Aggravamento dell’esercizio della servitù: si deve valutare anche il pregiudizio potenziale

L’aggravamento dell’esercizio della servitù va verificata accertando se l’innovazione abbia alterato l’originario rapporto con il fondo servente e se il sacrificio, con la stessa imposto, sia maggiore rispetto a quello originario, a tal riguardo valutandosi non solo la nuova opera in sé stessa, ma anche con riferimento alle implicazioni che ne derivino a carico del fondo servente, assumendo in proposito rilevanza non soltanto i pregiudizi attuali, ma anche quelli potenziali, connessi e prevedibili, in considerazione dell’intensificazione dell’onere gravante sul fondo servente.

Servitù di veduta e concreto esercizio del diritto. Con la sentenza n. 15538/14, depositata il 9 luglio scorso, la Corte di Cassazione si pronuncia in tema di contenuto ed esercizio del diritto di servitù di veduta, ribadendo interessanti principi in tema di aggravamento dell’esercizio della servitù in seguito a nuove opere compiute sul fondo dominante. La fattispecie concreta porta all’attenzione dei giudici riguarda l’asserito aggravamento di una servitù di veduta conseguente alla chiusura di un porticato di proprietà esclusiva mediante costruzione di un muro posto sul confine e apertura di alcune finestre, con conseguente domanda di rimessione in pristino. Il titolare del fondo dominante, oltre ad eccepire la prescrizione per mancato uso ventennale della servitù di veduta degli attori, chiedeva il rigetto della domanda attorea, in quanto le menzionate opere non avrebbero alterato il contenuto della sua servitù di veduta essendo piuttosto una estrinsecazione dello stesso diritto di servitù non implicante alcun aggravamento della situazione preesistente. In altri termini, secondo il convenuto, posta l’estinzione della servitù di veduta degli attori, non vi sarebbe aggravamento della servitù di cui beneficiava il suo fondo nel caso in cui la funzione di veduta fosse stata originariamente assolta sul piano terra del portico per poi essere esercitata con differenti modalità in seguito all’innalzamento del piano e apertura di finestre sul muro di confine, differenti modalità che tuttavia non comportavano alcun aggravamento e pregiudizio per il fondo servente. Aggravamento della servitù e pregiudizio del fondo servente. La prima delle questioni affrontate dalla Corte con la pronuncia in rassegna riguarda le caratteristiche proprie pregiudizio al fondo servente necessarie a ritenere sussistente l’aggravamento della servitù e la conseguente illegittimità dell’attività posta in essere. Al riguardo la Corte, riprendendo quanto già affermato dalla stessa giurisprudenza di legittimità, afferma che l’aggravamento dell’esercizio della servitù deve essere verificato accertando se l’innovazione abbia alterato l’originario rapporto con il fondo servente e se il sacrificio, con la stessa imposto, sia maggiore rispetto a quello originario, a tal riguardo valutandosi non solo la nuova opera in sé stessa, ma anche con riferimento alle implicazioni che ne derivino a carico del fondo servente, assumendo in proposito rilevanza non soltanto i pregiudizi attuali, ma anche quelli potenziali, connessi e prevedibili, in considerazione dell’intensificazione dell’onere gravante sul fondo servente. Su tali presupposti la Corte rigetta il motivo di ricorso, ed afferma che il proprietario del fondo dominante che effettui innalzamenti del livello del proprio fondo determinando una più facile, intensa e continua inspectio e prospectio sul fondo servente, attraverso un muro, che seppur fosse rimasto invariato nell’altezza rispetto al cancello ed alla rete originari, ma sostanzialmente modificato i luoghi per aver assunto una differente configurazione e funzione, incorre nel divieto di cui all’art. 1067 c.c Eccezione di prescrizione per non uso e prevalenza della situazione fattuale su quella formale. Il secondo motivo di ricorso, accolto dalla Corte, riguardava il vizio di motivazione della sentenza impugnata, la quale nel rigettare l’eccezione di prescrizione per non uso ventennale della servitù di veduta aveva attribuito valore preminente al dato formale, costituito dalle planimetrie comunali, rispetto alla situazione fattuale, desumibile dalla