Stop al riconoscimento di nullità artefatte per matrimoni già vissuti

Assume rilievo ostativo di ordine pubblico alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità del matrimonio pronunciata dal Tribunale Ecclesiastico il protrarsi del matrimonio - rapporto ultra triennale dalla data di celebrazione del matrimonio religioso, indipendentemente dal momento della scoperta del vizio invalidante da parte del coniuge che non ha espresso un consenso viziato.

Il marito, dopo aver ottenuto dal Tribunale Ecclesiastico Regionale una pronuncia di nullità del matrimonio concordatario per esclusione dei c.d. bona matrimonii , ovvero per un vizio genetico del matrimonio - atto, conveniva in giudizio la ex consorte avanti la Corte d’Appello per sentir dichiarare l’efficacia nella Repubblica Italiana della sentenza pronunciata dal predetto tribunale ecclesiastico. Tuttavia, sia la Corte d’Appello che la Corte di Cassazione rigettavano la domanda del ricorrente, ritenendo ostativo alla pronuncia di esecutività della sentenza ecclesiastica il protrarsi del matrimonio - rapporto per oltre un triennio dal dies a quo , ovvero per oltre un triennio dalla data di celebrazione del matrimonio religioso. Il principio di diritto fissato dalle Sezioni Unite a cui si riferisce la sentenza del caso fa inequivocabilmente riferimento al dies a quo del triennio dalla data di celebrazione del matrimonio religioso e non attribuisce rilievo alla scoperta del vizio invalidante da parte del coniuge che non ha espresso un consenso viziato. Assume rilievo ostativo al riconoscimento ed efficacia della sentenza di nullità del matrimonio del Tribunale ecclesiastico, quindi, il protrarsi del matrimonio - rapporto inteso come l’instaurazione oggettiva della convivenza prolungata per un determinato periodo di tempo, non come mera coabitazione, ma come comunione di vita. Il matrimonio - rapporto costituisce infatti un’espressione sintetica comprensiva di molteplici aspetti e dimensioni dello svolgimento della vita matrimoniale e familiare che si traducono, sul piano rilevante per il diritto, in diritti, doveri, responsabilità, caratterizzandosi così, secondo il paradigma dell’art. 2 Cost., come il contenitore, di una pluralità di diritti inviolabili, di doveri inderogabili, di responsabilità, di aspettative legittime e di legittimi affidamenti dei componenti della famiglia, sia come individui sia nelle relazioni reciproci. La tutela di detti affidamenti fa sì che il matrimonio - rapporto diviene pertanto una situazione giuridica di ordine pubblico italiano ostativa alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità pronunciata dal tribunale ecclesiastico per qualsiasi vizio genetico del matrimonio - atto . Nel caso di specie, infatti, il matrimonio – rapporto, nonostante la tendenza sessuale del marito, latente al momento della celebrazione e divenuta evidente soltanto negli anni successivi, si era protratto serenamente per un periodo di quasi 10 anni e dalla relazione dei coniugi era nata anche una figlia. Pertanto, alla luce di detti accadimenti, fatti e affidamenti, la Corte d’Appello ed anche quella di Cassazione hanno dato maggiore rilievo al protrarsi della vita familiare , avvenuta appunto come comunione di vita , serenamente per otto anni dalla celebrazione, ed hanno ritenuto assolutamente irrilevante il momento in cui la moglie abbia preso coscienza dell’omosessualità del marito considerando peraltro che la moglie, unica vera legittimata a far eventualmente valere il vizio del consenso, non aveva proposto né l’azione di nullità del matrimonio, ma, al contrario, sottolineava in eccezione il protrarsi della convivenza matrimoniale ultra triennale.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 16 luglio – 17 settembre 2020, n. 19329 Presidente Giancola – Relatore Scotti Fatti di causa 1. T.E. con atto di citazione del dicembre 2014 ha convenuto in giudizio M.S. dinanzi alla Corte di appello di Roma per far dichiarare efficace nella Repubblica italiana la sentenza del 18/2/2011 del Tribunale Ecclesiastico Regionale del Lazio con cui era stata accertata la nullità del matrimonio concordatario da lui contratto con la convenuta. Si è costituita in giudizio la sig.ra M. , chiedendo il rigetto della domanda in conseguenza della convivenza matrimoniale ultra-triennale. La Corte di appello di Roma ha acquisito la sentenza del Tribunale Ecclesiastico