La proprietà del sottotetto si determina in base al titolo

In mancanza di titoli contrari, il sottotetto si presume di proprietà del condominio. Ancora una volta si torna a discutere della proprietà del sottotetto che, anche in questo caso, viene annesso all'appartamento sottostante in occasione dei lavori di ristrutturazione. Irrilevante la circostanza che il condomino aveva avvisato, in più occasioni, l'amministratore dello stabile in merito alla propria volontà di ristrutturare l'appartamento ed il soprastante sottotetto, così come è irrilevante l'animus dell'occupante.

A stabilirlo è stata la seconda sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 233/16, depositata l’11 gennaio scorso. Galeotta fu la ristrutturazione. Tutto prende origine dai lavori di ristrutturazione dell'appartamento dell’ultimo piano. Il proprietario è convinto che il sovrastante sottotetto sia di sua esclusiva proprietà e, avvisato l'amministratore di condominio, dà avvio ai lavori di ristrutturazione sia dell'appartamento che del locale sovrastante. Sta di fatto che la cosa non va del tutto a genio agli altri condomini che, rotti gli indugi, denunciano lo spossessamento e si rivolgono al giudice per chiedere la reintegra. Il Tribunale accoglie la domanda e la Corte d'Appello conferma il verdetto a questo punto la controversia si sposta nelle aule di Piazza Cavour. Legittima l'azione possessoria senza possesso? Il condomino denuncia quello che, a prima vista, sembrerebbe un paradosso può il condominio chiedere la reintegra nel possesso di un bene mai posseduto in precedenza? L' iter logico seguito dal proprietario, a prima vista, sembra non faccia una piega. Secondo il resistente, il condominio non avrebbe mai avuto il possesso del sottotetto, in quanto questo era raggiungibile solo attraverso una botola posta nel proprio appartamento. Tale circostanza lascerebbe pensare che il sottotetto fosse una pertinenza esclusiva dell'abitazione sottostante. Il proprietario, però, sembra aver fatto i conti senza l'oste che, nel nostro caso, assume le vesti dell'immancabile C.T.U. che in questioni simili assume un ruolo di primo piano il tecnico rileva che il sottotetto in questione sarebbe raggiungibile anche se in maniera non del tutto agevole attraverso la scala condominiale. Esisterebbe, infatti, una porticina, se pure angusta, capace di mettere in contatto il famoso sottotetto con la scala condominiale. Quindi, se pure ipoteticamente, i condomini avrebbero potuto raggiungere il sottotetto che, a questo punto, sarebbe condominiale. Irrilevante l'acceso diretto all'appartamento sottostante. Il proprietario dell'ultimo piano scocca un'altra freccia dal proprio arco ma non raggiunge il segno neanche questa volta. Secondo il ricorrente, la proprietà esclusiva del sottotetto sarebbe insita nello stato dei luoghi, comprovato anche dalle risultanze catastali. L'appartamento esclusivo sarebbe in comunicazione diretta, mediante una botola, col sovrastante sottotetto. La botola, peraltro, sarebbe anche segnata nelle tavole catastali, il che costituirebbe una prova inconfutabile. Anche questo elemento, però, viene ritenuto irrilevante dal giudice. Oggetto del giudizio, secondo la Corte, non sarebbero le concrete modalità con cui veniva esercitato il possesso, ma solo se vi era stato il denunciato spossessamento e tale circostanza risultava provata. Alcuni elementi sarebbero inconfutabili. La sentenza valorizza alcuni punti che fanno protendere, senza ombra di dubbio, a favore della condominialità” del sottotetto. I giudici, in sostanza, pongono alcuni paletti che il ricorso in Cassazione non riesce a scardinare. Il sottotetto sarebbe condominiale per una serie di ragioni, ovvero - il sottotetto sarebbe composto da un locale unico, privo di divisioni interne corrispondenti a quelle dell'appartamento sottostante - al sottotetto sarebbe possibile accedere attraverso una scala condominiale - la presenza di alcuni impianti certamente condominiali quali, per esempio, gli esalatori della fogna e le canne fumarie. Essenziale il titolo di acquisto. Gli Ermellini, con la sentenza in commento, ripercorrono le tracce segnate dalla Cassazione con la sentenza del 19 febbraio 2013, n. 4083 l'appartenenza del sottotetto va determinata in base al titolo in mancanza di un titolo ad hoc , entra in gioco l'articolo 1117 c.c. e la res si presume condominiale. Via libera alla reintegra. La modifica di una parte comune e della sua destinazione da parte di un condomino viene letta come un vero e proprio spossessamento a svantaggio degli altri comproprietari che, in definitiva, perdono la possibilità di utilizzare liberamente la res . Ciò legittima la reazione del