testimonianza. La Corte, premesso che l’apparenza non costituisce elemento costitutivo dell’uso della servitù, cassa la sentenza impugnata, ritenendo apodittica la relativa motivazione, la quale senza alcun supporto fattuale ha rigettato l’eccezione di prescrizione per non uso, dovendosi invece ritenere che l’analisi sul punto debba essere condotta in base al concreto esercizio del diritto in base ai datti fattuali e concreti. In altri termini, la Corte ritiene, condivisibilmente, che l’accertamento circa l’uso della servitù riguardi l’effettivo esercizio del diritto, che deve essere condotto attribuendo particolare rilevanza alle risultanze fattuali piuttosto che a quelle formali.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 21 marzo – 8 luglio 2014, n. 15538 Presidente Bucciante – Relatore Falaschi Svolgimento del processo Con ricorso depositato il 21 luglio 1993 B.A. e N.R. , in qualità di proprietari delle unità immobiliari site nel Comune di Mestrino catastalmente censite al N.C.E.U. foglio 9, partita 480, mappali 1 e 72 sub 1, strada Provinciale Superiore 2, piano terra, I, II, Cat. A/2, cl. 2, vani 14,5 R.C.L. 2508 , nonché delle servitù costituite per destinazione del padre di famiglia di apertura di imposta, di aria, di luce e di inspicere nel portico di proprietà di D.P. attraverso una finestra esistente in un vano di loro proprietà, nonché quali possessori di dette servitù, proponevano innanzi al Tribunale di Padova l'azione di cui all'art. 1171 c.c. nei confronti del predetto D. , chiedendo la sospensione delle opere intraprese dal convenuto sul fondo di sua proprietà, adiacente a quello degli attori, opere con le quali il predetto intendeva chiudere l'arco di portico ubicato a nord della proprietà B. -N. , con l'intento di creare due vedute al piano terra e due al primo piano, nell'ambito dell'arco medesimo, e con le quali intendeva, inoltre, chiudere la finestra di proprietà dei ricorrenti che si apriva sul portico verso est, creando all'interno dello stesso un bagno. Instaurato il contraddittorio ed ottenuta dal giudice adito la cautela invocata nel senso della sospensione dell'opera, con atto di citazione notificato il 30 settembre 1993 gli attori instauravano il giudizio di merito, per ottenere l'accertamento dell'illegittimità delle opere realizzande dal D. , nonché la condanna dello stesso a rimuovere il muro costruito in aderenza alla chiudenda finestra, sì da consentire nuovamente loro l'inspicere sul portico di proprietà del convenuto chiedevano, altresì, l'accertamento della illegittimità dell'apertura delle vedute sul portico di proprietà del D. e la condanna del convenuto a rimuovere i tamponamenti effettuati sull'arco di portico dal medesimo, che impedivano l'esercizio delle servitù formulavano, infine, domanda di accertamento negativo dell'esistenza delle servitù di veduta create dal D. , la condanna dello stesso alla rimozione delle predette, in subordine, la regolarizzazione delle luci irregolari da questi realizzate mediante il tamponamento del muro e l'apertura delle quattro finestre, nonché il risarcimento del danno, da liquidarsi in via equitativa. Costituitosi il convenuto, che resisteva alle domande, eccependo, in primo luogo, l'estinzione della servitù di veduta relativa alla finestra ubicata sul vano di proprietà degli attori per essere la detta finestra chiusa da travi inchiodate quanto meno dal 1967, per cui si era estinta per non uso ventennale negava, inoltre, l'esistenza di altre servitù di veduta a vantaggio del bene di proprietà degli attori in relazione all'arco di portico e deduceva di vantare egli stesso il diritto di inspicere e di prospicere sul fondo degli attori, contestando che le quattro finestre realizzande costituissero un'innovazione in via riconvenzionale chiedeva il ristoro del danno causatogli dalla sospensione dell'opera. Espletata istruttoria, anche mediante consulenza tecnica d'ufficio e l'assunzione di prove orali, il giudice adito, rigettava le domande proposte dagli attori, condannandoli al risarcimento del danno in favore del D. nella misura di Euro 6.000,00 e alla rifusione delle spese di lite. In virtù di rituale appello interposto dal B. e dal N. , con il quale lamentavano la erronea applicazione della