La legittimazione passiva dell’amministratore di condominio è illimitata

In tema di azioni giudiziali nelle quali il condominio è convenuto in giudizio, la legittimazione a resistere dell’amministratore non incontra limiti, sicché deve considerarsi correttamente instaurato il contradditorio anche se l’attore o opponente nel giudizio per opposizione a decreto ingiuntivo, in via riconvenzionale, propongano domanda di accertamento della proprietà di una parte dell’edificio.

La sentenza n. 25634, depositata in cancelleria il 4 dicembre 2014, è tornata sull’argomento della legittimazione passiva dell’amministratore di condominio, ribadendo quanto già affermato in un precedente arresto cfr. sent. n. 28141/13 anche in relazione a quanti affermato dalle Sezioni Unite con l’arresto n. 25454/13 . Le vicende relative alla legittimazione passiva dell’amministratore di condominio destano sempre problemi interpretativi cfr. sent. SS.UU. n. 18331-2/2010 e la soluzione ribadita in questa sede dagli Ermellini desta, ad avviso di chi scrive, qualche perplessità. Il caso. Un condominio proponeva ricorso per decreto ingiuntivo contro un condomino per l’omesso pagamento delle quote condominiale. Un’azione, per così dire, banale sollevava un contenzioso molto più ampio quel condomino, infatti, si opponeva portando in compensazione dei suoi pretesi crediti riguardanti dei canoni dei locazione di un locale concesso al condominio. L’opposizione veniva respinta sia perché i crediti del condominio venivano considerati provati e non contestati essendo a ciò sufficiente il rendiconto approvato e mai contestato , sia perché il condominio non doveva alcun canone, essendo il locale di cui parlava l’attore di proprietà condominiale. Nel giudizio d’appello la Corte ha dichiarato la nullità della sentenza nella parte in cui il Tribunale non aveva disposto il contraddittorio tra tutti i condomini in relazione alla questione della proprietà dell’appartamento di cui l’originario opponente domandava l’accertamento della proprietà. Da qui il ricorso in Cassazione del testé citato opponente. Basta chiamare in causa l’amministratore se si vuole ottenere l’accertamento della proprietà di un bene. Gli Ermellini hanno cassato la sentenza impugnata, accogliendo il terzo motivo di ricorso considerato assorbente rispetto all’intero articolato mezzo di gravame, in quanto la legittimazione passiva dell’amministratore, prevista dall'art. 1131, secondo comma, cod. civ., ha portata generale, in quanto estesa ad ogni interesse condominiale e sussiste, pertanto, anche con riguardo alla domanda, proposta da un condomino o da un terzo, di accertamento della proprietà esclusiva di un bene, senza che sia necessaria la partecipazione al giudizio di tutti i condomini Cass. 17/12/2013 n. 28141, anche con riferimento al rapporto tra la questione ivi affrontata e quella decisa da Cass. S.U. 25454/2013 Cass. 13/12/2006 n. 26681 . Per la Corte non sussistono motivi per mettere in dubbio questo principio, sia perché è il tenore letterale dell’art. 1131, comma 2, c.c. a far concludere in questo modo, sia perché è la sua ratio a dover essere considerata quella di semplificare ai condomini ed ai terzi l’instaurazione di giudizi riguardo alle parti comuni. La Cassazione, riportandosi alla sentenza n. 28141, altro non fa che ribadire che il pronunciamento delle Sezioni Unite n. 25454 non è afferente al giudizio de quo che riguarda una causa tra amministratore e condomino, mentre quello risolto dalla massima espressione del giudice nomofilattico riguardava un contenzioso tra due condomini. La decisione degli Ermellini non convince fino in fondo. Secondo i giudici di legittimità, infatti, per stabilire se una parte dell’edificio sia di proprietà comune o esclusiva, non è necessario che tutti gli interessati siano coinvolti, bastando in rappresentanza degli stessi l’amministratore condominiale, perché così è stabilito dall’art. 1131 c.c. Ad avviso di chi scrive, se è vero che la norma citata afferma chiaramente che l’amministratore può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio”, non può dubitarsi che essa debba essere letta ed interpretata anche nel contesto generale nel quale si trova, ossia nell’ambito dei poteri dell’amministratore rispetto alla gestione e conservazione delle parti comuni. L’azione tesa all’accertamento della proprietà esclusiva di un bene comune non è annoverabile tra queste, essendo la condominialità un presupposto dei poteri d’intervento dell’amministratore e l’essenza stessa del rapporto di comproprietà che lega i vari condomini.