L’assegno divorzile ha carattere assistenziale ma anche perequativo compensativo di quanto accaduto durante il matrimonio

L’assegno divorzile, in linea con la sentenza a Sezioni Unite della Cassazione, n. 18287/2018, ha natura assistenziale ma anche perequativa compensativa delle scelte e delle attività svolte dai coniugi in costanza di matrimonio.

Questo è il principio ribadito, ancora una volta, dalla Corte di Cassazione, in un ricorso del 2018, con l’ordinanza n. 765/2020, emessa il 14 novembre 2019 e depositata il successivo 16 giugno 2020, in particolare dal Collegio della Sesta Sezione civile. Si trattava di un ricorso giudiziale per la cessazione degli effetti civili di un matrimonio concordatario, in cui il problema più importante è risultato essere quello relativo alla domanda di concessione di assegno divorzile in favore della moglie, pur in presenza anche di un assegno di mantenimento per il figlio minore. Il caso. La questione nasce da ricorso giudiziale per la cessazione degli effetti civili di un matrimonio concordatario da cui non era nato un figlio la moglie era di nazionalità peruviana, ed era pacificamente ammesso dalle parti che la stessa, nel 1999, avesse lasciato il Perù per seguire il marito, e che non avesse svolto attività lavorativa sino al momento della separazione, avvenuta nel 2008. La Corte d’Appello confermava la decisione di primo grado, nel giudizio di scioglimento del matrimonio, relativa alle statuizioni economiche poste a carico del marito, che prevedevano un assegno divorzile nella misura di € 350,00 mensili, nonché un assegno di mantenimento per il figlio minore nella misura di € 850,00 mensili e infine nella partecipazione, da parte del marito, alle spese straordinarie nella misura del 70%. Il marito proponeva ricorso per la cassazione della sentenza con due motivi, a cui ha fatto seguito una memoria la difesa della moglie, a sua volta, replicava con controricorso e successiva memoria. Nel ricorso, venivano denunciati la violazione e la falsa applicazione dell’art. 5, comma 6 della legge 898/70, perché la Corte territoriale avrebbe confermato il diritto all’assegno divorzile, sul presupposto che questo rimanga una forma di protezione del coniuge più debole. Le condizioni economiche e patrimoniali dei coniugi non sono più l’unico punto di riferimento principale per l’eventuale attribuzione dell’assegno di mantenimento, dovendosi tenere conto anche di quanto accaduto durante il matrimonio. La decisione. La Suprema Corte ha esaminato con attenzione la questione riguardante l’attribuzione dell’assegno di mantenimento in favore della moglie, alla quale era stato attribuito un assegno di mantenimento pur in presenza di attività lavorativa. La Cassazione ha ribadito che, anche se la signora si possa considerare economicamente autosufficiente, pur in condizioni inferiori a quelle del marito, alla luce del recente orientamento delle Sezioni Unite sentenza n. 18287/2018 , le condizioni economiche e patrimoniali dei coniugi non costituiscono più il punto di riferimento principale per l’attribuzione di un assegno di mantenimento, rilevando solo quando direttamente connesse al contributo di ciascuno nel corso della vita matrimoniale. In pratica, l’eventuale squilibrio tra le suddette posizioni economiche non solo non è condizione necessaria e sufficiente al riconoscimento dell’assegno, ma deve altresì essere riferibile a scelte fatte in conseguenza del matrimonio o al suo interno, e deve essere valutato attentamente il caso concreto. Secondo la Suprema Corte, ha quindi ben fatto la Corte territoriale a valutare anche quanto accaduto prima e in costanza di matrimonio, ossia che la moglie abbia lasciato il suo Paese natio per seguire il marito, e che poi non abbia svolto attività lavorativa, sino alla separazione, per dedicarsi alla famiglia, subendone quindi un pregiudizio economico. L’ordinanza ha statuito che le corti di merito hanno correttamente valutato il sacrificio che la moglie ha sopportato, valutato come essenziale per la formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge e che le ha impedito, in costanza di matrimonio, di svolgere attività propria. In particolare, la Corte di appello secondo la Cassazione, nel riconoscere il diritto all’assegno divorzile e nel determinarne l’importo, ha correttamente tenuto conto delle risorse economiche e reddituali delle parti, ma non mirando ad una perequazione reddituale, e invece valutando le circostanze del caso concreto al fine di perseguire la finalità assistenziale – perequativa e compensativa attribuita all’assegno, in linea con i principi espressi dalle Sezioni Unite. Di conseguenza, in applicazione di detti principi, il ricorso è stato respinto.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza 14 novembre 2019 – 16 gennaio 2020, n. 765 Presidente Scaldaferri – Relatore Tricomi Ritenuto che La Corte di appello di Venezia, con la sentenza in epigrafe indicata, ha confermato la decisione di primo grado, in giudizio di scioglimento del matrimonio tra I.R. e H.S.I.M. , relativa alle statuizioni economiche poste a carico di I. , consistenti nell’assegno divorzile riconosciuto in favore di H. nella misura di Euro 350,00= mensili, nell’assegno di mantenimento per il figlio minore R. n. nel 2000 di Euro 850,00= mensili e nella partecipazione alle spese straordinarie nella misura del 70%. I. propone ricorso per cassazione con due mezzi, corroborati da memoria H. replica con controricorso e memoria. È stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380 - bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti. Considerato che 1. Con il primo motivo I. denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, per avere confermato la Corte territoriale il diritto all’assegno divorzile sul presupposto che questo rimane una forma di protezione del coniuge economicamente più debole a fronte del deterioramento delle proprie condizioni personali di vita dipendente dallo scioglimento del matrimonio. Il ricorrente, in particolare, sostiene che il giudice del gravame, omettendo ogni verifica circa l’an debeatur, si sarebbe discostato dei principi enunciati in sede di legittimità con la sentenza n. 11504/2017. Il motivo è infondato. Premesso che come questa Corte ha già affermato, All’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. Cass. Sez. U. n. 18287 del 11/07/2018 , così puntualizzando i principi espressi dalla sent. n. 11504/2017, di cui il ricorrente erroneamente invoca l’applicazione al caso concreto, va osservato che la Corte di appello nel riconoscere il diritto all’assegno divorzile e nel determinarne l’importo, ha tenuto conto delle risorse economiche e reddituali di entrambe le parti, non già mirando ad una mera perequazione reddituale, ma valutando le circostanze del caso concreto al fine di perseguire la finalità assistenziale - perequativa/compensativa attribuita a detto assegno, in linea con i principi espressi dalle Sezioni Unite. Segnatamente la Corte territoriale ha riconosciuto il diritto all’assegno divorzile nella misura di Euro 350,00= mensili, non già allo scopo di assicurare il pregresso tenore di vita, ma per mantenere le condizioni di vita adeguate e consone al progetto familiare e sociale che la cessazione del matrimonio aveva interrotto fol. 11 della sent. imp. e ciò ha fatto dando conto dell’attività lavorativa svolta dalla H. reddito lordo annuo di Euro 20.893,81 e dallo I. reddito lordo annuo d Euro 61.586,00 , del fatto che la stessa aveva lasciato la sua patria il Perù nel 1999 per trasferirsi in Italia con il marito, che si era dedicata alla famiglia nei primi anni di matrimonio in ragione della nascita del figlio e fino al 2008, quando in occasione della separazione aveva intrapreso un’attività lavorativa ed aveva reperito un alloggio ove vivere con il figlio minore, non potendo più fruire dell’alloggio di servizio assegnato al coniuge militare dell’Arma dei carabinieri , provvedendo a versare prima un canone locatizio di Euro 630,00 mensili e poi, avendo acquistato l’abitazione, una rata di mutuo del medesimo importo, che provvedeva anche al mantenimento del figlio non economicamente autosufficiente, di guisa che la decisione risulta immune dal vizio di violazione di legge denunciato. 2. Con il secondo motivo I. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 337 ter c.c., comma 4, e dell’art. 116 c.p.c., per avere la Corte di appello confermato la ripartizione delle spese straordinarie per il figlio in relazione alle diverse capacità reddituali senza averle raffrontate. Il motivo è infondato perché la Corte territoriale contrariamente a quanto assume il ricorrente - ha operato il raffronto tra i redditi delle parti fol. 4 della sent. imp , oltre che inammissibile, laddove sollecita un riesame del merito in maniera generica facendo riferimento a documenti prodotti, di cui non illustra nemmeno per sommi capi la diretta rilevanza e decisività e chiede di considerare le dazioni economiche nemmeno quantificate direttamente elargite al figlio, frutto di evidenti ed apprezzabili liberalità spontanee, che tuttavia non rientrano nel novero della partecipazione alle spese. 3. In conclusione il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo, atteso che la recente sentenza Cass. Sez. U. n. 18287/2018 ha puntualizzando i principi espressi dalla sentenza Cass. Sez. U. n. 11504/2017, senza mutare radicalmente il precedente indirizzo giurisprudenziale, contrariamente a quanto assume il ricorrente memoria fol. 6 , ma precisandone i termini di applicazione, in considerazione della indiscussa natura assistenziale, oltre che perequativo/compensativa, dell’assegno divorzile. Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019 . P.Q.M. - Rigetta il ricorso - Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.800,00=, oltre Euro 100,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge - Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 - Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.