nozione di veduta di cui all'art. 905 c.c., non costituendo il portico una veduta, la erronea valutazione delle risultanze probatorie in ordine alla chiusura della finestra esistente sul muro di proprietà degli appellanti, omessa motivazione quanto al danno riconosciuto, la Corte di appello di Venezia, nella resistenza del D. , accoglieva il gravame e in riforma della decisione del giudice di primo grado, accertata l'illegittimità delle vedute create dal D. mediante l'apertura di quattro finestre sul muro di tamponamento del portico confinante con l'unità immobiliare di proprietà degli appellanti, nonché l'illegittimità della chiusura della finestra situata sul muro di proprietà degli appellanti che si affacciava sul lato ovest dell'immobile di proprietà dell'appellato, condannando il D. a chiudere con tamponamento in muratura le quattro finestre realizzate e a rimuovere la porzione di muro che chiudeva la finestra ubicata sul muro di proprietà degli appellanti, ripristinando la possibilità di apertura all'esterno delle imposte di detta finestra condannava il D. al risarcimento del danno quantificato in Euro. 2.000,00, oltre accessori. A sostegno della decisione adottata la corte territoriale evidenziava che oggetto dell'azione nunciatoria esperita in fase cautelare e nel conseguente giudizio ordinario instaurato dagli attori atteneva alla chiusura dell'arco del porticato, con muro posto a confine, dove erano state realizzate quattro aperture, di cui tre destinate a dare aria e luce ai servizi igienici e una al vano scale, nonché alla chiusura del foro-finestra del vano ad uso ripostiglio di proprietà degli attori, che si affacciava all'interno del locale ricavato dalla chiusura del portico preesistente. Proseguiva affermando che con recente arresto della Corte di Cassazione anche il portico, ubicato al piano terra dell'edificio, poteva assolvere alla funzione di veduta, consentendo quanto meno l'inspicere sul fondo, oltre al passaggio di luce e di aria. Da ciò faceva discendere la palese innovazione della servitù di veduta, verosimilmente costituita per destinazione del padre di famiglia allorché l'intera proprietà Sacchetti era stata alienata per distinte porzioni , per essere le caratteristiche di una veduta ubicata all'altezza del suolo affatto diverse da quelle di quattro finestre situate ad altezza superiore. Aggiungeva, quanto alla chiusura della finestra che si apriva sul muro di proprietà degli attori, che non risultava che la stessa fosse stata chiusa, giacché a seguito delle verifiche effettuate presso il Comune sulla tavola planimetrica allegata alla relazione del consulente tecnico era stato apposto il simbolo che individuava la veduta in questione, segno evidente che questa esisteva e che il Comune aveva imposto al D. di indicarla nelle planimetrie. Infine il danno conseguente alla violazione del diritto di servitù di veduta, trattandosi di danno in re ipsa, veniva liquidato in Euro 2.000,00 ai sensi dell'art. 1226 c.c Per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Venezia agisce il D. , sulla base di due motivi, illustrati anche da memoria ex art. 378 c.p.c., al quale replicano con controricorso i B. - N. , contenente anche ricorso incidentale condizionato, affidato ad un unico motivo. Motivi della decisione Con il primo motivo del ricorso principale il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 900, 905 e 1067 c.c. per avere la corte di merito attribuito carattere innovativo alla servitù con l'apertura di n. 4 finestre, senza tenere conto che D.A. , dante causa del ricorrente, aveva fin dall'acquisto dell'unità immobiliare realizzato un cancello in legno che chiudeva il portico, con una rete a maglie larghe di circa 2 mt., rete poi sostituita dai B. - N. con altra di altezza maggiore e con maglia ben più stretta, in quanto finalizzata ad impedire il verificarsi di furti cfr testimonianza del D. . In altri termini, non sarebbe comprensibile astrattamente la rilevata diversità di una veduta ubicata all'altezza del suolo rispetto ad una attuata attraverso quattro finestre situate ad un'altezza maggiore. Al riguardo viene posto il seguente quesito di diritto se in relazione ad una servitù di veduta ex art. 900 c.c., originariamente attuata