Lascia la moglie e si crea una nuova famiglia: risarciti i figli adottivi

Ufficializzata la separazione della coppia. Evidenti le colpe dell’uomo, che coi suoi comportamenti ha arrecato sofferenze non lievi ai due figli adottati da lui e dalla moglie.

Irreversibile la crisi coniugale. Inevitabile la separazione, addebitata però esclusivamente al marito, che deve anche risarcire i due figli adottivi, versando loro 40mila euro a testa. Evidente, secondo i giudici, il nuovo trauma da abbandono loro provocato dalle condotte dell’uomo Cassazione, ordinanza n. 9188/21, sez. I Civile, depositata il 2 aprile . Concordi i Giudici di merito sulle colpe dell’uomo all’origine della rottura coniugale. In Appello, poi, viene non solo confermato il mantenimento paterno per i due figli adottivi della coppia, ma viene anche elevato a 1.500 euro il contributo che il marito dovrà versare alla moglie. Per l’uomo, però, l’addebito della separazione comporta un ulteriore gravoso esborso economico egli dovrà versare 40mila euro a entrambi i figli adottivi come risarcimento per i danni loro arrecati con le proprie condotte illecite come padre . Su quest’ultimo fronte i Giudici di secondo grado chiariscono che il ristoro economico ha natura esclusivamente non patrimoniale ed è dovuto al fatto che per i minori, adottati dai coniugi in tenera età, la separazione ha riacutizzato il trauma dell’abbandono, determinando una profonda sofferenza psichica e ponendo a grave rischio l’equilibrio futuro . In sostanza, l’ addebitabilità esclusiva al padre delle cause della separazione coniugale ed in particolare le modalità traumatiche della rottura, oltre al trasferimento del genitore in una città diversa e la nascita di un altro figlio nel nuovo nucleo familiare da lui creato, hanno determinato una grave condizione di deprivazione e senso di abbandono, tenuto conto della maggiore fragilità dei figli adottivi già segnati da un abbandono originario . Per i giudici, quindi, il diritto al risarcimento è sorto dal vuoto emotivo, relazionale e sociale dettato dall’assenza paterna che si è concretizzato nella lesione del diritto costituzionale di vivere ed essere mantenuti ed educati da entrambi i genitori . In Cassazione l’uomo punta a mettere in discussione il maggiore mantenimento dovuto alla moglie e il risarcimento destinato ai due figli. Ogni sua osservazione si rivela però inutile. Per quanto concerne il contributo destinato alla donna, i Giudici di terzo grado ritengono evidente la inconsistenza della sua capacità lavorativa , tenendo presente che ella era in passato impegnata in attività strettamente collegate a quelle del marito e avendo bene in mente, oggi, la sua età e la necessità di occuparsi della madre e dei due figli . Resta da affrontare il capitolo più importante, cioè quello del risarcimento destinato ai figli adottivi della coppia. A questo proposito l’uomo tiene a ribadire di non aver mai fatto mancare nulla ai figli minori e di essere stato ostacolato dalla moglie nella relazione con loro e poi lamenta che il danno non risulta dimostrato su obiettivi criteri di scientificità e di carattere medico-legale, non risultando descritti neanche i sintomi della sofferenza che avrebbe colpito i minori . Dalla Cassazione ribattono però che in Appello è stata accertata la lesione inferta ai minori e poi si sono appurati anche natura e contenuto del danno da loro subito. Fondamentale il riferimento alla peculiarità della biografia dei due figli minori della coppia in quanto adottati in tenera età . In sostanza, entrambi hanno mostrato un quadro clinico complesso, con necessità per tutti e due di terapia di sostegno. La separazione ha riacutizzato in loro, cresciuti in orfanotrofio, il trauma dell’abbandono, determinando nell’immediato una profonda sofferenza e ponendo a grave rischio il loro futuro equilibrato sviluppo . Ciò rende ancora più pesante la responsabilità esclusiva dell’uomo per la rottura dell’unione coniugale . Responsabilità certificata, però, anche dalla modalità traumatica cui è seguito l’allontanamento geografico della figura paterna e dal succedersi repentino di eventi tutti diretti a rafforzare l’idea della privazione della figura genitoriale maschile, ossia suo nuovo nucleo familiare con nascita di un nuovo figlio . In sostanza, queste scelte personali sono state compiute senza considerare o prendere in adeguata considerazione la fragilità dei figli adottivi e la precarietà dell’equilibrio affettivo da loro raggiunto . Evidente, quindi, l’incidenza negativa sullo sviluppo psico-fisico dei due minori delle azioni dell’uomo, che ha così arrecato ai due minorenni un danno non patrimoniale individuato nella riproposizione di una situazione di abbandono, ancorché non equiparabile a quella di partenza ma comunque idonea a generare in loro una sofferenza non contingente . Confermato, infine, anche il quantum del risarcimento stabilito in Appello, alla luce della incidenza della pregressa esperienza esistenziale dei minori e della sofferenza da loro subita .