condominio, reazione che legittimamente potrebbe essere esercitata proponendo l'azione di reintegra nel possesso. Irrilevante la inconsapevolezza dello spoglio. Il ricorrente si lamenta perché il suo comportamento sarebbe stato del tutto trasparente era convinto di essere proprietario del sottotetto che veniva considerato come una pertinenza dell'abitazione. In più occasioni, inoltre, il proprietario aveva anticipato all'amministratore di condominio la sua volontà di procedere alla ristrutturazione dell'abitazione e del relativo sottotetto senza ottenere alcuna reazione da parte del condominio. In sostanza, il presunto spoglio non sarebbe stato né violento né, tantomeno, clandestino. La Cassazione respinge anche questo punto della difesa l'animus spoliandi è insito nel fatto stesso di privare il condominio della possibilità di servirsi di un bene comune, prescindendo totalmente da ogni esame sulla volontà del soggetto che effettua lo spoglio. Irrilevante, quindi, la circostanza che il ricorrente fosse convinto di esercitare un proprio diritto e fosse del tutto all'oscuro di un concorrente diritto in capo al condominio.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 1 dicembre 2015 – 11 gennaio 2016, n. 233 Presidente Mazzacane – Relatore Criscuolo Svolgimento del processo Con ricorso proposto ai sensi degli articoli 703-669 bis e seguenti c.p.c. e dell'articolo 1168 c.c., il Condominio di via omissis deduceva che il condomino M.L. aveva provveduto alla ristrutturazione della propria unità immobiliare sita all'ultimo piano dello stabile, accorpando illegittimamente una porzione del sottotetto. Pertanto chiedeva di essere reintegrato nel possesso del bene comune interessato dalle opere intraprese dal resistente. Si costituiva il condomino il quale concludeva per il rigetto delle domande ed in via riconvenzionale chiedeva la condanna del Condominio a cessare la turbativa al pacifico godimento del sottotetto in questione. All'esito dell'istruttoria il Tribunale di Milano con ordinanza del 10/5/2006 ordinava al resistente di reintegrare il condominio nel possesso del sottotetto mediante riduzione in pristino degli interventi eseguiti e disponeva la prosecuzione della causa per il merito possessorio. Disatteso il reclamo proposto dal convenuto, disposta consulenza tecnica d'ufficio, il Tribunale con la sentenza del 4/7/2008 n. 8892 confermava l'ordinanza interdittale emessa in data 11/5/2006 e condannava il resistente al rimborso delle spese di lite in favore del condominio. Proposto appello, la Corte di Appello di Milano con la sentenza n. 1568 del 5/5/2010 rigettava l'impugnazione confermando la sentenza gravata. Il M. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi ed ha resistito con controricorso il Condominio proponendo a sua volta un motivo di ricorso incidentale. Il ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell'udienza. Motivi della decisione Preliminarmente deve essere disattesa l'eccezione di inammissibilità del ricorso principale proposta da parte del Condominio in relazione alla nullità della procura speciale ai sensi dell'articolo 365 c.p.c., dovendosi ritenere che la presenza della procura a margine del ricorso proposto da parte del M. soddisfi il requisito di specificità di cui alla norma in questione. Ritiene la Corte che possa procedersi alla disamina congiunta dei primi due motivi di ricorso, attesa l'evidente connessione delle questioni sollevate con gli stessi. Con il primo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 1168 e 1140 c.c. nonché l'omessa, insufficiente contraddittoria motivazione su di un punto decisivo per il giudizio. Si deduce, infatti, che l'affermazione secondo cui il condominio eserciterebbe il possesso sul sottotetto oggetto di causa anche senza l'esercizio di attività materiale sarebbe erronea oltreché contraddittoria. Non sarebbe infatti possibile pervenire a tale conclusione partendo dal dato di fatto che, sulle scale comuni, esiste un accesso particolarmente difficoltoso al sottotetto, che avrebbe consentito a ciascun condomino di raggiungerlo. La semplice esistenza di una porticina non potrebbe fornire la prova del possesso da parte dei condomini, occorrendo invece che il condominio dimostri un effettivo utilizzo del bene. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta sempre la violazione e falsa applicazione degli articoli 1168 e 1140 c.c. nonché l'omessa e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo per il giudizio, sostenendosi che avrebbe errato il giudice di merito a ritenere esistente il possesso del condominio a fronte di documentazione planimetria riportata al n. 11 nella memoria ex articolo 184 c.p.c. attestante l'esistenza di una botola sita nel locale sub 88, che inizialmente era unito all'appartamento poi acquistato dal ricorrente. La presenza di tale botola pertanto costituirebbe una prova del possesso esclusivo del sottotetto da parte dei danti causa del M. , e quindi di quest'ultimo. Tale affermazione poi troverebbe ulteriore conferma nella preesistenza di un tavolato che individuava la porzione di sottotetto sovrastante l'immobile dei danti causa del ricorrente. Il ragionamento dei giudici di secondo grado risulterebbe poi erroneo e comunque contraddittorio laddove valorizza la presenza nel sottotetto di manufatti di proprietà condominiale, quali gli esalatori delle fogne condominiali e le canne fumarie dei condomini, trattandosi di beni che attraversano le proprietà private dei singoli condomini, e quindi anche il sottotetto, il quale invece è un bene di cui andava dimostrato l'effettivo possesso mediante l'utilizzo. Ad avviso della Corte entrambi i motivi sono infondati e devono essere rigettati. La sentenza impugnata, dopo aver correttamente ribadito che l'accertamento del giudice in sede possessoria era limitato alla verifica dell'esistenza di un possesso tutelabile, e compromesso dall'azione del M. , concretatesi in uno spoglio, altrettanto correttamente ha affermato che la verifica circa l'effettiva titolarità del locale sottotetto doveva avvenire solo ad colorandam possessionem , potendosi da tale accertamento trarre elementi per verificare se il condominio fosse effettivamente possessore del bene nel momento in cui il ricorrente aveva intrapreso dei lavori di modificazione dello stato dei luoghi. Sempre in tale limitata prospettiva, finalizzata cioè alla sola verifica della ricorrenza in capo al condominio di una posizione giuridica qualificabile in termini di possesso, la sentenza ha richiamato, facendoli propri, gli elementi che il giudice di primo grado aveva valorizzato per ritenere che il sottotetto avesse natura comune, e che pertanto era posseduto da parte del condominio - la presenza di due ambienti privi di divisioni interne in corrispondenza dei due corpi di fabbrica che compongono l'edificio, ed in particolare per la porzione di sottotetto sovrastante appartamento del ricorrente, di un ambiente unico, privo di divisioni corrispondenti ai sottostanti appartamenti - l'accesso tramite la scala condominiale ed attraverso l'apertura ancorché scomoda posta sul pianerottolo condominiale, in assenza peraltro di collegamenti diretti con gli appartamenti sottostanti dell'ultimo piano - un'altezza che ai margini e pari a zero ma che raggiunge 3 m al sottocolmo - la presenza di una soletta portante e calpestabile, con una superficie del pavimento in cemento - la presenza nel sottotetto degli esalatori delle fogne condominiali, di quattro canne fumarie condominiali sebbene non in uso e di impianti a servizio degli appartamenti all'ultimo piano, elementi questi ultimi ritenuti non contrastanti con la natura comune, ben potendosi giustificare tale presenza come esercizio dell'uso della cosa comune da parte di ciascun condomino. Orbene, in assenza di contrarie indicazioni ricavabili dal titolo di provenienza del ricorrente e dei suoi danti causa , la valutazione circa la natura comune ex articolo 1117 c.c. del sottotetto, ancorché effettuata ai soli fini della tutela possessoria, deve ritenersi avvenuta conformemente ai principi costantemente affermati da questa Corte. In tal senso si veda Cassazione civile sez. VI 19/02/2013 n. 4083, secondo cui l'appartenenza del sottotetto di un edificio va determinata in base al titolo, in mancanza o nel silenzio del quale, non essendo esso compreso nel novero delle parti comuni dell'edificio essenziali per la sua esistenza o necessarie all'uso comune, la presunzione di comunione ex art. 1117 c.c. è, in ogni caso, applicabile nel caso in cui il vano, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, risulti oggettivamente destinato all'uso comune oppure all'esercizio di un servizio di interesse condominiale, quando tale presunzione non sia superata dalla prova della proprietà esclusiva conformi Cassazione civile sez. II 29/12/2004 n. 24147 Cassazione civile sez. II 19/12/2002 n. 18091 . Del pari corretta appare poi l'affermazione secondo cui, in tema di possesso dei condomini sulle parti comuni occorre distinguere a seconda che le cose, gli impianti ed i servizi siano oggettivamente utili alle singole unità immobiliari a cui sono collegati materialmente o per destinazione funzionale, ovvero invece siano utili soggettivamente, come ad esempio scale, portoni, anditi, portici, atteso che, ai fini del possesso, nel primo caso, lo stesso consiste nello stesso beneficio che il piano ovvero la porzione