attraverso un arco di portico sprovvisto di qualsivoglia battente o chiusura mobile aperto sul confine con il fondo servente, in uno stato di fatto tale per cui non esista alcun impedimento alla possibilità di guardare ovvero di affacciarsi sul fondo servente stesso anche nel senso che l'intera area corrispondente al fondo servente risulti accessibile alla vista dal fondo dominante , il successivo tamponamento dell'arco di portico e l'apertura - nel suo ambito - di n. 4 finestre implichi un aggravamento della servitù preesistente nel senso dell'art. 1067 c.c., oppure costituisca una mera estrinsecazione dello stesso diritto reale, inidonea ad aumentare la gravosità dello inspectio e della prospectio a carico del fondo servente e a vantaggio del fondo dominante, con conseguente regolarità delle quattro nuove aperture . La censura non ha pregio. Giova ricordare che la costante giurisprudenza di questa Corte ha affermato il principio secondo il quale l'aggravamento dell'esercizio della servitù, operata sul fondo dominante, va verificato accertando se l'innovazione abbia alterato l'originario rapporto con quello servente e se il sacrificio, con la stessa imposto, sia maggiore rispetto a quello originario, a tal riguardo valutandosi non solo la nuova opera in sé stessa, ma anche con riferimento alle implicazioni che ne derivino a carico del fondo servente, assumendo in proposito rilevanza non soltanto i pregiudizi attuali, ma anche quelli potenziali connessi e prevedibili, in considerazione dell'intensificazione dell'onere gravante sul fondo anzidetto v., tra le altre, Cass. n. 209 del 2006 Cass. n. 17396 del 2004 Cass. n. 9675 del 1999 Cass. n. 8612 del 1994 Cass. n. 4523 del 1993 . Orbene l'apprezzamento della corte di merito in ordine alla sussistenza dell'aggravamento della servitù di veduta in conseguenza delle immutazioni apportate al fondo dominante, con la chiusura dell'arco del porticato - con muro posto a confine - e la realizzazione di quattro aperture poste su due differenti livelli destinate a dare aria e luce ai servizi igienici ed al vano scala , laddove prima la funzione di veduta era assolta al solo piano terra del portico, ha reso il muro di divisione e delimitazione dei due fondi, con la creazione di quattro finestre, un vero e proprio parapetto d'affaccio sul fondo dei B. - N. , consentendo un uso più intenso e indiscriminato della veduta che prima, attraverso l'originario portico, si poteva esercitare, con più intense e continue inspectio e prospectio sul fondo servente, in particolare per quanto attiene alla veduta esercitata dal piano superiore, creata ex novo, assoggettandolo a una servitù qualitativamente e quantitativamente più gravosa. In presenza di ciò a nulla rileva la circostanza, su cui si basa la contestazione del ricorrente, che fin dall'acquisto il portico fosse stato chiuso con un cancello in legno e una rete a maglie strette per impedire il verificarsi di furti , per cui l'altezza del muro in questione sarebbe rimasta invariata e la trasformazione del portico in servizi igienici e vano scale da utilizzare per il suo appartamento sarebbe irrilevante a determinare la ritenuta diversità di veduta, giacché la suddetta trasformazione, come accertato dai giudici di merito, è avvenuta con la creazione di due piani di affaccio ed ha comportato la immutazione del preesistente divisorio, che pur restando invariato nella sua altezza, ha assunto sostanzialmente, per effetto del suddetto tamponamento del portico, una nuova configurazione e funzione. Invero il proprietario del fondo dominante che effettui innalzamenti del livello del proprio fondo e determini una più facile, intensa e continua inspectio e prospectio sul fondo servente, attraverso un muro, che pur se fosse rimasto invariato nell'altezza rispetto al cancello ed alla rete originari, ma sostanzialmente modificato i luoghi per aver assunto una diversa configurazione e funzione, incorre nel divieto di cui all'art. 1067 c.c Con il secondo motivo è denunciata omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione relativamente alla questione della chiusura della finestra aperta sul muro di proprietà dei B. -N. per avere la corte distrettuale escluso l'intervenuta prescrizione del diritto per non uso