Regionale, il decreto di ratifica da parte del Tribunale Ecclesiastico di Appello e il decreto di esecutività del 4/11/2014 del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, e, disatteso il parere favorevole all’accoglimento espresso dal Procuratore generale, con sentenza del 28/10/2015 ha respinto la domanda del T. con condanna alle spese di lite. 3. Avverso la predetta sentenza, non notificata, con atto notificato il 28/4/2016 ha proposto ricorso per cassazione T.E. , svolgendo tre motivi. L’intimata M.S. non si è costituita. Ragioni della decisione 1. I primi due motivi sono strettamente connessi e possono essere esaminati congiuntamente. 1.1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione dell’Accordo di revisione del Concordato lateranense, art. 8, comma 2, e del Protocollo addizionale, art. 4, lett. b , n. 3. Il ricorrente sostiene che la Corte di appello, richiamando integralmente il discutibile precedente di cui alla sentenza delle Sezioni Unite n. 16379 del 2014, non ha effettuato alcun controllo del rispetto o meno dell’ordine pubblico interno, in spregio anche della sentenza della Corte Costituzionale n. 18 del 1982. Secondo la sentenza impugnata la convivenza coniugale triennale sanerebbe qualsiasi vizio genetico del matrimonio-atto invece in caso di errore, timore, violenza, incapacità naturale è errato escludere la possibilità di delibare la sentenza di nullità in ragione di una convivenza triennale senza che la causa di invalidità sia stata scoperta o sia cessata, perché in quei casi la convivenza è priva di qualsivoglia valore. Attribuire rilievo sanante alla convivenza triennale in quel caso significherebbe obbligare alla conservazione di un vincolo non voluto liberamente e coscientemente, nè in origine, nè a posteriori. 1.2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge quanto all’art. 122 c.c. e all’art. 3 Cost Secondo il ricorrente, dalla sentenza del Tribunale Ecclesiastico e dalle dichiarazioni delle parti era evidente che l’inclinazione sessuale del ricorrente era già manifesta all’epoca del matrimonio, sia pure allo stato latente, che entrambi i coniugi ignoravano la qualità personale dell’attore e che tale mancata conoscenza ha esercitato una influenza determinante del consenso, perché la convenuta, se fosse stata edotta circa l’inclinazione sessuale del marito, non avrebbe dato il consenso al matrimonio. Il richiamo alla durata del vincolo coniugale non accompagnato dall’accertamento se la causa del vizio fosse venuta meno e se il vizio fosse stato scoperto dai coniugi, con protrazione consapevole della convivenza, comportava violazione del principio di cui all’art. 122 c.c. e conseguentemente una errata interpretazione del limite di ordine pubblico opposto alla delibazione della sentenza ecclesiastica. La convenuta aveva dichiarato di aver acquisito consapevolezza dell’omosessualità del marito nei tre anni successivi al 1997, dunque intorno al 2000, e che tale fatto da quel momento aveva prodotto ripercussioni nel loro rapporto, determinando litigi. Non vi era quindi una convivenza produttiva di conseguenze dopo la scoperta dell’errore. 1.3. L’art. 8, comma 2, dell’Accordo, con Protocollo addizionale, firmato a Roma il 18/2/1984, apportante modificazioni al Concordato lateranense dell’11/2/1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, ratificato con L. 25 marzo 1985, n. 121, prevede la dichiarazione di efficacia nella Repubblica italiana delle sentenze di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, munite del decreto di esecutività del superiore organo ecclesiastico di controllo, su domanda delle parti o di una di esse, ove la Corte d’appello competente accerti con sentenza a che il giudice ecclesiastico era il giudice competente a conoscere della causa in quanto matrimonio celebrato in conformità del presente articolo b che nel procedimento davanti ai tribunali ecclesiastici è stato assicurato alle parti il diritto di agire e di resistere in giudizio in modo non difforme dai principi fondamentali dell’ordinamento italiano c che ricorrono le altre condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere. L’art. 4 del Protocollo addizionale, lettera b , n. 3, aggiunge che ai fini dell’applicazione degli artt. 796 e 797 c.p.c. ora L. 31 maggio 1995, n. 218, artt. 64 e ss. , si dovrà tener conto della specificità dell’ordinamento canonico dal quale è regolato il vincolo matrimoniale, che in esso ha avuto origine, e in particolare che in ogni caso non si procederà al riesame del merito. L’art. 64, comma 1, lett. g , come già l’art. 797 c.p.c., per l’appunto condiziona il riconoscimento al fatto che la sentenza straniera non produca effetti contrari all’ordine pubblico ex art. 16 della stessa legge. 