di piano trae dall'intrinseca utilità offerta dal bene, laddove invece per le altre tipologie di beni è necessario l'espletamento di un'attività materiale di manifestazione del possesso Cass. n. 16496/2005 Cass. n. 17072/2015 Cass. 26 gennaio 2000 n. 855 Cass. 11 marzo 1993 n. 2947 Cass. 21 luglio 1988 n. 4733 Cass. 18 luglio 1984 n. 4195 nonché Cass. 13 luglio 1993 n. 7691, che ha espressamente affermato che la modifica di una parte comune e della sua destinazione ad opera di taluno dei condomini, sottraendo la cosa alla sua specifica funzione e quindi al compossesso di tutti i condomini, legittima di conseguenza gli altri condomini all'esperimento dell'azione di reintegrazione per conseguire la riduzione della cosa al pristino stato in modo che essa possa continuare a fornire quella utilitas alla quale era asservita anteriormente alla contestata modificazione, senza che sia necessaria la specifica prova del possesso di detta parte quando risulti che essa consista in una porzione immobiliare in cui l'edificio si articola . Alla luce di tali principi le critiche complessivamente mosse con i primi due motivi di ricorso non appaiono cogliere nel segno, non apparendo alla Corte censurabile, alla luce degli indici fattuali valorizzati dai giudici di merito nella motivazione, la conclusione secondo cui il sottotetto in oggetto rientri per le sue caratteristiche e per la sua destinazione funzionale tra i beni per i quali l'esercizio del possesso da parte del condominio non richieda l'espletamento di un'attività materiale, concretandosi nello stesso beneficio offerto in maniera oggettiva dal bene stesso. Non può pertanto ritenersi che vi sia stata erronea applicazione delle norme in tema di possesso, non apparendo necessario ai fini della prova della sussistenza in capo al condominio, altresì dimostrare l'esercizio di attività materiali, quali, secondo la prospettazione del ricorrente, l'effettivo utilizzo del bene da parte dei singoli condomini. Inoltre, laddove nei motivi di ricorso si contesta la valutazione di alcuni degli indici fattuali che hanno indotto il giudice di primo grado, sebbene ad colorandam possessionem , ad affermare la natura comune del sottotetto, si sollecita in realtà una diversa valutazione dei fatti di causa che non appare tuttavia consentita in sede di legittimità. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, i vizi di motivazione denunciabili in cassazione non possono consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova cfr. Cass. 28-7-2008 n. 20518 Cass. 11-11-2005 n. 22901 Cass. 12-8-2004 n. 15693 Cass. 7-8-2003 n. 11936 . In tale prospettiva in ordine alle circostanze che, a detta del ricorrente denuncerebbero l'illogicità e contraddittorietà della motivazione inidoneità della porticina di accesso a giustificare il possesso dei condomini, preesistenza alla data di insorgenza del condominio di una botola che metteva in collegamento gli appartamenti sottostanti con il sottotetto ed insufficienza della presenza nel locale di manufatti di proprietà condominiale la sentenza impugnata ha offerto una loro valutazione caratterizzata da una disamina logica e congruente, connotata anche da una confutazione degli argomenti addotti dal ricorrente a sostegno della propria tesi, di modo che, così come formulata, la complessiva censura si risolve nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto si come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, cosi mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal giudice di appello non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consone ai propri desiderata. Con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza di appello per violazione e falsa applicazione dell'articolo 1168 c.c. nonché per omessa motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio in quanto, pur essendo stata accolta la domanda di reintegra avanzata da parte del condominio, sia il giudice di primo grado che quello di appello non avevano in alcun modo verificato l'esistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi dello spoglio. In particolare, oltre a riprodursi l'argomento difensivo secondo cui il condominio non aveva fornito alcuna prova di un precedente possesso del sottotetto, argomento per la cui confutazione è sufficiente il rinvio alle argomentazioni sviluppate nella disamina dei primi due motivi di ricorso, si evidenzia che sarebbe stata accolta la domanda di spoglio nonostante l'assenza della prova dell'elemento soggettivo in capo al ricorrente. Questi infatti aveva posto in essere lavori di ristrutturazione del sottotetto con la certezza e la volontà di apportare modifiche ad un bene ritenuto di sua esclusiva proprietà, senza