ventennale sulla base dei dati risultanti dalle planimetrie depositate in Comune, senza tenere in alcun conto le deposizioni testimoniali che deponevano in tutt'altro senso. Il ricorrente poi riporta il tenore delle dichiarazioni del teste D.A. , da cui emergerebbe la circostanza che sin dal 1967, anno di acquisto dell'immobile poi ceduto al nipote, D.P. , la finestra sarebbe stata chiusa da assi di legno chiodate, con ciò dando prevalenza al dato formale piuttosto che alla situazione fattuale. La censura è fondata nei termini di seguito esposti, per cui va accolta. I giudici di appello hanno posto a fondamento della mancata dichiarazione di estinzione ex art. 1074 c.c. della servitù di veduta, costituita per destinazione del padre di famiglia, la circostanza che dalla tavola planimetrica esistente presso il Comune, allegata alla relazione del consulente tecnico di ufficio, detta apertura fosse stata evidenziata con simbolo rappresentativo della sua natura, considerato inattendibile il teste D.A. , che aveva riferito che fin dal 1967 alla finestra de qua vi fossero state chiodate delle assi di legno, per cui essenzialmente desumendola dall'accertamento del c.t.u Tale affermazione tuttavia avrebbe consentito di riferire la sola esistenza ab origine della veduta come del resto non contestato dallo stesso ricorrente , ma non anche il ravvisato uso della stessa, che attenendo a circostanza di fatto, doveva emergere da una prova avente caratteri diversi. Evidente risulta, allora, l'indebita affermazione circa il ritenuto oggettivo esercizio delle facoltà previste dal diritto reale in questione, non risultando provata - o comunque non essendovene cenno in motivazione - che le condizioni dell'apertura fossero tali da rendere possibile la veduta. Né a tale riguardo può ritenersi conferente la sua raffigurazione nella planimetria, tenuto conto che il connotato dell'apparenza non costituisce un elemento costitutivo anche dell'uso della servitù, non potendosi da tale dato trarre la certezza che dall'anno della costituzione del diritto, ossia dalla vendita in porzioni del fabbricato, di fatto questa fosse stata sempre utilizzata, essendo, per converso, ben compatibile detta circostanza anche con la estinzione del diritto. La suesposta censurata, categorica, affermazione della corte territoriale, dunque, risulta apodittica, in quanto non corredata da alcuna analisi del dato fattuale, mentre l'indagine avrebbe dovuto essere condotta sul concreto esercizio del diritto, al fine di accertare se le controparti fossero state fino a quel momento quiescenti per mancato esercizio dovuto alla situazione dei luoghi, essendo ancora i proprietari dei fondi dominanti, quand'anche fossero rimasti inerti fino a quel momento, nel diritto di poterla ancora esercitare. Conseguentemente, per la decorrenza del termine prescrizionale di cui all'art. 1073 c.c. al quale fa riferimento l'art. 1074 c.c., ai fini della verificazione delle fattispecie estintive per impossibilità di fatto di usare della servitù e mancanza di utilità, deve tenersi conto degli eventuali atti interruttivi da parte di colui contro il quale il diritto stesso può esser fatto valere. Passando all'esame dell'unico motivo di ricorso incidentale condizionato, con il quale viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 905 e 1067 c.c. per avere la corte di merito ritenuto costituire servitù di veduta lo stesso portico, che invece costituisce solo un elemento architettonico, inidoneo a costituire una veduta, va ritenuto assorbito dal rigetto del primo motivo del ricorso principale. Sulla scorta delle considerazioni che precedono, rigettato il primo motivo del ricorso principale, accolto il secondo ed assorbito il ricorso incidentale, la sentenza impugnata va cassata con rinvio, per nuovo esame della questione esposta al secondo mezzo, ad altra sezione della corte territoriale di provenienza, che provvederà all'esito anche al regolamento delle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte, accoglie il secondo motivo del ricorso principale, rigettato il primo ed assorbito il ricorso incidentale condizionato cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di Cassazione, ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia.