, il ricorrente si è sottratto a tale onere, avendo omesso di trascrivere i motivi di appello a suo dire privi di specificità e di conseguenza la censura perde ogni consistenza. 3 Col terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli articolo 1136, 1139, 1105 cc in relazione all’articolo 360 n 3 cpc per avere il giudicante in grado di appello ritenuto nulla, se non inesistente la delibera 12.6.2007 del Condominio di OMISSIS . Secondo il ricorrente il Tribunale ha errato nel ritenere la delibera nulla o addirittura inesistente, avendo fatto confusione tra il concetto di unanimità e quello di totalità, che non sono assimilabili rileva in particolare che l’unanimità richiesta dalla giurisprudenza ai fini della validità delle delibere del condominio minimo può validamente formarsi non solo nel caso di concordanza di opinioni espresse dai due partecipanti, ma anche nell’ipotesi - verificatasi in concreto nel caso di specie - di decisione assunta dall’unico condominio comparso all’assemblea regolarmente convocata il R.B. , appunto . Ritiene che nel condominio minimo l’assemblea possa ritenersi validamente costituita anche nel caso in cui compaia uno solo dei partecipanti ed in tal caso la delibera debba ritenersi adottata all’unanimità degli intervenuti e nel rispetto del quorum richiesto dall’articolo 1136 cc. In ogni caso, secondo la tesi del ricorrente, si tratterebbe al più di delibera annullabile perché affetta da vizi attinenti alla regolare costituzione dell’assemblea o adottata con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, con la conseguenza che in tale ipotesi, occorreva una tempestiva impugnazione della delibera nei termini di legge, nel caso di specie non proposta. Il motivo è infondato. Le sezioni unite hanno affermato che la disciplina dettata dal codice civile per il condominio di edifici trova applicazione anche in caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti, tanto con riguardo alle disposizioni che regolamentano la sua organizzazione interna, non rappresentando un ostacolo l’impossibilità di applicare, in tema di funzionamento dell’assemblea, il principio maggioritario, atteso che nessuna norma vieta che le decisioni vengano assunte con un criterio diverso, nella specie all’unanimità, quanto, a fortiori , con riferimento alle norme che regolamentano le situazioni soggettive dei partecipanti, tra cui quella che disciplina il diritto al rimborso delle spese fatte per la conservazione delle cose comuni Sez. U, Sentenza numero 2046 del 31/01/2006 Rv. 586562 v. anche Sez. 6 - 2, Ordinanza numero 5288 del 03/04/2012 . Altra e più recente giurisprudenza ha ritenuto che nel caso di condominio c.d. minimo, non si applicano le norme sul funzionamento dell’assemblea condominiale, ma quelle relative all’amministrazione di beni oggetto di comunione in generale v. Sez. 2, Sentenza numero 7457 del 14/04/2015 Rv. 635000 - 01 ma evidentemente sempre con riferimento all’ipotesi di mancanza di accordo tra le parti . Da tali principi discende dunque che nel condominio cd. minimo formato, cioè da due partecipanti con diritti di comproprietà sui beni comuni nella stessa proporzione le regole codicistiche sul funzionamento dell’assemblea si applicano allorché l’assemblea si costituisca regolarmente con la partecipazione di entrambi i condomini e deliberi validamente con decisione unanime, intendendosi con tale ultima espressione decisione unanime quella che sia frutto della partecipazione di entrambi i comproprietari alla discussione essendo logicamente inconcepibile che la decisione adottata da un solo soggetto possa ritenersi presa all’unanimità . Ed è proprio questo il senso della pronuncia delle sezioni unite numero 2046/2006 ove in motivazione testualmente si afferma nessuna norma impedisce che l’assemblea, nel caso di condominio formato da due soli condomini, si costituisca validamente con la presenza di tutti e due i condomini e all’unanimità decida validamente . Si rivela così infondata la tesi formalistica del ricorrente secondo cui, se la Corte Suprema avesse voluto richiedere sempre la presenza di entrambi e la votazione unanime, avrebbe detto espressamente che in un condominio minimo ci vuole sempre il consenso di entrambi senza approfondire l’applicabilità dell’articolo 1136 cc. Nella diversa ipotesi in cui non si raggiunga l’unanimità e non si decida, poiché la maggioranza non può formarsi in concreto diventa necessario ricorrere all’autorità giudiziaria, siccome previsto ai sensi del collegato disposto degli articolo 1105 e 1139 cod. civ. v. sez. unite cit. in motivazione . Volendo esemplificare, si tratta del caso in cui all’assemblea, pur essendo presenti entrambi i condomini, si decida in modo contrastante, oppure, a maggior ragione, del caso, verificatosi nella fattispecie in esame, in cui alla riunione - benché regolarmente convocata - si presenti uno solo dei partecipanti e l’altro resti assente per sbloccare la situazione di stallo venutasi di fatto a determinare, non resta che i ricorso all’autorità giudiziaria ai sensi dell’articolo 1105 CC. Ora, nel caso di specie, l’avvocato R.B. fu certamente diligente nel tentare la prima e più semplice soluzione, convocare la zia condomina per discutere