Non basta la semplice dichiarazione di volontà dei genitori per impedire la dichiarazione di adottabilità

È irrilevante la mera espressione di volontà dei genitori di accudire il minore in seno alla famiglia di origine, rispetto all’interesse del minore stesso, in assenza di concreti riscontri in merito alla concreta attitudine della famiglia biologica ad assicurare allo stesso il miglior apporto alla formazione ed allo sviluppo della sua personalità.

Questo è il principio ribadito, anche grazie alla citazione di numerosi precedenti, dalla prima sezione della Suprema Corte, con l’ordinanza n. 19154/19 emessa nella camera di consiglio del 13 giugno 2019 e depositata il successivo 17 luglio, in un ricorso risalente al 2018, per la cassazione di una sentenza di Corte d’Appello dello stesso anno. Il caso. La ricorrente, padre di due minori, aveva impugnato la sentenza della Corte d’Appello di Napoli, sezione minori, la quale aveva condiviso le argomentazioni del Giudice di primo grado relativamente allo stato di adottabilità di due bambini, rappresentati in giudizio dal tutore. Il Tribunale aveva dichiarato lo stato di adottabilità dei minori, vista la mancanza di un contesto familiare idoneo alla crescita dei minori stessi all’interno della famiglia, sia per le gravi condotte della madre, sia la totale assenza del padre. La Corte d’Appello aveva confermato lo stato di abbandono dei minori, rilevando l’incapacità dei genitori di prendersi cura dei minori, secondo la sentenza abbandonati dalla madre sin dal settembre 2015, precariamente accuditi ma in modo del tutto insufficiente da una zia paterna. In particolare, i Giudici d’appello hanno confermato che, come già ricordato nella sentenza del Tribunale la madre aveva lasciato nel settembre 2015 la casa familiare per seguire un nuovo compagno, costituendo un nuovo nucleo familiare in condizioni economiche assai disagiate, non svolgendo attività né la ricorrente né il suo nuovo compagno con il quale aveva anche avuto una bambina inoltre, la madre si era disinteressata completamente dei figli, senza far mai loro visita e nemmeno chiamarli al telefono li aveva affidati ad una zia paterna, del tutto inadeguata, considerando le condizioni in cui i minori erano stati trovati. Il padre, dal suo canto, era invalido al 75% e non si era neppure opposto alla dichiarazione di adottabilità. Secondo la sentenza impugnata, inoltre, la madre si era sempre sottratta ai suoi doveri, addirittura rifiutandosi di sottoscrivere la richiesta di percorsi terapeutici e di sostegno scolastico nell’interesse dei minori, che nel 2016 venivano collocati in comunità dove, dopo essere arrivati in condizioni igieniche e personali molto precarie, in breve tempo avevano acquisito autonomia personale, adottato regole comportamentali, migliorato la verbalizzazione ed erano stati curati da malattie di vario genere. La madre ha impugnato la sentenza della Corte d’Appello di Napoli, con quattro motivi di ricorso, che verranno dichiarati tutti inammissibili, mentre il tutore dei minori resisteva con controricorso. La ricorrente sosteneva, tra l’altro, la violazione della l. 4 maggio 1983, n. 184 stante, a suo dire, l’insussistenza dei presupposti per la dichiarazione dello stato di abbandono dei minori, essendo stato a suo dire violato il preminente interesse del minore di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia. Il tutore dei minori ha resistito, con controricorso, chiedendo il rigetto del ricorso principale. Lo stato di abbandono sussiste non solo se i genitori rifiutano di accudirli, ma ogni qualvolta la situazione familiare sia tale da compromettere in modo grave e irreversibile l’armonico sviluppo psico fisico del bambino. La Cassazione ha statuito che l’esigenza del minore di vivere con la sua famiglia biologica deve essere concretamente possibile, in relazione al rapporto genitoriale e all’interesse concreto dei figli. Pertanto, se la famiglia non è in grado di fornire al minore tutte le cure necessarie a soddisfare i suoi bisogni, si configura lo stato di abbandono. La legge n. 184 del 1983, art. 1, stabilisce che il minore ha il diritto di vivere e crescere all’interno del proprio nucleo familiare, ma solo finché ciò non interferisce negativamente sul suo sviluppo psicofisico. L’art. 8 della suddetta legge, definisce lo stato di abbandono come mancanza di assistenza sia materiale che morale. La Cassazione ha quindi affermato che la Corte di merito, dopo aver compiuto gli opportuni accertamenti, ha giustamente confermato lo stato di adottabilità dei minori, ritenendo che né la madre, che si era disinteressata dei figli, peraltro arrivati in comunità in stato disastroso, né il padre erano in grado di garantire ai minori quella serenità familiare e quelle cure necessarie per la crescita e lo sviluppo sia morale che materiale