Mantenimento corposo per i figli maggiorenni: il genitore ricco non può chiedere la riduzione per dar loro una lezione

Respinta la richiesta avanzata dall’uomo dovrà continuare a versare 3mila e 500 euro per il mantenimento dei figli, entrambi maggiorenni ma non autosufficienti economicamente. Illogico, secondo i giudici, sostenere che la cifra sia diseducativa per i due ragazzi.

Il papà ricco – e divorziato – non può pretendere di ridurre il mantenimento destinato dai giudici ai figli, maggiorenni ma non ancora autosufficienti economicamente, per dare loro una lezione morale e prepararli ad affrontare il mondo del lavoro e la vita Cassazione, ordinanza numero 2020, sez. I Civile, depositata il 28 gennaio . A portare la vicenda in Cassazione è l’uomo – Michele, nome di fantasia –, pretendendo di vedere ridotto l’ assegno divorzile riconosciuto all’ex moglie – Nadia, nome di fantasia – e il mantenimento che deve versare ai loro due figli, già maggiorenni. Su questi due fronti, difatti, i giudici di merito hanno concordemente caricato l’uomo di un cospicuo esborso di denaro. In dettaglio, una volta ufficializzata la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario contratto dagli ex coniugi , è stato stabilito l’obbligo dell’uomo di versare ogni mese un assegno di mantenimento di 1.000 euro all’ex moglie e un contributo per il mantenimento dei figli maggiorenni pari 3.500 euro, di cui 2.000 euro da versare alla ex moglie e 750 euro, per ciascuno, direttamente ai figli, oltre alle spese straordinarie . Col ricorso in Cassazione l’uomo prova a mettere in discussione gli oneri economici a suo carico, ma ottiene una vittoria solo parziale. Per i magistrati, difatti, va rivisto in un nuovo processo d’Appello l’assegno divorzile in favore della donna. A meritare particolare attenzione, però, è il capitolo riguardante il mantenimento dei due figli, entrambi maggiorenni ma non autosufficienti dal punto di vista economico. Per Michele la misura del contributo, cioè 1.750 euro per ciascuno, è contraria alle previsioni di legge, esorbitante e dannosa per i figli, resi, in tal modo, incapaci di adeguarsi ad un diverso ed inferiore tenore di vita quando troveranno un lavoro, non avendo mai a disposizione 750 euro mensili, una volta pagate tutte le altre spese . A queste osservazioni i Giudici del ‘Palazzaccio’ ribattono che non si può far rientrare tra i diretti parametri di determinazione del quantum dell’assegno di contributo, alla cui corresponsione i genitori sono tenuti per il mantenimento della prole, l’interesse morale del figlio . In questo caso, il padre denuncia che l’ammontare dell’assegno — pari a 3.500 euro per entrambi i figli, di cui 2.000 euro da versarsi alla madre e i restanti 1.500 euro direttamente, nella misura di 750 euro per ciascuno, ai figli – è sovrastimato rispetto alle reali esigenze dei due ragazzi e finisce per danneggiarli . Chiara la lettura proposta dal genitore, una lettura prospettica, che guarda al futuro, educativa, chiamata a farsi carico del mal adattamento procurato in persone giovani che, godendo, grazie al mantenimento da parte dei genitori, di somme che si assumono eccedenti rispetto ai loro reali bisogni . Secondo questa visione, quando i due ragazzi si accosteranno al mondo del lavoro, non si adegueranno al nuovo e peggiorativo tenore di vita che ne verrà . Ma l’ interesse morale è canone che nella sua immediata portata resta estraneo alla previsione normativa dettata, sottolineano i giudici, per la quantificazione dell’assegno in favore del figlio, nella premessa esigenza che la sua fissazione intervenga in misura proporzionale al reddito di ciascun genitore . Invece la normativa fa riferimento non solo alle attuali esigenze del figlio ma anche al tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori ai tempi di permanenza presso ciascuno di loro alle risorse economiche di entrambi i genitori . Sul fronte dell’assegno di mantenimento e della sua misura, però, il discorso cambia, perché, osservano i giudici, l’interesse morale del figlio riveste una funzione strumentale, dovendo consentire con la cura, l’educazione