dei lavori al fabbricato, ma avrebbe dovuto poi prendere atto, proprio perché si trattava di un condominio minimo , della impossibilità di costituire l’assemblea per assenza dell’altra partecipante e quindi per l’impossibilità di pervenire ad una decisione unanime nel senso sopra inteso , condizione essenziale per la adozione di una valida delibera da poter poi mettere in esecuzione nelle forme di legge e, posto di fronte ad una tale situazione di impasse, aveva l’onere di azionare il procedimento camerale previsto dall’articolo 1105 cc. lasciando poi che fosse l’autorità giudiziaria a prendere i provvedimenti opportuni, non esclusa la nomina di un amministratore. La diversa scelta di decidere da solo si risolve invece non in una delibera condominiale, ma in una mera manifestazione unilaterale di volontà proprio perché - lo si ripete - mancava l’unanimità della decisione e quindi la condizione essenziale per l’applicabilità al condominio minimo di OMISSIS delle regole codicistiche. Non merita pertanto nessuna censura la sentenza impugnata che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ha rilevato di ufficio la nullità o addirittura l’inesistenza della delibera posta a fondamento del decreto stesso v. al riguardo Sez. 2, Sentenza numero 305 del 12/01/2016 Rv. 638022 . 4 Col quarto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli articolo 183, 345, 645 e 115 cpc per avere il Tribunale ritenuto come domanda nuova la prospettazione delle spese come necessarie ed urgenti. Il motivo è infondato. Il procedimento monitorio per ottenere il pagamento della quota di spettanza della zia in relazione ai lavori di sistemazione della villa è stato azionato da R.B. in veste di coammministratore del bene comune sulla base ci una delibera condominiale di approvazione della relativa spesa. Nessun riferimento dunque in quella sede, neanche in via subordinata, ad una domanda di rimborso per spese urgenti in veste di condomino ai sensi dell’articolo 1134 cc. La decisione del Tribunale è giuridicamente corretta perché la domanda di rimborso ex articolo 1134 cc contiene una causa petendi completamente diversa rispetto a quella di pagamento avanzata dall’amministratore nel primo caso, urgenza delle spese per le cose comuni sostenute dal condomino senza autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea nel quadro di una tipica attività gestoria nel secondo caso, esistenza di una valida autorizzazione dell’assemblea condominiale . 5 Col quinto ed ultimo motivo si lamenta, infine, la violazione dell’articolo 2033 cc per avere il Tribunale dichiarato l’esponente tenuto a restituire le somme alla Immobiliare via sas piuttosto che alla O.d.M. . Tale motivo è inammissibile per difetto di interesse articolo 100 cpc . L’interesse ad impugnare va apprezzato in relazione all’utilità concreta che deriva alla parte dall’eventuale accoglimento dell’impugnazione stessa, non potendo esaurirsi in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, priva di riflessi pratici sulla decisione adottata tra le tante, Sez. 2, Sentenza numero 15353 del 25/06/2010 Rv. 613939 - 01 Sez. L, Sentenza numero 13373 del 23/05/2008 Rv. 603196 - 01 Sez. 1, Sentenza numero 11844 del 19/05/2006 Rv. 589392 - 01 . Nel caso in esame il ricorrente non ha spiegato quale sia in concreto l’interesse concreto a che le somme da sborsare vadano a favore dell’una piuttosto che dell’altra parte e quindi anche tale censura non coglie nel segno. 6 Il rigetto del ricorso e quindi la conferma della revoca dell’ingiunzione di pagamento assorbe logicamente la questione del frazionamento del credito unitario, richiamata nel controricorso e di cui pure si era doluta l’appellante. 7 La soccombenza del ricorrente comporta la condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità. La richiesta di condanna aggravata avanzata in udienza dal Procuratore Generale non può trovare accoglimento. Nel caso in esame, infatti, il ricorso non è stato ritenuto né inammissibile, né manifestamente infondato e non si ravvisano profili di colpa grave nel comportamento del ricorrente perché il nucleo centrale della lite condominiale, sfociata in sede di legittimità, è costituito da una questione di diritto la disciplina giuridica del condominio minimo di elaborazione giurisprudenziale e di non semplice soluzione. Non si ravvisano pertanto le condizioni per la rimessione della questione alle sezioni unite, pure in subordine domandata dalla parte pubblica. Considerato, infine, che il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è stato rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell’articolo 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, numero 228 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto il comma 1 quater all’articolo 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115 della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida, per ciascuno dei controricorrenti, in complessivi Euro 2.500,00 di cui Euro 200,00 per esborsi. Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 - quater, del D.P.R. numero 115 del 2002, inserito dall’articolo 1, comma 17, della legge numero 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 - bis dello stesso articolo 13.