del minore. Infatti, la Suprema Corte ha rilevato che la sentenza di secondo grado aveva correttamente rilevato ed escluso, sotto l’aspetto prognostico, l’eventualità di un superamento dello stato di abbandono, anche nei confronti di altri parenti, che si erano disinteressati dei bambini, in tempi compatibili con l’interesse dei minori di vivere in uno stabile contesto familiare. Ciò non solo sulla base delle relazioni dei servizi sociali, ma anche su quanto rilevato a proposito del comportamento della madre e del padre, che non si era nemmeno opposto all’adozione. Per contro, i bambini da quando sono stati affidati alla comunità risultano aver nettamente migliorato il loro sviluppo psicofisico. Secondo la Cassazione, la sentenza di appello ha sviluppato adeguate e convincenti argomentazioni sull’inidoneità della madre, sulla impossibilità di recupero della situazione, spiegando adeguatamente per quale motivo l’adozione costituisce l’unico strumento utile ad evitare ai minori un più grave pregiudizio, e ad assicurare loro assistenza e stabilità effettive. La Suprema Corte ha quindi respinto il ricorso, compensando le spese tra le parti.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 13 giugno – 17 luglio 2019, n. 19154 Presidente Giancola – Relatore Iofrida Fatti di causa La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 25/2018, depositata in data 6/2/2018, ha confermato la decisione di primo grado, che aveva dichiarato l’adottabilità dei minori A.C. e A.M. , nati, a , rispettivamente il omissis ed il omissis , da una relazione di fatto tra A.R. e L.R. , nell’ambito di un procedimento avviato dall’ufficio del Procuratore della Repubblica del Tribunale per i Minorenni di Napoli, sul rilievo dell’incapacità dei genitori di prendersi cura dei minori, presuntivamente abbandonati dalla madre sin dal omissis e solo precariamente accuditi da una zia paterna. In particolare, i giudici d’appello hanno sostenuto che, come già rilevato dai giudici di primo grado, la madre aveva lasciato, nel settembre 2015, la casa familiare, per seguire un nuovo compagno essendo peraltro il nuovo nucleo famigliare in condizioni economiche del tutto modeste, non svolgendo attività lavorativa né la M. né il nuovo convivente , con il quale aveva avuto una bambina, disinteressandosi completamente dei primi due figli, senza mai far loro visita o contattarli per telefono, avendoli affidati ad una zia paterna, del tutto inadeguata, considerate le condizioni in cui i minori erano stati trovati, mentre il padre, invalido civile al 75% per psicosi depressiva cronica, schizofrenia e sindrome maniacale atipica, non si era neppure opposto all’adozione e la zia paterna, a sua volta madre di due gemelli in tenera età e badante del fratello R. , non si era resa disponibile all’affidamento dei minori la madre si era sempre sottratta ai suoi doveri, tanto che, benché sollecitata dalle strutture pubbliche, si era rifiutata anche di sottoscrivere la richiesta di percorsi terapeutici e di sostegno scolastico nell’interesse dei minori i minori, nel 2016, erano stati collocati in comunità e, mentre al loro ingresso si presentavano in pessime condizioni igieniche, avevano via via acquisito un’autonomia personale, interiorizzato regole comportamentali, migliorato la verbalizzazione uno dei minori, C. , era stato finalmente curato da un’infezione da streptococco da cui era affetto da tempo l’altro minore M. veniva curato da una pitiriasi amiantocea, presente da più di otto mesi non vi erano parenti entro il quarto grado che abbiano avuto rapporti significativi con i minori. Ad avviso della Corte di merito, la richiesta dell’appellante di prova testimoniale era inammissibile, perché nuova e comunque genericamente articolata, e quella di consulenza tecnica si rivelava superflua e fonte di un inutile allungamento del giudizio. Avverso la suddetta pronuncia, M.A. propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti di L.R. , in qualità di tutore dei minori C. e A.M. che resiste con controricorso e di A.R. che non svolge attività difensiva . È stata depositata dalla ricorrente, fuori termine, memoria. Ragioni della decisione 1. La ricorrente lamenta, con il primo motivo, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dei principi fondamentali della L. n. 184 del 1983, stante l’insussistenza dei presupposti per la dichiarazione dello stato di adottabilità dei due minori, denunciando l’insussistenza dello stato di abbandono degli stessi, essendosi essa allontanata solo per il periodo in cui aveva partorito la terza figlia, affidando i minori ad una zia paterna, dato che il padre non era in grado di occuparsi di loro, nonché il pregiudizio all’interesse dei minori derivante dal collocamento degli stessi in una casa famiglia prima ed in un nuovo nucleo famigliare poi, e la piena idoneità genitoriale di essa madre. Con il secondo motivo, si denuncia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 147 c.c., avendo la Corte d’appello travisato l’effettiva situazione di fatto, stante l’insussistenza di una situazione di abbandono dei minori con il terzo ed il quarto motivo, si lamenta poi l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo rappresentato sempre dalla reale situazione emersa dalle dichiarazioni rese dalla M. , al fine di contestare l’affermata dismissione del ruolo materno, in difetto oltretutto di alcun approfondimento istruttorio. 