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 16 settembre 2020 – 2 aprile 2021, n. 9188 Presidente De Chiara – Relatore Acierno Fatti di causa e ragioni della decisione 1. La Corte d’Appello di Genova, nella causa di separazione personale intercorsa tra M.G. e S.N.E. , in parziale riforma della pronuncia di primo grado, per quel che ancora interessa, ha elevato il contributo per il mantenimento della coniuge ad Euro 1500 mensili ed ha condannato S.N. al risarcimento dei danni subiti dai figli minori F. e V. per condotte illecite paterne nella misura di 40000 Euro per ciascun figlio. A sostegno della decisione ha affermato, in relazione alla sussistenza dell’illecito endofamiliare a carico del padre che il risarcimento in questione la natura esclusivamente non patrimoniale e che la consulenza tecnica d’ufficio ha posto in luce come per i minori, adottati dai coniugi in tenera età quattro e tre anni , la separazione abbia riacutizzato il trauma dell’abbandono determinando una profonda sofferenza psichica e ponendo a grave rischio l’equilibrio futuro. L’addebitabilità esclusiva delle cause della separazione personale al padre ed in particolare le modalità traumatiche della rottura oltre al trasferimento del padre in una città diversa e la nascita di un altro figlio nel nuovo nucleo familiare creato dallo stesso hanno determinato una grave condizione di deprivazione e senso di abbandono, tenuto conto della maggiore fragilità dei figli adottivi già segnati da un abbandono originario. La Corte territoriale, in conclusione, ha ritenuto che il diritto al risarcimento nella specie sia sorto dal vuoto emotivo, relazionale e sociale dettato dall’assenza paterna che si è concretizzato nella lesione del diritto costituzionale di vivere ed essere mantenuti ed educati da entrambi i genitori. Si tratta di una lesione che supera la soglia di gravità necessaria, secondo la giurisprudenza di legittimità, per ammetterne la risarcibilità. La liquidazione è stata effettuata in forma equitativa. 2. Quanto all’aumento del contributo al mantenimento del coniuge, alla luce della effettiva comparazione tra i due quadri reddituali, economici e patrimoniali delle parti, il consistente divario che emerge in favore di S. , pur a fronte di una certa contrazione intervenuta nel tempo, dovendosi tenere conto anche della non affidabilità delle dichiarazioni fiscali dello stesso, conduce ad una riforma della statuizione di primo grado. La riduzione disposta dal Tribunale è ingiustificata alla luce della inconsistenza della capacità lavorativa della M. , essendo in passato impegnata in attività strettamente collegate a quelle del marito ed in considerazione dell’età e della necessità di occuparsi della madre e dei due figli. 3. Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione S.N. . Ha resistito con controricorso, accompagnato da memoria, M.G. . 4. Nel primo motivo viene dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo oltre che l’inconferenza e la contraddittorietà delle conclusioni cui perviene la Corte territoriale in relazione alla statuizione con la quale è stato disposto l’aumento del contributo al mantenimento del coniuge, lasciando inalterato il contributo al mantenimento dei due figli. Il peggioramento della situazione economico-reddituale del ricorrente è stata provata sulla base di una molteplicità di elementi di prova ma tale evenienza ha prodotto effetti soltanto in relazione all’assegno relativo al mantenimento dei figli. 4.1. La censura è inammissibile sotto il profilo della contraddittorietà, non essendo più previsto questo specifico profilo del vizio di motivazione a partire dalla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 D.L. 22 giugno 2012, n. 83, ex art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 . Alla luce dell’intervento nomofilattico delle S.U. di questa Corte S.U. 5083 del 2014 soltanto la motivazione fondata su affermazioni radicalmente inconciliabili può dar vita al vizio riconducibile alla violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, ed alla conseguente qualificazione della motivazione perplessa. Nella specie, la Corte d’Appello ha svolto un giudizio di adeguatezza del contributo per i figli correlato da un lato alla valutazione della capacità economico-patrimoniale del padre ma dall’altro alle loro effettive esigenze. Per quanto riguarda la moglie in virtù della negativa valutazione della sua capacità economica ha ritenuto inadeguata la precedente riduzione. Si tratta di valutazioni fondate su un percorso logico argomentativo del tutto esauriente e fondate su accertamenti di fatto insindacabili in sede di giudizio di legittimità. 5. Nel secondo motivo il medesimo vizio viene riferito al rilievo riguardante la valutazione di probabile non attendibilità delle dichiarazioni fiscali. Anche questa censura è inammissibile perché volta a colpire una valutazione fondata esclusivamente su elementi di fatto, peraltro soltanto integrativi del complessivo quadro probatorio posto alla base della decisione del giudice di merito. 6. Nel terzo motivo viene dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo in relazione al riconoscimento del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale da illecito endofamiliare in capo ai figli minori. Il ricorrente evidenzia di avere negli atti difensivi del giudizio d’appello respinto qualsivoglia addebito in merito all’esistenza di un nesso di causalità tra le sue condotte e la fine dell’unione coniugale e di aver concluso con la riforma in senso favorevole al signor S. e comunque nella misura meglio vista e comunque ritenuta di giustizia . Deve, pertanto, escludersi che vi sia stato un riconoscimento da parte del ricorrente in merito all’addebitabilità della separazione. In relazione alla prova della lesione al diritto costituzionalmente garantito dei minori a non subire un’ulteriore privazione della genitorialità il ricorrente mette in luce di non aver mai fatto mancare nulla ai figli minori e di essere stato ostacolato dalla moglie nella relazione con loro. Il danno infine non risulta dimostrato su obiettivi criteri di scientificità e di carattere medico legale, non risultando descritti neanche i sintomi della sofferenza che avrebbe colpito i minori. Infine, non si sarebbe tenuto conto dell’affermazione i figli sono ben contenti di vedere il padre a contenuto sostanzialmente confessorio, della controricorrente che dovrebbe indurre ad escludere la sussistenza del danno riconosciuto. 6.1. La censura è inammissibile. In ordine alla prima parte di essa, riguardante la contestazione dell’addebito in appello, non risulta formulata impugnazione incidentale da parte del ricorrente su tale statuizione del giudice di primo grado, essendo stato proposta impugnazione esclusivamente dalla signora M. vedi sentenza d’appello, pag. 2 . 6.2. In relazione al merito della censura deve osservarsi che la Corte d’Appello ha valutato le risultanze istruttorie ed in particolare quelle fondate sull’indagine peritale svolta in primo grado in modo difforme dal Tribunale, svolgendo, tuttavia, un accertamento di fatto completo sulla sussistenza della lesione, sulla natura ed il contenuto del danno e sulla sua determinazione, rispetto al quale la censura proposta non supera il vaglio di ammissibilità. In particolare, è stata evidenziata la peculiarità della biografia dei due figli minori delle parti in quanto adottati all’età di tre e quattro anni. Entrambi vedi pag. 7 sentenza impugnata anche con caratteristiche di personalità diverse hanno mostrato un quadro clinico complesso, con necessità per tutti e due di terapia di sostegno. La separazione, secondo la valutazione della consulenza tecnica d’ufficio, condivisa dalla Corte d’Appello ha riacutizzato nei minori, cresciuti in orfanotrofio, il trauma dell’abbandono, determinando in essi nell’immediato una profonda sofferenza e ponendo a grave rischio il loro futuro equilibrato sviluppo . La responsabilità esclusiva del ricorrente, accertata con valore di giudicato, della rottura dell’unione coniugale, non è stata ritenuta di per sé sola, idonea ad integrare il fatto lesivo ma ne è stata posta in luce la modalità traumatica cui è seguito l’allontanamento geografico del padre ed il succedersi repentino di eventi tutti diretti a rafforzare l’idea della privazione della figura genitoriale paterna nuovo nucleo familiare, nascita di un nuovo figlio . Queste scelte personali, secondo la valutazione dei fatti e delle conclusioni della CTU svolta insindacabilmente dalla Corte d’Appello, sono state adottate senza considerare o prendere in adeguata considerazione la fragilità dei figli adottivi e la precarietà dell’equilibrio affettivo dagli stessi raggiunto. Deve escludersi, in conclusione, che nella sentenza impugnata non si sia fornita una valutazione adeguata della natura e del contenuto dell’incidenza negativa sullo sviluppo psicofisico dei minori delle cause, delle modalità e delle conseguenze dei comportamenti del ricorrente, mediante un giudizio sulle emergenze fattuali e sulle valutazioni medico legali insindacabile in sede di legittimità anche perché, come illustrato, ampiamente ed esaurientemente argomentato. Il danno non patrimoniale è stato individuato nella riproposizione di una situazione di abbandono ancorché non equiparabile a quella di partenza ma, dall’indagine peritale condivisa dalla Corte d’Appello comunque ritenuta idonea a generare una sofferenza non contingente. Infine la determinazione, ancorché equitativa del danno non patrimoniale, è stata ampiamente giustificata sulla base dell’incidenza della pregressa esperienza esistenziale dei minori e della sofferenza subita. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con applicazione del principio della soccombenza alle spese processuali del presente giudizio. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali da liquidarsi in Euro 5000 per compensi Euro 200 per esborsi oltre accessori di legge. Sussistono i requisiti processuali per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. In caso di diffusione omettere le generalità.