1.4. La sentenza impugnata si è richiamata a un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato di questa Corte, secondo il quale la convivenza triennale come coniugi , quale elemento essenziale del matrimonio-rapporto , se protrattasi per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario, integra una situazione giuridica di ordine pubblico italiano , caratterizzata da una complessità fattuale strettamente connessa all’esercizio di diritti, adempimento di doveri e assunzione di responsabilità di natura personalissima sussiste al proposito una inderogabile esigenza di tutela che trova fondamento nei principi supremi di sovranità e di laicità dello Stato, come affermato dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 18 del 1982 e n. 203 del 1989, ostativa alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità pronunciata dal tribunale ecclesiastico per qualsiasi vizio genetico del matrimonio-atto . Siffatta situazione giuridica di ordine pubblico ostativa alla delibazione della sentenza canonica di nullità del matrimonio forma oggetto di un’eccezione in senso stretto, non rilevabile d’ufficio, nè opponibile dal coniuge, per la prima volta, nel giudizio di legittimità Sez. U, n. 16379 del 17/07/2014 successivamente Sez. 1, n. 1494 del 27/01/2015, Rv. 633982 - 01 Sez. 1, n. 26188 del 19/12/2016, Rv. 642758 - 01 Sez. 1, n. 7923 del 20/04/2020, Rv. 657562 - 01 . 1.5. Con due sentenze gemelle la n. 16379 e la n. 16380 del 2014, le Sezioni Unite sono intervenute a comporre un contrasto di giurisprudenza l’orientamento tradizionale sostenuto, ex multis, da Sez. 1, 4/6/2012, n. 89261 negava che la convivenza tra i coniugi potesse incidere, in senso ostativo, sulla delibazione della sentenza di nullità del matrimonio pronunciata dal Tribunale ecclesiastico. L’opposta ricostruzione, prevalente negli anni 2008-2012, riteneva invece che, una volta annullato il matrimonio canonico per vizi propri dell’atto, tale situazione non potesse essere tradotta nell’ordinamento civile in presenza di una convivenza prolungata tra i coniugi, emblematica di un’intervenuta sanatoria del vizio originario. Nel 2014 le Sezioni Unite hanno condiviso il secondo orientamento, sulla base di varie argomentazioni. In primo luogo è stata posta in luce la differenza non intesa in termini di preminenza tra il matrimonio-rapporto e il matrimonio-atto , richiamando la sentenza della Corte Cost. n. 310 del 1989, in cui si afferma che il legislatore italiano, al pari di numerosi legislatori Europei, intende il matrimonio non solo come atto costitutivo, ma anche come rapporto giuridico, vale a dire come vincolo rafforzato da un periodo di esperienza matrimoniale, in cui sia perdurante la volontà di vivere insieme in un nucleo caratterizzato da diritti e doveri . In secondo luogo è stato affermato che l’instaurazione della convivenza prolungata per un determinato periodo di tempo - intesa non come mera coabitazione ma come comunione di vita, affectio familiae - implica un’accettazione consapevole e volontaria di qualsiasi vizio genetico afferente il matrimonio, che perciò osta alla delibazione delle sentenze ecclesiastiche che sanciscono la nullità del vincolo canonico. La pronuncia si colloca nel solco della giurisprudenza impegnata a delineare i confini tra l’ordinamento civile e quello canonico e a tener distinte le peculiarità proprie di ciascuno di essi. In quest’ambito si inseriscono le pronunce che accordano la delibazione della sentenza di nullità in presenza dell’esclusione dei c.d. bona matrimonii solo a condizione che siffatta esclusione non sia rimasta a livello di riserva mentale, ma sia stata manifestata all’altro coniuge tanto se questi si sia limitato a prenderne atto, quanto se abbia positivamente consentito alla difformità fra volontà e dichiarazione . La contrarietà all’ordine pubblico ostativa alla delibazione viene quindi negata quando l’esclusione di un bonum matrimonii, sia pure unilaterale, sia stata portata a conoscenza dell’altro coniuge prima della celebrazione