quindi alcuna consapevolezza dell'esistenza del possesso da parte del condominio. Quest'ultimo inoltre era stato ripetutamente preavvertito della volontà del M. di eseguire lavori di sistemazione del sottotetto, cosi come comprovato da una serie di missive inviate all'amministratore dell'epoca, nelle quali si preannunziava l'inizio dei lavori, e senza che vi sia mai stata un'opposizione da parte del condominio. Conclude pertanto il motivo di ricorso assumendo che la condotta posta in essere, e ritenuta configurare uno spoglio, era priva dal punto di vista soggettivo dell'animus spoliandi, risultando in ogni caso omessa qualsiasi motivazione su tale rilevante circostanza. Il motivo è infondato. La sentenza impugnata ha espressamente affermato che l'attività d'impossessamento del bene posta essere da parte del ricorrente doveva ritenersi avvenuta contro la volontà, seppur presunta, degli altri condomini, dando vita pertanto ad uno spoglio violento secondo l'accezione richiesta dall'articolo 1168 c.c La soluzione alla quale è pervenuto il giudice di appello risulta corrispondere a quella costantemente seguita da questa Corte in tema di verifica dell'elemento soggettivo nell'azione di spoglio. Ed, infatti, cfr. Cass. sez. II 03 giugno 2014 n. 12416 l'animus spoliandi può ritenersi insito nel fatto stesso di privare del godimento della cosa il possessore contro la sua volontà, espressa o tacita, indipendentemente dalla convinzione dell'agente di operare secondo diritto ovvero di ripristinare la corrispondenza tra situazione di fatto e situazione di diritto, mentre la volontà contraria allo spoglio, da parte del possessore, può essere esclusa solo da circostanze univoche e incompatibili con l'intento di contrastare il fatto illecito come il suo consenso, l'onere della cui prova grava sul soggetto autore dello spoglio medesimo in termini si veda anche Cass. sez. II 22 giugno 2000 n. 8486 Cass. sez. II 05 dicembre 1985 n. 6104 . Il fatto quindi che il ricorrente fosse convinto della proprietà anche del sottotetto e dell'assenza di un concorrente diritto in capo al condominio non esclude pertanto la presenza dell'animus spoliandi, dovendosi altresì evidenziate che la circostanza dedotta in ricorso circa la messa a conoscenza dell'amministratore dell'intento di procedere ai lavori di ristrutturazione dell'appartamento e del sottotetto, non permette di ritenere altresì provata la prestazione di un consenso all'intervento da parte del condominio, prova della quale, per quanto detto, risultava onerato il M. . Il ricorso principale deve pertanto essere rigettato. Con un motivo di ricorso incidentale il Condominio impugna la sentenza della Corte di Appello nella parte in cui ha ritenuto di disporre l'integrale compensazione tra le parti delle spese processuali del secondo grado di giudizio, assumendosi che la compensazione delle spese non troverebbe giustificazione alcuna nel caso specifico in quanto l'odierno ricorrente avrebbe resistito colposamente all'azione promossa dal condominio a tutela del possesso, introducendo lui stesso elementi di natura anche petitoria, costringendo il condominio ad una difesa più ampia in tutti procedimenti e subprocedimenti radicati. Il motivo così come formulato deve ritenersi inammissibile. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte cfr. per tutte, Cass. 11/1/2005 n. 359 il motivo d'impugnazione è rappresentato dall'enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d'impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l'esercizio del diritto d'impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell'esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un non motivo , è espressamente sanzionata con l'inammissibilità ai sensi dell'art. 366, n. 4, c.p.c Inoltre cfr. Cass. sez. VI 22 settembre 2014 n. 19959 , il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall'art. 360 cod. proc. civ., sicché è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito. Ritiene la Corte che il motivo di ricorso incidentale per la sua formulazione non possegga i requisiti di specificità imposti dalla legge risolvendosi essenzialmente in una generica censura di ingiustizia della decisione impugnata relativamente al capo concernente le spese di lite e che pertanto debba essere disatteso. Le spese del presente giudizio vanno regolate in base alla prevalente soccombenza del ricorrente principale e si liquidano come da dispositivo che segue. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale, e condanna M.L. al rimborso delle spese del presente giudizio in favore del Condominio, che liquida in Euro 200,00 per spese vive ed in Euro 2.500,00 per compensi oltre accessori come per legge.