e l’istruzione, anche le frequentazioni e le opportunità di crescita sociale e professionale, e non l’ingiustificata retrocessione delle condizioni di vita materiale quasi che le difficoltà educative siano ascrivibili all’ammontare dell’assegno . Di conseguenza, viene ritenuto privo di fondamento il riferimento a un presunto parametro dell’interesse morale del figlio declinato quale ragione per consentire al genitore di ottenere la riduzione dell’ammontare dell’assegno di contributo al mantenimento . Illogico anche ipotizzare che il quantum della cifra destinata mensilmente al figlio possa condurre a sicuri fatti diseducativi , anche perché, viene aggiunto, il genitore non ha neanche fornito prove sull’utilizzo dell’assegno per interessi fatui e poco commendevoli e non per la migliore educazione e cura dei figli .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 2 dicembre 2020 – 28 gennaio 2021, n. 2020 Presidente Genovese – Relatore Scalia Fatti di causa 1. P.L. ricorre con tre motivi per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata con cui la Corte di appello di Roma, nel rigettare l’impugnazione proposta in via principale dal primo e in via incidentale dalla ex moglie S.I. , confermava la sentenza del locale tribunale che, pronunciando nel giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario contratto dagli ex coniugi, per quanto ancora rileva, poneva a carico del ricorrente un assegno di mantenimento dell’ex coniuge di Euro 1.000,00 mensili ed un contributo per il mantenimento dei figli maggiorenni di Euro 3.500,000, di cui Euro 2.000,00 da versarsi alla ex moglie ed Euro 750,000, per ciascuno, direttamente ai figli, oltre a spese straordinarie. La Corte di merito apprezzava la convivenza con un terzo dedotta dal P. a sostegno della domanda di revoca dell’assegno divorzile non provata nei caratteri della stabilità e continuità così da sostenere un modello di vita analogo a quello che, di regola, caratterizza la famiglia fondata sul matrimonio. Nel resto i giudici di appello si determinavano alla conferma degli assegni indicati, muovendo a quanto a quello divorzile, dalla necessità della richiedente di conservare il tenore di vita, elevatissimo, goduto in costanza di matrimonio nel notevole divario esistente tra i redditi degli ex coniugi, valutata, altresì, la non verosimiglianza del decremento dedotto dal P. b quanto a quello di contributo al mantenimento dei figli, dalla congruità dello stesso in ragione delle accresciute necessità dei figli, ponendo a carico di P. , per intero, le spese straordinarie nella notevole sproporzione dei redditi tra gli ex coniugi. Resiste con controricorso S.I. deducendo infondatezza ed inammissibilità del contrario mezzo. Entrambe le parti hanno depositato memorie. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente fa valere la violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6 e delle n. 74 del 1987, art. 10, per avere la Corte di appello motivato sull’attribuzione dell’assegno divorzile in favore della signora S. senza tenere conto dei documenti prodotti con l’istanza ex art. 345 c.p.c., ed ammessi con decreto del 10 gennaio 2017 e senza dichiarare l’assoluta e totale indipendenza economica della stessa. La Corte romana aveva confermato il diritto dell’ex moglie a percepire un assegno di mantenimento nella misura di Euro 1.000,00 mensili sull’errato presupposto del divario dei redditi e dell’impossibilità per la prima di mantenere il medesimo tenore di vita goduto durante il matrimonio e non invece, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, in ragione della mancanza di autosufficienza economica. Dal 2014 la signora S. percepiva una retribuzione mensile di Euro 3.000,00, a fronte di quella in precedenza dichiarata di Euro 1.200,00 mensili ella godeva inoltre del 50% della ex casa coniugale - il cui mutuo provvedeva a pagare il ricorrente di contro a quanto erroneamente ritenuto dalla Corte territoriale - e, nella medesima misura percentuale, di altro immobile, sito in OMISSIS , il cui corrispettivo di vendita era stato suddiviso per metà tra le parti e, ancora, di una liquidità in banca. La convivenza instaurata dall’ex coniuge con il signor D.M. , di contro a quanto ritenuto nella sentenza di appello, che in modo apodittico affermava che non era stata raggiunta la prova di una stabile convivenza, aveva rivestito le caratteristiche di una famiglia di fatto, con il conseguente venir meno di ogni presupposto per il riconoscimento dell’assegno divorzile. 