del matrimonio, o se questo coniuge ne abbia comunque preso atto, ovvero quando vi siano stati elementi rivelatori di quell’atteggiamento psichico non percepiti dall’altro coniuge solo per sua colpa grave, da valutarsi in concreto Sez. 1, n. 11226 del 21/05/2014, Rv. 631433 - 01 Sez. 1, n. 4517 del 14/02/2019, Rv. 652654 - 01 Il fondamento di questa ratio decidendi risiede nell’esigenza di tutelare la buona fede e l’affidamento incolpevole dell’altro coniuge, violati qualora dell’intentio contraria ad uno dei bona matrimonii, riferibile ad uno solo degli sposi, non sia reso partecipe l’altro coniuge, anche prima del patrimonio, ovvero allorquando vi siano stati concreti elementi rivelatori di tale atteggiamento psichico non percepiti dall’altro coniuge solo per sua colpa grave cfr. Sez.1 n. 32027 del 09/12/2019 Sez. 1, n. 4517 del 14/02/2019 . 1.6. Il ricorrente sostiene che la convivenza coniugale triennale capace di esercitare un effetto sanante dei vizi genetici del matrimonio-atto presuppone la precedente scoperta o la cessazione della causa di invalidità. Secondo il ricorrente in caso di errore, timore, violenza, incapacità naturale non si potrebbe escludere la possibilità di delibare la sentenza di nullità in ragione di una convivenza triennale senza che la causa di invalidità sia stata scoperta o sia cessata, perché in quei casi la convivenza sarebbe priva di valore e non sarebbe dato ravvisare un’implicita volontà di conservazione di un vincolo non voluto liberamente e coscientemente in origine e non accettato consapevolmente neppure a posteriori. 1.7. La proposta opzione interpretativa contrasta con l’orientamento del massimo consesso nomofilattico sulla questione di diritto al cui proposito la decisione impugnata si è espressa in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità, senza offrire convincenti elementi per indurre a un ripensamento ermeneutico. Il principio di diritto fissato dalle Sezioni Unite individua, inequivocabilmente, il dies a quo del triennio dalla data di celebrazione del matrimonio religioso e non attribuisce rilievo alla scoperta del vizio invalidante da parte del coniuge che non ha espresso un consenso viziato. Assume infatti rilievo ostativo il protrarsi del matrimonio-rapporto come una situazione giuridica di ordine pubblico italiano, ostativa alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità pronunciata dal tribunale ecclesiastico per qualsiasi vizio genetico del matrimonio-atto e cioè l’instaurazione oggettiva della convivenza prolungata per un determinato periodo di tempo - intesa non come mera coabitazione, ma come comunione di vita. È in tale prospettiva che viene colta l’esigenza di tutela del matrimonio - rapporto, che ha certamente origine nel matrimonio atto, e costituisce un’espressione sintetica comprensiva di molteplici aspetti e dimensioni dello svolgimento della vita matrimoniale e familiare - che si traducono, sul piano rilevante per il diritto, in diritti, doveri, responsabilità, caratterizzandosi così, secondo il paradigma dell’art. 2 Cost., come il contenitore, di una pluralità di diritti inviolabili, di doveri inderogabili, di responsabilità, di aspettative legittime e di legittimi affidamenti dei componenti della famiglia, sia come individui sia nelle relazioni reciproci. 1.8. Le argomentazioni sviluppate dal ricorrente non appaiono comunque pertinenti anche nella prospettiva dell’esigenza di tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole. 1.9. Nel caso di specie, anche in difetto di specifiche indicazioni nel ricorso circa l’esatta qualificazione giuridica del vizio invalidante posto a base della sentenza canonica, dalla sentenza impugnata pare di poter ragionevolmente desumere che il matrimonio in questione era stato dichiarato nullo dal Tribunale Ecclesiastico per errore circa una qualità personale essenziale del sig. T. , e cioè per la sua omosessualità. Secondo il ricorrente sarebbe quindi necessario verificare se e per quanto tempo la convivenza coniugale delle parti si fosse protratta dopo la scoperta da parte della signora M. delle inclinazioni sessuali del marito, perché solo tale periodo di tempo avrebbe avuto, se ultratriennale, la capacità di integrare la ragione di ordine pubblico protettiva del matrimonio rapporto, tale da giustificare l’accoglimento della proposta eccezione. 