L’approvazione dell’assemblea non è sufficiente per l’attività di bed and breakfast

La legislazione in materia urbanistica o, più in generale in materia amministrativa, disciplinando il rapporto tra cittadini e norme di carattere pubblicistico, non può comportare un automatico recepimento della disciplina nell’ambito di rapporti privatistici, nei quali rientra pacificamente il regolamento condominiale.

Lo afferma la Corte di Cassazione con l’ordinanza, n. 704/15, depositata il 16 gennaio. I fatti. Nel 2004, con delibera assembleare, veniva concesso a due condomini, proprietari di uno degli appartamenti del complesso residenziale interessato, l’avvio di un’attività di bed and breakfast. La delibera veniva impugnata da uno degli altri condomini, le cui doglianze, dopo l’iniziale rigetto da parte del Tribunale di primo grado, hanno trovato accoglimento nella sentenza pronunciata dalla Corte d’appello di Milano. La delibera veniva annullata sul presupposto che l’autorizzazione all’attività di bed and breakfast, assunta appunto con la modalità assembleare, si ponesse in contrasto con la destinazione all’uso abitativo prevista dal regolamento condominiale ed in particolare dagli allegati patti speciali di divisione dell’immobile, impegni contrattualmente vincolanti e facenti parte integrante del regolamento medesimo. I giudici dell’appello ritenevano inoltre violato il diritto degli altri condomini all’integrale utilizzo della cosa comune, considerando che l’immobile interessato era una villa di campagna con ingresso, viale d’accesso e giardino comune, circostanza che comportava un deprezzamento del valore degli appartamenti di loro proprietà. Il Condominio e il condomino interessato, hanno proposto ricorso per cassazione. La normativa amministrativa non può influire sulle disposizioni del regolamento condominiale. Con il primo motivo d’impugnazione viene dedotta la violazione e la falsa applicazione delle disposizioni dettate dalla Regione Lombardia con il Testo Unico in materia di turismo l. regionale Lombardia 15/07 . Le norme richiamate affermano espressamente che l’attività di bed and breakfast non importa il cambiamento dell’uso abitativo dell’immobile, con conseguente vizio da parte della motivazione della sentenza di secondo grado che ritiene invece la sussistenza di tale modificazione. La Corte di Cassazione dichiara infondato il motivo di ricorso così prospettato dai ricorrenti, sulla base dell’affermazione dell’impossibilità per la legislazione urbanistica, o comunque di natura amministrativa, quale appunto il T.U. regionale richiamato, di intervenire sulla disciplina di rapporti privati contrattualmente regolati. Viene inoltre richiamata la costante giurisprudenza della Corte di legittimità in riferimento alla similare attività di affittacamere. Ai fini della configurazione della predetta attività, si afferma la necessità di una cessione del locale ammobiliato e provvisto delle indispensabili somministrazioni acqua, luce, ecc. , oltre alla prestazione di servizi personali. Il difetto di tali ulteriori servizi non può condurre l’attività all’ambito del concetto di affittacamere e non sottrae dunque la medesima alla disciplina della locazione ad uso abitativo. Anche in imprese di tal sorta si riscontrano infatti i caratteri tipici dell’attività alberghiera di natura imprenditoriale, anche se di natura più modesta Cass. 17167/02 . La valutazione della S.C. conclude per una qualificazione del caso concreto quale problema di esatta interpretazione della volontà espressa dai condomini, più che di corretta applicazione delle disposizioni richiamate con il ricorso. E, in tal senso, la Corte d’appello ha correttamente ritenuto di interpretare il volere dei condomini in base a quanto risulta testualmente dal regolamento condominiale, considerato quale disciplina contrattuale vincolante. I limiti del potere dell’assemblea condominiale. Un ulteriore motivo di ricorso richiamava una pronuncia della Corte Costituzionale n. 369/08 , con la quale si condizionava l’esercizio dell’attività di bed and breakfast, in appartamenti siti in edifici condominiali, all’approvazione da parte dell’assemblea, in quanto, pur escludendo una modificazione dell’uso abitativo, l’attività in oggetto andrebbe comunque ad ingerirsi nei rapporti condominiali tra privati. La Corte avrebbe dunque escluso la possibilità per il condominio di sindacare l’attività svolta nei singoli appartamenti, ove non sussista un mutamento dell’uso abitativo. Anche quest’ultimo motivo viene dichiarato dalla S.C. come infondato. Il caso regolato con la sentenza richiamata, riguardava infatti una fattispecie diversa da quella in esame, in cui il legislatore regionale andava a disciplinare il rapporto privatistico tra condomini e condominio in modo difforme e più severo rispetto alle disposizioni civilistiche. Considerando che l’assemblea dei condomini non ha poteri ulteriori rispetto a quanto previsto dalle disposizioni civilistiche e che non può opporre limiti alla sfera di proprietà individuale, salvo modificazioni formali del regolamento condominiale, è evidente come nel caso di specie la situazione si presenti rovesciata, con una delibera assembleare approvata a maggioranza che pretende di andare a derogare pattuizioni di carattere contrattuale assunte da tutti i condomini con il regolamento. Per questi motivi, la Cassazione dichiara il ricorso manifestamente infondato.