2. Con il secondo motivo il ricorrente fa valere la violazione degli artt. 3 e 24 Cost. e l’errata e contraddittoria motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come inteso dalle Sezioni Unite n. 98053 del 2014, in punto di falsa rappresentazione dei redditi delle parti. La Corte di appello nel determinare l’ammontare dell’assegno di divorzio aveva preso in considerazione i redditi netti della signora S. e quelli lordi del signor P. che erano stati riferiti sempre e soltanto ai due anni in cui il reddito, maggiormente elevato, era stato pari ad Euro 719.000,00 per ciascun anno. Le contrazioni subite successivamente avevano invece determinato un ammontare del reddito nel 2015, al netto delle imposte dovute, pari ad Euro 139.209,00 all’anno, come da documentazione prodotta in appello. 3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 147 e 315-bis c.p.c La misura del contributo per il mantenimento dei figli, entrambi maggiorenni, di Euro 1.750,00 per ciascuno - oltre alla previsione che anche a madre avrebbe dovuto contribuire al loro mantenimento e, ancora, che il padre avrebbe provveduto al pagamento delle spese straordinarie -, sarebbe contraria alle previsioni di legge, esorbitante e dannosa per i figli resi, in tal modo, incapaci di adeguarsi ad un diverso ed inferiore tenore di vita quando avrebbero trovato un lavoro, non avendo mai a disposizione Euro 750.000 mensili, una volta pagate tutte le altre spese . 4. Il primo motivo di ricorso è fondato e nei suoi contenuti capace di assorbire la portata del secondo per i profili relativi alle condizioni economico-patrimoniali delle parti che dell’assegno divorzile costituiscono il presupposto. Come saldamente affermato da questa Corte di cassazione nelle più recenti pronunzie, ormai integrative di diritto vivente, se all’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, siffatta posta deve riconoscersi nella finalità di fornire un contributo volto a consentire al coniuge richiedente, economicamente più debole, il raggiungimento, in concreto, di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare. Nell’indicata finalità deve, in particolare, tenersi conto delle aspettative professionali sacrificate per una funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi non guidata, però, dalla necessità di dare ricomposizione ai tenore di vita endoconiugale, ma dal riconoscimento del ruolo e dei contributo fornito dall’ex coniuge, economicamente più debole, alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi Cass. SU n. 18287 del 11/07/2018 Cass. n. 21234 del 09/08/2019 n. 1882 del 23/01/2019 Cass. n. 5603 del 28/02/2020 . Sugli indicati principi, di cui i giudici di merito non hanno fatto applicazione, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione. 5. È autonomamente valutabile, invece, il terzo motivo di ricorso relativo all’assegno di contributo per il mantenimento dei figli maggiorenni e non autosufficienti, che, nei suoi contenuti, presenta profili che sono, nei contempo, di infondatezza e di inammissibilità. 5.1. La critica proposta è innanzitutto infondata là dove vuole far rientrare tra i diretti parametri di determinazione del quantum dell’assegno di contributo alla cui corresponsione i genitori sono tenuti per il mantenimento dei figlio, l’interesse morale di quest’ultimo. In ricorso sostanzialmente si denuncia che l’ammontare dell’assegno - pari a tremilacinquecento Euro per entrambi i figli, di cui duemila Euro da versarsi dal genitore onerato all’altro ed i restanti millecinquecento Euro direttamente, nella misura di settecentocinquanta per ciascuno, ai primi - è sovrastimato rispetto alle reali esigenze dei figli e finisce per danneggiarli. La lettura dichiarata è prospettica, guarda al futuro ed è quella educativa, chiamata a farsi carico del mal adattamento procurato in persone giovani che, godendo per il mantenimento da parte dei genitori di somme che si assumono eccedenti rispetto ai loro reali bisogni, quando si accosteranno al mondo del lavoro, secondo tale prospettazione, non si adegueranno al nuovo e peggiorativo tenore di vita che ne verrà. L’interesse morale è canone che nella sua immediata portata resta estraneo alla previsione di cui all’art. 337 ter c.c., comma 4, norma che - espressamente dettata per la quantificazione dell’assegno in favore del figlio, nella premessa esigenza che la sua fissazione intervenga in misura proporzionale al reddito di ciascun genitore - saldai presupposti applicativi della posta, insieme alle attuali esigenze dei figlio, anche, al tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori, ai tempi di permanenza presso ciascuno di loro, alle risorse economiche di entrambi i genitori, secondo contenuti che, per scansione e finalità, restano condivisi quanto alle posizioni dei figli minorenni e di quelli maggiorenni non autosufficienti per l’applicabilità della previsione di cui all’art. 337-ter c.c., comma 4, ai figli maggiorenni non autosufficienti, si veda da ultimo Cass. 16/09/2020 n. 19299 . 5.2. L’interesse morale del figlio, minorenne o maggiorenne non autosufficiente, torna a valere per una lettura di sistema in cui, specularmente fissati il dovere dei genitori ed il diritto del figlio, rispettivamente, di educare e di essere educato, di assistere moralmente e di essere assistito moralmente, nel rispetto di capacità, inclinazioni naturali ed aspirazioni del figlio stesso art. 147 c.c., art. 315-bis c.c., commi 1 e 2, art. 337-ter c.c., commi 1 e 2 , l’interesse diviene, nella sua centralità, il fine destinato ad ispirare l’esercizio della responsabilità genitoriale e, comunque, ogni provvedimento giudiziale tanto in ipotesi di permanenza dei vincolo coniugale che di suo allentamento, scioglimento o caducazione o, ancora, anche rispetto a figli di genitori non coniugati, per contenuti patrimoniali, o meno sull’interesse morale dei figli minorenni Cass. 23/10/2017 n. 25055 Cass. n. 11412 del 2014 Cass. n. 10174 del 2012 Cass. n. 6606 del 2010 . In materia di assegno di mantenimento e della sua misura, l’interesse morale del figlio riveste una funzione strumentale dovendo consentire con la cura, l’educazione e l’istruzione, anche le frequentazioni e le opportunità di crescita sociale e professionale del primo e non l’ingiustificata retrocessione delle condizioni di vita materiale quasi che le difficoltà educative siano ascrivibili all’ammontare dell’assegno. 5.3. È infondato quindi il parametro dell’interesse morale del figlio declinato in ricorso quale ragione per ottenere dal genitore onerato la riduzione dell’ammontare dell’assegno di contributo al mantenimento e diviene inammissibile perché non conducente nè alimentato di evidenze decisive prospettate, ma omesse dal giudice, nella parte in cui quel quantum possa condurre a sicuri fatti diseducativi. Il ricorso infatti nulla allega in ordine ai profili morali che vedrebbero l’assegno corrisposto per interessi fatui e poco commendevoli e non per la migliore educazione e cura di essi e, in modo surrettizio, richiama il principio generale dell’interesse morale in viste di una riduzione sull’ammontare del quantum, senza proporre, fin dalla fase di merito, una qualunque alternativa sul suo differente utilizzo, indicando come quell’importo, ritenuto nel suo ammontare giustificato al giudice, potrebbe essere diversamente utilizzato, anziché eliminato tout court. 6. La Corte, pertanto, accolto il primo motivo, assorbito il secondo e dichiarato infondato il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alle Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese dei presente giudizio. Si dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento. P.Q.M. Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo ed infondato il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio. Si dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.