1.10. Il matrimonio de quo è stato celebrato il 1/10/1989. Secondo la Corte capitolina, che richiama al proposito la sentenza oggetto di delibazione, la vita coniugale è trascorsa serenamente per otto anni , e quindi sino, all’incirca, al 1/10/1997, con la nascita di una bimba nel 1991. Sempre secondo la sentenza impugnata, solo a partire dal 1997 l’inclinazione omosessuale, pur preesistente e latente, ha progressivamente caratterizzato e marcato la fisionomia psichica del sig.T. . La Corte di appello si è astenuta dal determinare il momento in cui la sig.ra M. si è resa conto dell’omosessualità del marito, ritenendo tale accertamento implicitamente irrilevante, e ha ascritto invece rilievo agli otto anni decorsi serenamente sino al 1997, senza verificare se vi fosse questa conoscenza da parte della sig.ra M. anzi, al contrario, parrebbe che l’inclinazione fosse ignorata, in difetto di emersione di fattori perturbanti e vista la serenità del rapporto in atto. Dopo l’inizio della perturbazione della vita coniugale parrebbe a ottobre del 1997 il ricorso per separazione personale è stato presentato da parte della signora M. nel 2000. 1.11. L’intera argomentazione del ricorrente, oltre a collidere ineluttabilmente con il principio di diritto scandito dalle Sezioni Unite, non tiene conto neppure del fatto che a proporre l’eccezione tesa a valorizzare la durata del matrimonio-rapporto è stata proprio la moglie, ossia il coniuge inconsapevole della mancanza della qualità essenziale in capo al marito, ossia il soggetto il cui affidamento incolpevole sull’esistenza del rapporto coniugale appare protetto dal principio di ordine pubblico applicato. 1.12. Il richiamo all’art. 122 c.c. effettuato dal ricorrente appare fuor d’opera. Anche volendo prendere in considerazione la disciplina italiana dell’errore, per verificare il rispetto dei principi di ordine pubblico, la norma citata art. 122 c.c. nel suo comma 2 consente l’impugnazione del matrimonio da quello dei coniugi il cui consenso è stato dato per effetto di errore sull’identità della persona o di errore essenziale su qualità personali dell’altro coniuge che include ex comma 3, n. 1, l’esistenza di una malattia fisica o psichica o di una anomalia o deviazione sessuale, tali da impedire lo svolgimento della vita coniugale qualora, tenute presenti le condizioni dell’altro coniuge, si accerti che lo stesso non avrebbe prestato il suo consenso se le avesse esattamente conosciute. Nella fattispecie ad ottenere l’annullamento del matrimonio dalla giurisdizione ecclesiastica è stato invece proprio il coniuge affetto dall’anomalia impeditiva della vita coniugale. È pur vero che l’art. 122 c.c., u.c. non consente l’esperimento dell’azione di annullamento da parte del coniuge caduto in errore se vi è stata coabitazione per un anno dopo la scoperta dell’errore ma la disciplina codicistica riguarda un’azione non esperita dalla signora M. e che il sig.T. non avrebbe potuto esperire, esprimendo comunque con la prefissione di un termine di proponibilità l’intento del legislatore di tutelare lo svolgimento de facto del rapporto matrimoniale. 2. Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia era stato omesso il controllo circa la rispondenza della sentenza ecclesiastica all’ordine pubblico interno con il semplice rinvio al principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite, che necessitava invece di essere interpretato. La censura è palesemente inammissibile, sia perché non formulata debitamente con riferimento all’attuale configurazione del mezzo di ricorso di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che ha circoscritto la possibilità di denuncia in sede di legittimità dei vizi motivazionali al c.d. minimo costituzionale in termini di omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti. Il ricorrente neppure identifica un fatto storico decisivo non considerato dalla Corte capitolina e si limita a censurare del tutto genericamente una pretesa aporia motivazionale, peraltro insussistente visto che la Corte di appello ha attribuito rilievo al fatto, obiettivo e non contestato, dello sviluppo ben più che ultra-triennale del matrimonio rapporto fra le parti. 3. Il ricorso deve quindi essere rigettato. Nulla sulle spese in difetto di costituzione dell’intimata. 4. Occorre inoltre disporre che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto. Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.