Actio confessoria servitutis: natura dichiarativa o costitutiva della sentenza

L’actio confessoria servitutis, nel caso in cui il fondo dominante o servente, od anche entrambi, appartengano pro indiviso a più proprietari, e l’azione sia diretta soltanto a far dichiarare, nei confronti di chi ne contesti o ne impedisca l’esercizio, l’esistenza della servitù o a conseguire la cessazione delle molestie, non dà luogo a litisconsorzio, né dal lato attivo né da quello passivo.

Con la pronuncia n. 6622/16, depositata il 6 aprile, la Corte di Cassazione interviene ribadendo consolidati principi in tema di litisconsorzio necessario e natura dell’ actio negatoria servitutis . Negatoria servitutis e litisconsorzio tra comproprietari del fondo. La fattispecie sottesa all’ordinanza in rassegna riguarda l’azione negatoria esercitata dal proprietario del fondo servente cui seguiva, da parte dei convenuti comproprietari del fondo servente, domanda riconvenzionale volta ad accertare la servitù acquistata per usucapione. A fronte del rigetto della domanda principale e dell’accoglimento della riconvenzionale in primo grado, la Corte di appello dichiarava invece la nullità della sentenza di primo grado rimettendo le parti davanti al giudice di primo grado ritenendo che non avevano partecipato al giudizio gli altri comproprietari del fondo dominante, litisconsorti necessari della domanda riconvenzionale. Afferma sul punto la Corte territoriale che con l’ actio in parola si mirava a creare un vincolo di natura reale ed a provocare l’emanazione di una sentenza costitutiva [ ] inutiliter data senza la presenza di tutti i titolari del rapporto . Contro la decisione di appello veniva interposto ricorso per cassazione, ove, con un unico motivo di gravame, si censurava la sentenza di merito per aver erroneamente affermato la natura costitutiva dell’azione in concreto esercitata, atteso che alla stessa doveva essere invece riconosciuta natura dichiarativa. Natura costitutiva e natura dichiarativa dell’actio cofessoria servitutis. La Corte, sulla scorta del consolidato orientamento di legittimità, afferma che l’actio confessoria servitutis , nel caso in cui il fondo dominante o servente, od anche entrambi, appartengano pro indiviso a più proprietari, comporta un litisconsorzio necessario tra tutti i comproprietari quando non si risolva in un mero accertamento, bensì sia diretta anche ad una modificazione della cosa comune, mediante la demolizione di manufatti o di costruzioni comuni, che non può essere disposta od attuata pro quota , in assenza di uno dei contitolari del diritto dominicale. Per contro, aggiunge la Corte, ove il fondo dominante o quello servente o entrambi appartengano pro indiviso a più proprietari e l’azione sia diretta soltanto a far dichiarare, nei confronti di chi ne contesti o ne impedisca l’esercizio, l’esistenza della servitù o a conseguire la cessazione delle molestie, non v’è luogo a litisconsorzio, né dal lato attivo né da quello passivo Cass. 8261/20102 3156/1998 2449/1981 202/1979 5030/1977 2597/1967 . Su tali presupposti, rientrando la fattispecie oggetto del contendere in tale seconda ipotesi, la pronuncia in rassegna accoglie il ricorso con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 15 gennaio – 6 aprile 2016, n. 6622 Presidente Petitti – Relatore Manna Svolgimento del processo e motivi della decisione 1. - Il Consigliere relatore, designato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato in cancelleria la seguente relazione ex artt. 380-bis e 375 c.p.c. 1. - L.A. , comproprietaria in omissis di una corte adibita a strada e collegata alla via omissis , agiva in negatoria servitutis del passo pedonale che ivi i coniugi S.C. e P.P. , proprietari di un vicino immobile abitativo, pretendevano di esercitare. Nel resistere in giudizio i convenuti domandavano in via riconvenzionale l’accertamento della servitù, che sostenevano di aver acquistato per usucapione. Con sentenza n. 169/06 l’adito Tribunale di Benevento, sezione distaccata di Guardia Sanframondi, rigettava la domanda principale ed accoglieva quella riconvenzionale. 1.1. - Sull’impugnazione di L.A. , la Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 2204/13, dichiarava nulla tale sentenza e rimetteva le parti innanzi al Tribunale, ai sensi dell’art. 354 c.p.c., per non aver partecipato al giudizio di primo grado, quali litisconsorti necessari in relazione alla sola riconvenzionale confessoria, gli altri comproprietari della corte pretesa servente. Mentre la domanda negatoria poteva essere utilmente sperimentata, a tutela della proprietà comune, anche da uno solo dei condomini, senza che ciò involgesse il litisconsorzio necessario degli altri comproprietari, la domanda confessoria servitutis , osservava la Corte territoriale, tendeva ad imporre sul fondo comune dell’attrice un vincolo di natura reale ed a provocare l’emanazione di una sentenza costitutiva inutiliter data senza la presenza di tutti i titolari del rapporto . 