Corte di Cassazione, sez. VI - 2 Civile, ordinanza 13 novembre 2014 – 16 gennaio 2015, n. 704 Presidente Bianchini – Relatore Proto Fatto e diritto Il relatore nominato per l'esame del ricorso ha depositato la relazione ai sensi dell'articolo 380 bis c.p.c. nella quale ha esposto le ragioni di manifesta infondatezza del ricorso e ha concluso per il suo rigetto. Il ricorso è stato fissato per l'esame in camera di consiglio e sono state effettuate le comunicazioni alle parti costituite i ricorrenti hanno depositato memorie. Nella relazione il relatore ha rilevato quanto segue. Osserva in fatto Con delibera del 10/6/2004 l'assemblea del Condominio omissis autorizzava i condomini M.L. e B.L. a svolgere, nei loro appartamenti, l'attività di bed and brekfast la deliberazione condominiale era impugnata, insieme ad altre, dal condominio Bo.Lu. che chiedeva la declaratoria di nullità o l'annullamento. Con sentenza del 24/1/2009 il Tribunale di Varese rigettava l'impugnazione. Con sentenza del 30 /l 1/20012 la Corte di Appello di Milano, in accoglimento dell'appello di Bo.Lu. , dichiarava nulla la delibera del 10/6/2004, assunta a maggioranza, limitatamente all'autorizzazione a svolgere l'attività di bed and breakfast all'interno dei locali di proprietà esclusiva dei condomini ritenendo che tale delibera, assunta a maggioranza, si ponesse in contrasto con l'uso abitativo contrattualmente prestabilito nel regolamento condominiale e, in particolare, con i patti speciali allegati agli atti di divisione dell'immobile, costituenti regolamento condominale contrattuale e nei quali era previsto che i proprietari del fabbricato si impegnano sin d'ora a destinare esclusivamente ad abitazione singoli piani loro assegnati, impegnandosi categoricamente a non modificare tale destinazione . La Corte territoriale riteneva che la clausola, in quanto vietava in maniera specifica e categorica un uso diverso da quello abitativo, non consentisse di includervi l'attività di bed and brekfast e che inoltre la delibera violasse l'articolo 1102 c.c. incidendo sui diritti individuali del condomino che subirebbe un deprezzamento del valore della sua proprietà che verrebbe snaturata anche quanto al suo utilizzo tenuto conto che l'immobile è una pregiata villa di campagna con ingresso, viale di accesso e giardino comune. Il Condominio omissis e B.L. hanno proposto ricorso affidato a tre motivi e preliminarmente hanno eccepito la nullità dell'intero procedimento perché non si sarebbe svolto nei confronti dei proprietari interessati, a loro dire litisconsorti necessari. Bo.Lu. ha resistito con controricorso. Osserva in diritto Il rilievo preliminare di nullità dell'intero procedimento per difetto di integrazione del contraddittorio è manifestamente infondato in quanto in tema di condominio la legittimazione ad impugnare una deliberazione assembleare compete individualmente e separatamente agli assenti e ai dissenzienti nonché ai presenti e consenzienti, senza limiti di tempo, quando si verte in tema di nullità e ognuno può esercitare l'azione verso il condominio rappresentato dall'amministratore, senza necessità di chiamare in causa gli altri Cass. 27/8/2002 n. 12564 Cass. 11/1/2012 n. 177 Ord. . Il precedente richiamato in ricorso Cass. 8/3/2006 n. 4920 non è pertinente al caso specifico, relativo all'impugnazione di delibera condominiale, in quanto concerneva un caso di asserita violazione del divieto contenuto nel regolamento condominiale di destinare i singoli locali di proprietà esclusiva a determinati usi e non l'impugnazione di una delibera la domanda proposta era la domanda del condominio di cessazione della destinazione abusiva rivolta nei confronti del conduttore si è affermato che in questo specifico caso il proprietario è tenuto a partecipare, quale litisconsorte necessario, nel relativo giudizio. 1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione o falsa applicazione di norme di legge con riferimento all'articolo 45 L.R. Lombardia n. 15/07 T.U. in materia di turismo della regione Lombardia e con riferimento all'articolo 115 c.p.c I ricorrenti osservano che la citata legge della Regione Lombardia all'articolo 45 espressamente prevede che l'esercizio dell'attività di bed and breakfast non determina il cambio di destinazione d'uso dell'immobile e che pertanto la motivazione della Corte di Appello, fondata sul presupposto che la delibera abbia comportato una modifica della destinazione di uso del bene da abitativa ad alberghiera è totalmente errata. 