Pubblicità del possesso ai fini dell’usucapione: il potere di fatto deve essere percepibile da tutti

Il requisito della non clandestinità, richiesto dall’art. 1163 c.c., va riferito non agli espedienti che il possessore potrebbe attuare per apparire proprietario, ma al fatto che il possesso sia stato acquistato ed esercitato pubblicamente, cioè in modo visibile e non occulto, così da palesare l’animo del possessore di voler assoggettare la cosa al proprio potere senza che sia necessaria l’effettiva conoscenza da parte del preteso danneggiato.

Ai fini dell’accertamento della non clandestinità del possesso, è necessario che questo sia acquistato ed esercitato in modo visibile a tutti o almeno ad un’apprezzabile ed indistinta generalità di soggetti e non solo al precedente possessore o ad una limitata cerchia di persone che abbiano la possibilità di conoscere la situazione di gatto soltanto grazie al proprio particolare rapporto con il possessore. E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 17881 del 23 luglio 2013. Usucapione, possesso e tolleranza. Con la pronuncia in rassegna la Corte di Cassazione si occupa di una interessante questione in tema di requisiti del possesso ai fini dell’usucapione. In particolare la Corte si concentra sul requisito della pubblicità del possesso e della sua non clandestinità, atteso che in base all’art. 1163 c.c. la non clandestinità costituisce requisito per l’usucapione del bene. Nella fattispecie decisa con la pronuncia in questione la Corte è chiamata a pronunciarsi su una vicenda originata da una domanda di accertamento della violazione del diritto di sopraelevazione esercitata dal proprietario nei confronti di alcuni soggetti che in seguito agli eventi della prima e della seconda guerra mondiale avevano abusivamente realizzato delle costruzioni sulla parte superiore della sua proprietà. Nel costituirsi i convenuti avevano formulato domanda riconvenzionale volta a dichiarare l’intervenuta usucapione. Semplificando la vicenda processuale, i giudici di primo e secondo grado rigettavano la suddetta domanda riconvenzionale in quanto il possesso era stato esercitato clandestinamente e senza pubblicità. Veniva quindi interposto ricorso per Cassazione volto a sindacare la statuizione di secondo grado sull’assunto che nel caso di specie il possesso era stato invece esercitato in maniera percepibile. La non clandestinità del possesso. La Corte afferma che il requisito della non clandestinità, richiesto dall’art. 1163 c.c., va riferito non agli espedienti che il possessore potrebbe attuare per apparire proprietario, ma al fatto che il possesso sia stato acquistato ed esercitato pubblicamente, cioè in modo visibile e non occulto, così da palesare l’animo del possessore di voler assoggettare la cosa al proprio potere senza che sia necessaria l’effettiva conoscenza da parte del preteso danneggiato. D’altronde, come chiarito da tempo in dottrina, la clandestinità del possesso consiste nel suo occultamento rispetto al proprietario che si concretizza nel nascondere il bene o il suo uso attuale, tanto da non rendere percepibile tale situazione al proprietario. Il menzionato requisito si giustifica e si spiega sul presupposto che un possesso clandestino non risulta socialmente apprezzabile, con la conseguenza che il possessore non risulta più meritevole di tutela rispetto al proprietario. L’esercizio pubblico” del possesso. La sentenza che si commenta, sulla scorte di precedenti pronunce sul punto, aggiunge che ai fini dell’accertamento della non clandestinità del possesso, è necessario che questo sia acquistato ed esercitato in modo visibile a tutti o almeno ad un’apprezzabile ed indistinta generalità di soggetti e non solo al precedente possessore o ad una limitata cerchia di persone che abbiano la possibilità di conoscere la situazione di fatto soltanto grazie al proprio particolare rapporto con il possessore. Su tali presupposti il ricorso viene rigettato in quanto dall’indagine svolta dai giudici di merito risultava che il concreto esercizio del possesso, anche in considerazione dell’ubicazione dei beni, non era ben visibile e che le deduzioni svolte non erano in grado di rivelare la pubblicità dell’uso e del possesso utile ai fini dell’usucapione.