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 7 ottobre – 4 dicembre 2014, n. 25634 Presidente Triola – Relatore Proto Svolgimento del processo Il condominio Verde Sirente di Rocca di Mezzo chiedeva e otteneva in data 3/3/1995 dal Presidente del Tribunale di Roma un decreto ingiuntivo nei confronti di C.M. per il pagamento spese condominiali come risultanti da preventivo e riparto approvati dall'assemblea. L'ingiunto proponeva opposizione affermando che il condominio non aveva tenuto conto del suo credito per canoni locatizi richiesti nell'importo di lire 5.000.000 annue per l'appartamento dell'interno n. 50, di proprietà dell'opponente e dei suoi fratelli e utilizzato dall'amministrazione condominiale che aveva addebitato nel 1992 ai proprietari le spese condominiali ad esso relative. L'opponente chiedeva - l'annullamento o la revoca del decreto - in via riconvenzionale l'accertamento del debito del condominio per canoni di locazione relativi all'appartamento dell'interno n. 50 di esclusiva proprietà dei fratelli C. e la condanna del condominio al pagamento del canone di locazione nella misura dovuta o che risulterà dovuta - in via riconvenzionale subordinata la declaratoria di illegittima occupazione da parte del condominio dell'appartamento dell'interno n. 50 e la condanna al rilascio e al risarcimento del danno equivalente al canone determinato o da determinare. Il Condominio insisteva per la conferma del decreto ingiuntivo non essendo contestato il credito risultante dal preventivo e dal riparto approvati contestava il controcredito opposto in compensazione negando l'esistenza di un rapporto locatizio e affermando che l'immobile pretesamente locato al condominio era invece di proprietà condominiale perché era stato venduto ai condomini dal padre dell'opponente anteriormente all'atto di donazione sulla base del quale il predetto si affermava proprietario. Nel giudizio intervenivano in adesione alle deduzioni del condominio i condomini Ca. , P. , S. e M. . Con sentenza del 2002 il Tribunale di Roma rigettava l'opposizione rilevando che, da un lato, il credito del condominio era certo perché la delibera sulla quale era fondata la pretesa monitoria non era stata impugnata ed era obbligatoria per tutti i condomini e, dall'altro, che non esisteva prova alcuna dell'esistenza del contratto di locazione per il quale fossero sorti crediti da opporre in compensazione o comunque da pagare. Il C. proponeva appello riconoscendo il credito per spese condominiali, ma insistendo nel vantare il controcredito per canoni di locazione relativi all'alloggio del portiere l'interno n. 50 del quale si affermava proprietario insieme ai fratelli e contestava che l'immobile in questione fosse condominiale, come invece affermato dal condominio. Gli appellati tranne il M. che restava contumace si costituivano e chiedevano il rigetto del gravame e, in via incidentale condizionata, l'accertamento della condominialità dell'alloggio occupato dal portiere o comunque dell'esistenza di un vincolo di destinazione impresso dal venditore. La Corte di Appello di Roma disponeva delle due cause la presente causa oggetto della riconvenzionale e quella di opposizione a decreto ingiuntivo questa causa era definita con la sentenza la n. 4989/07 oggetto del presente ricorso con la quale ai sensi dell'art. 354 c.p.c. era disposta la rimessione al giudice di primo grado per l'integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini del condominio e i comproprietari del bene, ravvisando un'ipotesi di litisconsorzio necessario. C.M. ha proposto ricorso affidato a cinque motivi. Il condominio e i condomini Ca.Pa. , P.P. e S.M. hanno resistito con un unico controricorso e hanno depositato memoria. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell'art. 112 c.p.c. sostenendo che la sentenza sarebbe viziata per omessa pronuncia in quanto la Corte di Appello, erroneamente ritenendo non integro il contraddittorio, sarebbe venuta meno al suo dovere di motivare e accogliere o rigettare una domanda che riguardava solo questioni di contabilità fra il condominio e il condomino, riferibili alla proprietà particolare del condomino non essendo mai insorta controversia sulla titolarità del bene e non avendo, il Condominio, richiesto l'accertamento della proprietà del bene e in tal senso formula il conseguente quesito di diritto. 2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce il vizio di omessa pronuncia e la violazione degli artt. 103, 104 e 354 c.p.c. e sostiene che la Corte di Appello non poteva separare le due domande perché l'opposizione era fondata proprio e solo sull'esistenza del controcredito e che comunque la pronuncia non dava risposta a tutta la domanda proposta con l'opposizione a decreto ingiuntivo. Il ricorrente, formulando il quesito di diritto, chiede se l'opposizione ad ingiunzione, allorché sia motivata da una eccezione di compensazione, sulla quale è stato accettato il contraddittorio, non possa decidersi solo sulla base della prima ammissione o non contestazione del debitore, ma vada decisa in una unica sentenza, emessa a conclusione di un unico procedimento ed unitamente alle domande di merito in tale sede contestualmente proposte dal debitore stesso a supporto dell'opposizione per conseguire il rimborso di quanto dovuto corrispondere in via esecutiva nonché per