2. Le censure, da trattare unitariamente in quanto connesse, sono inammissibili. Questa Corte ha costantemente ribadito che il giudice di merito, nell’accertare lo stato di adottabilità di un minore, deve in primo luogo esprimere una prognosi sull’effettiva ed attuale possibilità di recupero, attraverso un percorso di crescita e sviluppo, delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento, in primo luogo, alla elaborazione, da parte dei genitori, di un progetto, anche futuro, di assunzione diretta della responsabilità genitoriale, caratterizzata da cura, accudimento, coabitazione con il minore, ancorché con l’aiuto di parenti o di terzi, ed avvalendosi dell’intervento dei servizi territoriali Cass. n. 14436/2017 . Il diritto del minore di crescere nell’ambito della propria famiglia d’origine, considerata l’ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico, è tutelato dalla L. n. 184 del 1983, art. 1, ragione questa per cui il giudice di merito deve, prioritariamente, tentare un intervento di sostegno diretto a rimuovere situazioni di difficoltà o disagio familiare e, solo quando, a seguito del fallimento del tentativo, risulti impossibile prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di vivere in uno stabile contesto familiare, è legittima la dichiarazione dello stato di adottabilità Cass. 22589/2017 Cass. 6137/2015 . Ne consegue che, per un verso, compito del servizio sociale incaricato non è solo quello di rilevare le insufficienze in atto del nucleo familiare, ma, soprattutto, di concorrere, con interventi di sostegno, a rimuoverle, ove possibile, e che, per altro verso, ricorre la situazione di abbandono sia in caso di rifiuto ostinato a collaborare con i servizi predetti, sia qualora, a prescindere dagli intendimenti dei genitori, la vita da loro offerta al figlio sia inadeguata al suo normale sviluppo psico-fisico, cosicché la rescissione del legame familiare è l’unico strumento che possa evitargli un più grave pregiudizio ed assicurargli assistenza e stabilità affettiva Cass. 7115/2011 . Il giudizio sulla situazione di abbandono deve fondarsi su una valutazione quanto più possibile legata all’attualità, considerato il versante prognostico. Il parametro, che ci perviene anche dai principi elaborati dalla Corte di Strasburgo cfr. in particolare la sentenza del 13/10/2015 - caso S.H. contro Italia , è divenuto un principio fermo anche nella giurisprudenza di legittimità, come può rilevarsi dalla pronuncia n. 24445 del 2015 In tema di adozione del minore, il giudice, nella valutazione della situazione di abbandono, quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità, deve fondare il suo convincimento effettuando un riscontro attuale e concreto, basato su indagini ed approfondimenti riferiti alla situazione presente e non passata, tenendo conto della positiva volontà di recupero del rapporto genitoriale da parte dei genitori . Solo un’indagine sulla persistenza e non solo sulla preesistenza della situazione di abbandono, svolta sulla base di un giudizio attuale, in particolare quando vi siano indizi di modificazioni significative di comportamenti e di assunzione d’impegni e responsabilità da parte dei genitori biologici, può condurre ad una corretta valutazione del parametro contenuto nella L. n. 184 del 1983, art. 8, dovendosi tenere conto del diritto del minore a vivere nella propria famiglia di origine, così come indicato nella L. n. 184 del 1983, art. 1, Cass. 22934/2017 . In particolare, la norma, anche alla luce della progressiva elaborazione compiuta dalla giurisprudenza di legittimità e dai principi introdotti dalla Corte Europea dei diritti umani, fissa rigorosamente il perimetro all’interno del quale deve essere verificata la sussistenza della condizione di abbandono. Si deve trattare di una situazione non derivante esclusivamente da condizioni di emarginazione socio economica disponendo l’art. 1 che siano intraprese iniziative di sostegno nel tempo della famiglia di origine , fondata su un giudizio d’impossibilità morale o materiale caratterizzato da stabilità ed immodificabilità, quanto meno in un tempo compatibile con le esigenze di sviluppo psicofisico armonico ed adeguato del minore, non dovuta a forza maggiore o a un evento originario derivante da cause non imputabili ai genitori biologici cfr. sentenza Cedu Akinnibuson contro Italia sentenza del 16/7/2015 , non determinata soltanto da comportamenti patologici ma dalla verifica del concreto pregiudizio per il minore Cass. 7193 del 2016 . Da ultimo, questa Corte ha chiarito che in tema di adozione di minori d’età, sussiste la situazione d’abbandono, non solo nei casi di rifiuto intenzionale dell’adempimento dei doveri genitoriali, ma anche qualora la situazione familiare sia tale da compromettere in modo grave e irreversibile un armonico sviluppo psico-fisico del bambino, considerato in concreto, ossia in relazione al suo vissuto, alle sue caratteristiche fisiche e psicologiche, alla sua età, al suo grado di sviluppo e alle sue potenzialità ne consegue l’irrilevanza della mera espressione di volontà dei genitori di accudire il minore in assenza di concreti riscontri Cass.4097/2018 conf. Cass. 26624/2018, in ordine alla irrilevanza della disponibilità, meramente dichiarata, a prendersi cura dei figli minori, che non si concretizzi in atti o comportamenti giudizialmente controllabili, tali da escludere la possibilità di un successivo abbandono . Ora, la Corte d’Appello ha esaminato la capacità genitoriale della madre e del padre, in ordine alla quale non vi è contestazione, trattandosi di persona affetta da grave invalidità civile, che non si è opposta all’adozione dei figli ed ha formulato un giudizio negativo sulla capacità della stessa di recupero del rapporto genitoriale, sulla base di una serie di elementi comportamentali emersi da una complessa istruttoria essenzialmente con acquisizione delle relazioni dei Servizi Sociali territorialmente competenti, riportanti anche le dichiarazioni rese in sede di ascolto dai minori e dai genitori . Emerge dagli atti che la sign.ra M. si è disinteressata, a partire dal settembre 2015, dei figli, affidandoli ad una zia paterna - rivelatasi del tutto inadeguata -, per andare a vivere con il nuovo compagno, da cui ha avuto una terza figlia. Emerge altresì che i minori sono stati trovati al momento dell’ingresso nella casa-famiglia in pessime condizioni igieniche e con gravi difficoltà di linguaggio, segno inequivoco di un inidoneo sviluppo psico-fisico. Non rileva la semplice volontà della madre di prendersi cura dei figli, in assenza di adeguati riscontri. Questa Corte ha di recente affermato che in tema di adozione di minori d’età, sussiste la situazione d’abbandono, non solo nei casi di rifiuto intenzionale dell’adempimento dei doveri genitoriali, ma anche qualora la situazione familiare sia tale da compromettere in modo grave e irreversibile un armonico sviluppo psico-fisico del bambino, considerato in concreto, ossia in relazione al suo vissuto, alle sue caratteristiche fisiche e psicologiche, alla sua età, al suo grado di sviluppo e alle sue potenzialità ne consegue l’irrilevanza della mera espressione di volontà dei genitori di accudire il minore in assenza di concreti riscontri nella specie, questa Corte, confermando la sentenza di appello, ha ritenuto la persistenza di una situazione di abbandono, a fronte di un impegno solo enunciato dai genitori di rimuovere le problematiche esistenziali e di mutare lo stile di vita . La sentenza di appello sviluppa adeguate e convincenti argomentazioni sull’inidoneità della madre, sull’impossibilità del recupero in tempi ragionevoli della situazione, spiegando dunque per quale ragione l’adozione, nella specie, costituirebbe l’unico strumento utile ad evitare ai minori un più grave pregiudizio ed ad assicurare loro assistenza e stabilità affettiva risulta dunque effettuato un corretto giudizio prognostico volto a verificare l’effettiva ed attuale possibilità di recupero delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento sia alle condizioni di lavoro, reddituali ed abitative, sia a quelle psichiche Cass. 7559/2018 . Quanto poi alle carenze istruttorie, la Corte di merito ha motivatamente respinto la richiesta di consulenza tecnica, formulata dalla madre, relativa alla valutazione della sua personalità e capacità educativa nei confronti dei minori, ritenendola superflua al fine di contrastare gli elementi ed i dati oggettivi, nonché le valutazioni dei servizi sociali, organi dell’Amministrazione che hanno avuto contatti sia con i minori che con i suoi genitori cfr. Cass. 6138/2015 . 3. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Ricorrono gusti motivi, considerate tutte le peculiarità della controversia, per compensare integralmente tra le parti le spese processuali. Essendo il procedimento esente, non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. P.Q.M. La Corte respinge il ricorso. Dichiara le spese del presente giudizio di legittimità integralmente compensate tra le parti. Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.