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 30 maggio - 23 luglio 2013 n. 17881 Presidente Bursese – Relatore Matera Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 17, 18, 20, 21 marzo e 6 aprile del 1995 C.G. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli D.C.L. , T.F. , T.M. , S.G. , D.F.M. , il Fallimento di A.R. e N.R. , per sentir accertare la violazione del diritto di sopraelevazione spettantegli quale proprietario - in forza di atti notarili stipulati nel 1947 e 1948 -, dell'area di risulta dei fabbricati siti in omissis , andati distrutti a seguito degli eventi della prima e della seconda guerra mondiale. L'attore deduceva, in particolare, che non poteva procedere alla ricostruzione a causa della presenza di alcuni lucernari e tralicci di sostegno per tabelle pubblicitarie abusivamente realizzati dai convenuti sui lastrici di copertura dei terranei dai medesimi ricostruiti. Con sentenza in data 1-12-2000 il Tribunale rigettava la domanda attrice accoglieva la domanda riconvenzionale di usucapione formulata da D.C.L. e dai T. rigettava le analoghe domande riconvenzionali spiegate da S.G. e N.R. . Avverso la predetta decisione proponevano appello principale C.G. e appello incidentale N.R. . Con sentenza non definitiva in data 29-3-2006 la Corte di Appello di Napoli rigettava l'appello incidentale, disponendo con separata ordinanza per il prosieguo del giudizio in ordine all'appello principale. La Corte territoriale, in particolare, pur dando atto della sussistenza, in capo a N.R. , della qualità di erede di N.L. , che il Tribunale aveva ritenuto non provata, riteneva infondata nel merito la domanda riconvenzionale di usucapione della proprietà del lastrico di copertura del terraneo di sua proprietà, proposta dal predetto convenuto. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso N.R. , sulla base di due motivi. C.G. ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cpc. Motivi della decisione 1 Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1158 e 1163 c.c Deduce che, ai fini della sussistenza dell'elemento della pubblicità, è sufficiente che il possesso sia esercitato in maniera non occulta, così da rendere palese la volontà del possessore di assoggettare la cosa al proprio potere, a nulla rilevando che l'esercizio del possesso avvenga in luogo chiuso, non aperto al pubblico, qualora esso non avvenga clandestinamente, ma alla presenza di tutti coloro che frequentano il luogo. Sostiene che nella specie, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di Appello, il ricorrente e prima di lui i suoi danti causa hanno esercitato un possesso dotato del requisito della pubblicità, tant'è che lo stesso attore se ne era avveduto, avendo lamentato, in citazione, che il convenuto aveva abusivamente realizzato alcuni lucernari e alcuni tralicci di sostegno per tabelle pubblicitarie . Secondo il ricorrente, esistevano segni ben visibili dell'uso continuato del lastrico, rappresentati da una scala di accesso, per quanto piccola, nonché dai lucernari realizzati nell'intera superficie del lastrico e dai tralicci per il sostegno delle tabelle pubblicitarie dei sottostanti magazzini opere tutte che rivelavano, oltre alla possibilità per i N. di accedere al lastrico in ogni momento, anche la continuità dell'uso di tale lastrico, quanto meno al fine di una periodica ispezione e manutenzione dei lucernari. Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto, ai sensi dell'art. 366 bis cpc. applicabile ratione temporis al ricorso in esame Dica la Corte se per aversi pubblicità del possesso necessaria perché questo possa produrre l'effetto dell'usucapione, sia sufficiente che esso sia esercitato in modo visibile e non occulto, così che possa rivelare l'animo del possessore di voler assoggettare la cosa al proprio potere, a nulla rilevando che l'esercizio del possesso avvenga in luogo chiuso, non aperto al pubblico né visibile dalla pubblica strada, qualora esso non avvenga clandestinamente, ma alla presenza di tutti coloro che frequentano il luogo in cui tale possesso si esercita . Il motivo è infondato. Come è stato già affermato da questa Corte, il requisito della non clandestinità, richiesto dall'art. 1163 c.c., va riferito non agli espedienti che il possessore potrebbe attuare per apparire proprietario, ma al fatto che il possesso sia stato acquistato ed esercitato pubblicamente, cioè in modo visibile e non occulto, così da palesare l'animo del possessore di voler assoggettare la cosa al proprio potere senza che sia necessaria l'effettiva conoscenza da parte del preteso danneggiato v. Cass. 17-7-1998 n. 6997 Cass. 14-5-1979 n. 2800 Cass. 10-4-1973 n. 1021 Cass. 9-10-1970 n. 1910 . In particolare, è stato precisato che, ai fini dell'accertamento della mancanza di clandestinità, è necessario che il possesso sia acquistato ed esercitato pubblicamente in modo visibile a tutti o almeno ad un'apprezzabile ed indistinta generalità di soggetti e non solo al precedente possessore o ad una limitata cerchia di persone che abbiano la possibilità di conoscere la situazione di fatto soltanto grazie al proprio particolare rapporto col possessore Nel caso di specie, la Corte ha cassato la sentenza di secondo grado che aveva ritenuto pubblico il possesso di un vano accessibile solo mediante una botola d'ingresso, situata in un retrobottega, visibile solo a chi avesse la possibilità di entrare nel locale Cass. 9-5-2008 n. 11624 . L'accertamento in concreto del requisito in parola, in relazione alla fattispecie specifica e alle prove acquisite agli atti, infatti, costituisce apprezzamento di fatto che, se adeguatamente motivato, come nel caso in esame, è incensurabile in Cassazione Cass. 9-10-1970 n. 1910 Cass. 24-4-1975 n. 1598 . Nel caso in esame, la Corte di Appello non si è discostata dagli enunciati principi, avendo osservato che, in tema di possesso utile per l'usucapione, è pubblico il possesso esercitato in modo visibile e non occulto, così da poter rivelare esteriormente l’ animus possidendi e che, ai fini del requisito in parola, non è richiesto che il possessore del bene conosca effettivamente il possesso altrui, ma è comunque necessario che egli abbia l'obiettiva possibilità di prendere conoscenza. Partendo da tali esatte considerazioni, il giudice del gravame ha escluso che nella specifica fattispecie il possesso asseritamene esercitato dal N. sia connotato dal carattere di pubblicità, avendo accertato, in punto di fatto che il lastrico di copertura non è visibile neppure in parte dalla strada pubblica che ad esso si accede attraverso una scala assai stretta, chiusa da una porticina quasi del tutto nascosta che la presenza dei lucernari è celata alla vista del pubblico da un muretto-parapetto che le deduzioni svolte anche attraverso l'articolazione della prova orale dall'appellante incidentale circa l'asserito uso del lastrico solare, per la loro genericità, sono inidonee a rivelare la pubblicità dell'uso e, quindi, del possesso che da quell'uso il N. vorrebbe far ridiscendere. Non sussistono, pertanto, le denunciate violazioni di legge, avendo la Corte distrettuale fatto corretta applicazione dei principi affermati in materia dalla giurisprudenza laddove i rilievi svolti dal ricorrente per sostenere che il suo possesso del lastrico solare era connotato dal requisito della pubblicità, involgono apprezzamenti di fatto del giudice di merito non sindacabili in questa sede, in quanto sorretti da una motivazione adeguata e immune da vizi logici. 