1.1 Il motivo è infondato in quanto muove dall'erroneo presupposto che l'intervento legislativo con il quale leggi regionali nella specie la legge della Regione Lombardia stabiliscono che l'attività di bed and breakfast non comporti il mutamento di destinazione di uso possa in qualche modo interferire con la volontà contrattuale dei comproprietari con la quale si è voluto escludere categoricamente ogni modifica della destinazione ad uso abitativo dei singoli piani. A seguito della legge 17/05/1983 n. 217, Legge quadro per il turismo e interventi per il potenziamento e la qualificazione dell'offerta turistica , alcune Regioni hanno aggiornato le proprie normative turistiche inserendo specifici riferimenti all'attività di bed and breakfast stabilendo che l'esercizio di tale attività non comporta il cambiamento di destinazione dell'uso dell'immobile ai fini urbanistici. Tuttavia la legislazione in materia urbanistica o, più in generale, in materia amministrativa, disciplinando il rapporto tra cittadino e norme di carattere pubblicistico non può comportare un automatico recepimento nell'ambito della disciplina dei rapporti tra privati dei criteri per i quali si stabilisce se una certa attività comporti o meno mutamento di destinazione ai fini della regolamentazione dell'assetto urbanistico - edilizio del territorio. Al contrario, nei rapporti di diritto privato, la giurisprudenza di questa Corte, quanto all'attività, sostanzialmente analoga, dell'affittacamere, ha avuto modo di precisare che l'attività di affittacamere, pur differenziandosi da quella alberghiera per le sue modeste dimensioni, richiede non solo la cessione del godimento di locale ammobiliato e provvisto delle necessarie somministrazioni luce, acqua, ecc. , ma anche la prestazione di servizi personali, quali il riassetto del locale stesso e la fornitura della biancheria da letto e da bagno in difetto della prestazione di detti servizi, pertanto, quella cessione non può essere ricondotta nell'ambito dell'attività di affittacamere, né quindi sottratta alla disciplina della locazione ad uso abitativo Cass. 8/11/2010 n. 22665 e che tale attività, pur differenziandosi da quella alberghiera per le sue modeste dimensioni, presenta natura a quest'ultima analoga, comportando, non diversamente dall'esercizio di un albergo, un'attività imprenditoriale, un'azienda ed il contatto diretto con il pubblico Cass. 3/12/2002 n. 17167 . Pertanto il problema che si è giustamente posto il giudice di appello per decidere la controversia era e rimane un problema sostanzialmente interpretativo della volontà espressa dai proprietari e non si pone un problema di applicazione o violazione delle norme di legge richiamate nel motivo. La Corte di Appello, nel ritenere che l'autorizzazione all'attività di bed and breakfast costituisse violazione dei patti ha ricostruito la volontà contrattuale delle parti facendo al contenuto letterale della clausola v. pag. 6, punto 21 e 22 della sentenza e all'errore interpretativo del primo giudice punto 24 della sentenza individuando il tipo di utilizzo che prescrivevano i patti e, correlativamente, l'utilizzo vietato anche avuto riguardo anche alle caratteristiche dell'immobile pregiata villa di campagna con viale di accesso e giardino comune i ricorrenti non formulano una specifica censura di errata applicazione dei criteri di ermeneutica contrattuale. 2. Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti deducono la violazione di legge con riferimento all'articolo 45 della L. 15/07 e alla sentenza della Corte Costituzionale n. 369 del 2008. I ricorrenti sostengono che la Corte Costituzionale, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale di un comma dell'articolo 45 della Legge Regione Lombardia n. 15 del 2007, nella parte in cui condiziona all'approvazione dell'assemblea condominiale l'esercizio dell'attività di bed and breakfast in appartamenti situati in edifici condominiali sul rilievo che, prevedendo un obbligo di autorizzazione condominiale per attività non comportante il mutamento della destinazione di uso, si ingerisce nella materia dei rapporti condominiali tra privati a dire dei ricorrenti, la Corte Costituzionale avrebbe confermato che sarebbe illegittimo il sindacato del condominio sull'utilizzo delle singole abitazione quando non vi sia cambio di destinazione di uso aggiungono che anche secondo un precedente della giurisprudenza di merito C.A. Roma 19/12/2012 si è affermato il principio che non può essere consentita limitazione del diritto di proprietà se non in forza di espressa previsione e analitica specificazione dei limiti aggiungono considerazioni sul carattere saltuario dell'attività, come disciplinata dalla legge regionale e sulla esclusione dall'obbligo di iscrizione nel registro delle imprese. 