2. - Per la cassazione di tale sentenza S.C. e P.P. propongono ricorso, affidato ad un solo motivo. 2.1. - Resiste con controricorso L.A. . 3. - Con l’unico motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 102, 112, 353 e 354 c.p.c., nonché il vizio motivazionale e di omesso esame di una circostanza decisiva per il giudizio. Ciò in quanto, si sostiene, l’ actio confessoria servitutis mira all’emissione di una sentenza dichiarativa e non costitutiva. 4. - Il motivo è fondato s’intende, sotto il profilo della falsa applicazione dell’art. 102 c.p.c., ad esso erroneamente ricondotta la fattispecie processuale . Come affermato più volte da questa Corte, l’atrio confessarla o negatoria servitutis, nel caso in cui il fondo dominante o servente, od anche entrambi, appartengano pro indiviso a più proprietari, comporta un litisconsorzio necessario tra tutti i comproprietari quando non si risolva in un mero accertamento, bensì sia diretta anche ad una modificazione della cosa comune, mediante la demolizione di manufatti o di costruzioni comuni, che non può essere disposta od attuata pro quota, in assenza di uno dei contitolari del diritto dominicale. Per contro, ove il fondo dominante o quello servente o entrambi appartengano pro indiviso a più proprietari e l’azione sia diretta soltanto a far dichiarare, nei confronti di chi ne contesti o ne impedisca l’esercizio, l’esistenza della servitù o a conseguire la cessazione delle molestie, non v’è luogo a litisconsorzio necessario, né dal lato attivo né da quello passivo Cass. nn. 8261/02, 3156/98, 2449/81, 202/79, 5030/77 e 2597/67 . Nella specie, è ovvio che la servitù, al pari di qualsivoglia altro diritto, sorga per effetto di un titolo derivativo od originario il quale, per ciò stesso, la costituisce, ma non per questo la sentenza che ne accerti l’esistenza è essa stessa costitutiva, come invece avviene nelle ipotesi di servitù coattive disposte non per contratto ma con sentenza. 5. - Pertanto, si propone la decisione del ricorso con le forme camerali, nei sensi di cui sopra, in base all’art. 375, n. 5 c.p.c. . 2. - La Corte preliminarmente rileva l’infondatezza dell’eccezione d’inammissibilità del ricorso per intervenuta estinzione del processo, sollevata dalla parte controricorrente in considerazione del fatto che il ricorso per cassazione è stato notificato decorso il termine di sei mesi fissato dalla Corte d’appello per la riassunzione del giudizio innanzi al giudice di primo grado. Infatti, in caso di rimessione della causa dal giudice di appello a quello di primo grado per l’integrazione del contraddittorio, il termine di sei mesi per la riassunzione del processo decorre, ancorché sia stato diversamente disposto dal giudice, dalla notificazione della sentenza, come disposto dall’art. 353 c.p.c., richiamato dal successivo art. 354, poiché la notificazione è un atto formale che non ammette equipollenti, quali la comunicazione della sentenza stessa, né il giudice può abbreviare i termini perentori fissati dalla legge, in violazione dell’art. 153 c.p.c In ogni caso la parte onerata della riassunzione deve provvedervi comunque entro il termine generale di un anno dalla pubblicazione della sentenza, a pena di estinzione del processo, in applicazione dell’art. 327 c.p.c., non essendo ipotizzabile che la riassunzione possa avvenire senza prefissati limiti temporali e dovendo coordinarsi l’onere di riassunzione in modo che il termine per provvedervi non scada prima del termine per il ricorso per cassazione, il quale ha un effetto interruttivo sul predetto onere Cass. nn. 13160/07, 8437/97, 8370/93 e 2250/72 . Nella specie, premesso che i termini di sei mesi ex art. 353, comma 2 c.p.c. e di un anno ai sensi dell’art. 327, comma 1 c.p.c. rimangono applicabili trattandosi di processo instaurato in primo grado prima dell’entrata in vigore della legge n. 69/09 art. 58 stessa legge , va osservato che la sentenza d’appello non risulta essere stata impugnata non lo deduce nessuna delle due parti . Con la conseguenza che la riassunzione davanti al giudice di primo grado sarebbe dovuta avvenire nel medesimo termine ordinario per ricorrere per cassazione, e che la proposizione di quest’ultimo mezzo ha prodotto l’interruzione del termine di riassunzione, come previsto dall’art. 353, 3 comma, richiamato dall’art. 354, 3 comma c.p.c 3. - Ciò posto, la Corte condivide la relazione, rispetto alla quale nessuna delle parti ha depositato memoria. 4. - Pertanto, in accoglimento del ricorso la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli, che provvederà nel merito del gravame e sulle spese di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli, che provvederà anche sulle spese di cassazione.