ottenere il pagamento del suo credito opposto in totale o parziale compensazione, verificandosi in caso contrario la denunciata violazione dell'art. 112 c.p.c 3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 1131 c.c. Il ricorrente sostiene che l'amministratore era legittimato a costituirsi in giudizio nell'interesse di tutti i condomini e a tutela di un interesse comune, proprio ai sensi dell'art. 1131 che attribuisce all'amministratore la legittimazione per qualunque azione concernente le parti comuni e che pertanto non v'era alcuna necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i condomini. Il ricorrente, formulando il quesito di diritto, chiede se l'amministratore di un edificio in condominio sia legittimato passivamente a resistere a qualunque domanda concernente i beni comuni sia nell'ipotesi in cui si pretenda di considerarli tali, sia nell'ipotesi contraria ove si pretenda di riconoscere una destinazione comune ad un bene di proprietà di un singolo condomino dovendosi escludere la necessità dell'integrazione del contraddittorio nei confronti dei condomini perché già rappresentati ex lege dall'amministratore. 4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1117 e 1138 c.c. correlati all'art. 2646 c.c. e sostiene che il giudice di appello avrebbe di fatto negato che la porzione immobiliare destinata ad alloggio del portiere e quindi di proprietà comune fosse quella indicata nel regolamento condominiale e non quella di fatto occupata e formulando il quesito chiede se il regolamento condominiale predisposto dal costruttore e trascritto sia opponibile a tutti i successivi acquirenti e se costoro siano tenuti al rispetto delle clausole regolamentari ancorché impongano limitazioni ai diritti, ai poteri e alle facoltà spettanti ai singoli condomini sulle parti comunioni o su quelle di loro esclusiva proprietà. 5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione. Il ricorrente lamenta che la Corte di appello avrebbe confuso l'istituto della compensazione con le norme che disciplinano la proprietà immobiliare senza considerare che non vi era mai stata una formale contestazione sulla esclusiva proprietà del bene che, sulla base di un titolo di acquisto la donazione del padre ai figli risultava di proprietà del ricorrente e dei suoi fratelli . 6. Il terzo motivo di ricorso è fondato. La Corte di Appello, facendo erronea applicazione dell'art. 1131 c.c. ha dichiarato la nullità della sentenza di primo grado e ha rimesso le parti al primo giudice per un nuovo processo a contraddittorio integro. Questa Corte ha già ripetutamente affermato il principio per il quale in tema di condominio negli edifici la legittimazione passiva dell'amministratore, prevista dall'art. 1131, secondo comma, cod. civ., ha portata generale, in quanto estesa ad ogni interesse condominiale e sussiste, pertanto, anche con riguardo alla domanda, proposta da un condomino o da un terzo, di accertamento della proprietà esclusiva di un bene, senza che sia necessaria la partecipazione al giudizio di tutti i condomini Cass. 17/12/2013 n. 28141, anche con riferimento al rapporto tra la questione ivi affrontata e quella decisa da Cass. S.U. 25454/2013 Cass. 13/12/2006 n. 26681 . Militano a favore di questa interpretazione - sia un argomento letterale, tenuto conto che per il chiaro disposto dell'art. 1131 cod. civ., comma 2, in base al quale l'amministratore può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio, appare arbitrario escludere tale legittimazione nel caso in cui un condomino o un terzo rivendichi la proprietà esclusiva di parti dell'edificio che in base all'art. 1117 cod. civ. dovrebbero essere comuni. - sia ratio dell'art. 1131, secondo comma, cod. civ., la quale va individuata nella esigenza di rendere più agevole ai condomini o ai terzi la instaurazione di giudizi aventi ad oggetto le parti comuni dell'edificio, considerando legittimato passivo l'amministratore, senza la necessità di chiamare in causa i singoli condomini, e non si comprende perché tale deroga non sarebbe operante allorché il convenuto proponga una domanda riconvenzionale nei confronti del condominio, chiedendo che venga accertato che è proprietario esclusivo di un bene che si dovrebbe considerare comune ai sensi dell'art. 1117 cod. civ Ne consegue che non è necessaria neppure l'integrazione del contraddittorio nei confronti dei fratelli del ricorrente, asseritamente comproprietari, in quanto a loro volta condomini, mentre, quanto alla legittimazione attiva, il comproprietario è legittimato all'esercizio delle azioni reali senza necessità di integrare il contraddittorio nei confronti degli altri. 7. La sentenza va cassata con rinvio, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Restano assorbiti tutti gli altri motivi e le questioni di merito non esaminate dalla Corte di Appello e che dovranno essere esaminate dal giudice del rinvio. P.Q.M. Accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Roma.