2.1 Il motivo è manifestamente infondato proprio perché la legge regionale sopra richiamata non disciplina e non può disciplinare i rapporti tra privati. La Corte Costituzionale nella menzionata sentenza, in coerenza con tale principio, ha osservato proprio che al legislatore regionale non è consentito incidere su un principio di ordinamento civile e, in particolare, sul rapporto civilistico tra condomini e condominio e che la disposizione censurata disciplinava la materia condominiale in modo difforme e più severo rispetto a quanto disposto dal codice civile e, in particolare, dagli artt. 1135 e 1138 c.c. che sanciscono che l'assemblea dei condomini non ha altri poteri rispetto a quelli fissati tassativamente dal codice e che non può porre limitazioni alla sfera di proprietà dei singoli condomini, a meno che le predette limitazioni non siano specificatamente accettate o nei singoli atti d'acquisto o mediante approvazione del regolamento di condominio. Nella specie, invece, si è verificato esattamente il contrario, ossia che con una delibera condominiale approvata a maggioranza si è inteso derogare a pattuizioni liberamente assunte da tutti i proprietari con le quali, secondo l'interpretazione data dalla Corte di Appello alla volontà contrattuale non censurata sotto il profilo della violazione di canoni di ermeneutica contrattuale tutti i proprietari si impegnavano a destinare esclusivamente ad abitazione i singoli piani loro assegnati e a non modificare tale destinazione aggiungendosi l'avverbio categoricamente . Solo per completezza di argomentazione ulteriormente si osserva che neppure risulta che nel tempo, sino alla contestata deliberazione, questo impegno sia stato interpretato dai condomini, in senso attenuato, ad esempio consentendosi l'uso a ufficio o studio professionale. In presenza di questa esplicita manifestazione di volontà, l'unico elemento opposto è tratto da una normativa pubblicistica che, come detto è del tutto inidonea a disciplinare i rapporti tra privati. 3. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell'articolo 1102 c.c. con riferimento ad alcune affermazioni del giudice di Appello, secondo le quali sarebbe modificata la destinazione economica del bene privato, sussisterebbe un pregiudizio per il condomino proprietario che si vedrebbe ridurre il valore della sua proprietà, verrebbe snaturato l'utilizzo delle parti comuni delle unità immobiliari, in contrasto con l'articolo 1102 c.c 3.1 Il motivo resta assorbito dalle considerazioni che precedono posto che secondo la motivazione della Corte di Appello, dai patti speciali dei comproprietari, risultava l'impegno specifico e inderogabile di destinare la proprietà ad un uso esclusivamente abitativo e a non modificare tale destinazione e siccome, nell'interpretazione degli accordi, il carattere esclusivo della destinazione abitativa e l'impegno categorico di non modificarla escludeva la possibilità dell'esercizio della pur collaterale attività di bed and breakfast che comunque avrebbe costituito una modifica rispetto all'obbligo di destinazione esclusiva , restano irrilevanti le ulteriori considerazioni circa la violazione o meno dell'articolo 1102 c.c. peraltro riferibili solo agli usi delle parti condominiali perché viene qui in rilievo il patto e non la norma. 4. In conclusione il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 380 bis e 375 c.p.c. per essere dichiarato manifestamente infondato. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 introdotto dall'articolo 1 comma 17 della legge n. 228 del 2012 . Il collegio condivide e fa proprie le argomentazioni e la proposta del relatore. In particolare, le ulteriori difese sviluppate dai ricorrenti nella memoria ex articolo 378 c.p.c. non assumono rilievo alcuno rispetto agli argomenti sviluppati nella relazione in quanto - circa la necessità di integrazione del contraddittorio, la Corte di appello ha rilevato che non poteva essere messa in discussione la piena vigenza dei patti speciali trattandosi di eccezione inammissibile in quanto svolta per la prima volta in appello, in contrasto con l'articolo 345 c.p.c. e perché i patti speciali, stipulati nel 1962, sono opponibili ai condomini in quanto allegati agli atti di divisione immobiliare, costituendo a tutti gli effetti un regolamento condominiale di natura contrattuale valevole tra le parti aventi causa pag. 6 della sentenza di appello siccome tale statuizione di inammissibilità della contestazione del regolamento impositivo del divieto di destinare le rispettive unità immobiliari a bed and breakfast non ha formato oggetto di uno specifico motivo di ricorso, la vigenza dei patti non è oggetto di causa, essendo in contestazione solo la legittimità della delibera che autorizza ciò che i patti vietano e il thema decidendum è limitato all'interpretazione del regolamento approvato onde stabilire se quell'uso sia o meno vietato ciò esclude la necessità dell'integrazione del contraddittorio - circa la rilevanza della legge regionale che esclude che il bed and breakfast possa integrare un mutamento di destinazione d'uso, occorre ribadire che la legge regionale ha finalità diverse, relative alla classificazione delle attività alberghiera o non alberghiera e non può incidere sui rapporti privatistici e sugli obblighi e reciprocamente si assumono in condomini, in questo caso con un regolamento contrattuale - circa l'erronea applicazione del notorio, occorre rilevare che nella specie non si pone un problema di applicazione o meno del fatto notorio, ma un problema di interpretazione del regolamento condominiale contrattuale, che la Corte di appello ha interpretato nel senso che quel regolamento, violato dalla delibera per ciò annullata, per la sua formulazione letterale, che vietava in modo in maniera specifica e categorica un uso diverso da quello abitativo non potesse consentire di destinare l'unità abitativa a bed and breakfast. Infatti a pagina 6 della sentenza la Corte di appello ha ritenuto dirimente il richiamo all'articolo 3 dei Patti Speciali che prevede i proprietari del fabbricato si impegnano sin d'ora a destinare a destinare esclusivamente ad abitazione i singoli piani loro assegnati impegnandosi categoricamente a non modificare tale destinazione . In nessuno dei tre motivi di ricorso è dedotto un specifico vizio inerente all'interpretazione della volontà contrattuale espressa con il regolamento contrattuale e alla violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale o un vizio di motivazione, salvo il generico riferimento ad una motivazione apodittica, che compare nel terzo motivo di ricorso, ma con riferimento, nuovamente, ad una violazione di legge, ossia la violazione dell'articolo 1102 c.c La norma è stata superfluamente richiamata dalla Corte di Appello posto che la norma si riferisce solo alle parti condominiali e non all'uso della proprietà individuale , ma, come esplicitato nella relazione, viene qui in rilievo solo il patto che vincola i condomini a non usare della cosa propria per usi diversi da quello abitativo e la sua interpretazione che non è censurata con specificità. Con il primo e il secondo motivo di ricorso sono invece dedotte violazioni di leggi regionali che, per le ragioni già illustrate nella relazione, non vengono in rilievo con riferimento ai rapporti privatistici e contrattuali. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato le spese di questo giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, tenuto conto del valore della causa e dei parametri di cui al D.M. 10/3/2014 n. 55, seguono la soccombenza dei ricorrenti. Il presente ricorso è stato proposto dopo l'entrata in vigore della l. 228/2012 e pertanto ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, inserito dall'articolo 1 comma 17 della l. n. 228 del 2012 deve essere dichiarata la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell'ulteriore importo del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell'articolo 1 bis dello stesso articolo 13. P.Q.M. La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a pagare al contro-ricorrente Bo.Lu. le spese di questo giudizio di cassazione che liquida in Euro 4.100 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso, oltre accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, inserito dall'articolo 1 comma 17 della l. n. 228 del 2012 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti principali e dei ricorrenti incidentali del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dell'articolo 1 bis dello stesso articolo 13.