2 Con il secondo motivo il ricorrente lamenta vizi di motivazione. Deduce, in particolare, che la motivazione è insufficiente nella parte in cui, pur avendo dato atto che i N. , nel procedere pacificamente prima del 1950 alla ricostruzione dei terranei, avevano edificato una scaletta per accedere al lastrico e munito i nuovi piani di ampi lucernari, non ha tratto la conclusione della sussistenza della prova del possesso ad usucapionem e, comunque, non ha ammesso la prova per interrogatorio e per testi articolata in via subordinata dal convenuto. Evidenzia che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di Appello, i lucernari, superando il livello di calpestio del lastrico e ingombrando la colonna d'aria ad esso sovrastante, rappresentano chiaramente il segno di un uso permanente del lastrico nella sua interezza. Anche tale motivo è privo di fondamento. La Corte di Appello ha dato sufficiente conto delle ragioni per le quali ha disatteso la domanda riconvenzionale proposta dal N. . Il percorso argomentativo seguito si snoda attraverso passaggi congruenti e non contraddittori, con i quali il giudice del gravame, oltre a rilevare la mancanza del requisito della pubblicità del possesso di cui all'art. 1163 c.c., ha rimarcato anche sotto un diverso profilo la mancanza di prova di un possesso utile ai fini dell'usucapione. La Corte territoriale, infatti, nel rilevare che, secondo la prospettazione dell'appellante incidentale, gli atti di possesso esercitati dal N. e dai suoi danti causa stati erano costituiti dall'uso del lastrico di copertura e dalla costruzione di alcuni lucernari, ha evidenziato l'estrema genericità delle deduzioni svolte dall'appellante incidentale riguardo all'asserito uso del lastrico solare, non accompagnate dalla indicazione degli atti di possesso in concreto esercitati ed ha, conseguentemente, ritenuto irrilevante la prova dedotta al riguardo dall'odierno ricorrente. E in effetti, come si desume dalla lettura dei capitoli trascritti a pag. 6 del ricorso, la prova articolata dal N. non andava al di là di un riferimento del tutto generico all' uso di tali lastrici . Quanto ai lucernari, il giudice di appello ha osservato che la loro presenza, oltre ad essere celata alla vista del pubblico da un muretto-parapetto, non sarebbe comunque sufficiente ad attribuire la proprietà per usucapione dell'intero lastrico di copertura e ciò sia in considerazione del fatto che i lucernari non occupano l'intera superficie del lastrico, sia perché la loro realizzazione potrebbe tutt'al più comportare l'acquisto di un diritto reale limitato sul bene altrui il lastrico e non già dell'intera superficie del medesimo bene. Secondo la Corte territoriale, infine, non rileva, ai fini della positiva delibazione della domanda di usucapione del lastrico, la presenza di una insegna pubblicitaria sulla copertura non solo, infatti, quella che si vede nelle fotografie è una tabella pubblicitaria in posizione defilata rispetto al lastrico, essendo posta sul suo margine estremo, ma della sua presenza ultraventennale non vi è traccia nei capitoli di prova articolati. Si tratta di argomentazioni congrue e logiche, che valgono a fornire un'adeguata base motivazionale alla decisione impugnata e a fronte delle quali le doglianze mosse dal ricorrente, volte a sostenere da un lato che i lucernari erano ben visibili ed ingombravano l'intera colonna d'aria sovrastante il livello del piano di calpestio del lastrico, e dall'altro che il N. e i suoi danti causa si erano ininterrottamente serviti del lastrico almeno per la pulizia e manutenzione dei detti lucernari, si risolvono, attraverso la formale denuncia di vizi di motivazione, nella sostanziale richiesta di una valutazione delle risultanze processuali diversa rispetto a quella compiuta dal giudice del gravame. In tal modo, peraltro, si sollecita a questa Corte l'esercizio di un potere di cognizione esulante dai limiti del sindacato di legittimità ad essa riservato, rientrando nei compiti istituzionali del giudice di merito l'accertamento dei fatti oggetto della controversia e la valutazione delle prove. 3 Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute dal resistente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.