Vietato aprire un secondo ingresso sul pianerottolo se limita l'uso della cosa comune

L'apertura di un secondo ingresso che prevede l'utilizzazione esclusiva di una parte del cavedio condominiale costituisce uso illecito della cosa comune e può essere vietata dall'assemblea.

L'apertura di un secondo ingresso sul pianerottolo, da parte del proprietario di un appartamento, trova il limite del pregiudizio all'utilizzo della comune da parte di tutti gli altri condomini. È il principio ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 15968 del 20 luglio. Il caso. La proprietaria di un appartamento impugnava la delibera assembleare con la quale il Condominio le aveva negato l'autorizzazione ad aprire un secondo ingresso, sul pianerottolo, col quale intendeva servire un secondo alloggio, ottenuto dalla divisione della sua unità immobiliare in due distinte porzioni. Il Tribunale confermava la delibera, rigettando l'impugnazione, e uguale sorte trovava l'appello proposto dalla condomina, che si rivolgeva, infine, in cassazione. Libertà di iniziativa privata da una parte A sostegno della propria tesi e della legittimità dell'intento di aprire un secondo ingresso, la ricorrente propone una serie di motivi che però, secondo la Corte, non investono la principale ed assorbente ratio decidendi che i giudici di merito hanno posto a fondamento della sentenza impugnata. E' stato, infatti, rilevato che per realizzare il secondo ingresso del suo appartamento, sarebbe stato necessario eliminare, su quel piano, la cavità interna che attraversa tutto l'edificio il cavedio . Questa, infatti, sarebbe rimasta incorporata, seppur in parte, nella proprietà esclusiva della ricorrente. limite dell'uso illecito della cosa comune dall'altra. Il cavedio viene considerato cosa comune e ha lo scopo fondamentale di fornire di aria e luce i locali secondari interni pur sopravvivendo un'eventuale possibilità di utilizzare la porzione residua del cavedio, questo sarebbe stato in parte inglobato nella proprietà esclusiva di un singolo condomino e ciò, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, costituisce un uso illecito della cosa comune. Pertanto, il ricorso viene rigettato.